neonata culla ospedale

Sta bene la prima bimba italiana nata da trapianto di utero

La prima bambina in Italia da una donna con utero trapiantato ha lasciato l'ospedale di Catania con la madre e le sue condizioni sono ritenute buone. Qui l'intervista al professor Paolo Scollo che ha effettuato l'intervento

La piccola Alessandra ha lasciato l’ospedale Cannizzaro di Catania, dopo che anche la madre era stata dimessa qualche settimana fa. Sta bene e può iniziare la sua nuova vita “normale”, nonostante la nascita rappresenti un vero primato. È infatti la prima bambina nata in Italia da una donna che ha subito un trapianto di utero. Alla nascita, lo scorso 30 agosto e alla 34esima settimana, pesava appena 1.725 grammi e si era temuto il peggio quando la mamma si era ammalata di Covid. Questo aveva portato i medici a decidere per un parto cesareo. La madre, Albina Verderame, era affetta dalla sindrome di Rokitansky, cioè era nata senza utero.

La storia di Alessandra

La bimba, dopo essere venuta alla luce, era rimasta in Neonatologia e in Terapia intensiva, essendo prematura, e successivamente era stata sottoposta a terapie farmacologiche e assistenza respiratoria in terapia sub-intensiva. Ora, dati i risultati positivi delle visite specialistiche e dei controlli, il responsabile dell’Unità operativa complessa di Neonatologia Pietro D’Amico ha fatto sapere che ha «un normale sviluppo staturo-ponderale e neuromotorio, e la prognosi si conferma buona»: insomma, cresce in altezza e pesa in modo regolare, dunque può iniziare la sua nuova vita a casa. La sua storia non dà solo speranza a molte donne che desiderano diventare madri, ma che al momento non possono, ma rappresenta anche un’eccellenza della medicina italiana, dal momento che è nata dopo un intervento che è il sesto di questo tipo al mondo e il primo in Italia.

Noi abbiamo raggiunto il professor Paolo Scollo, direttore dell’Unità complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’Azienda ospedaliera Cannizzaro di Catania, che ha effettuato con la sua équipe la delicatissima doppia operazione.

Il primo parto dopo un trapianto di utero

L’équipe del prof. Scollo, che guida il Centro nazionale trapianti di Catania, ha seguito il primo parto in una donna con utero trapiantato. Il trapianto è avvenuto ad agosto del 2020, perché la donna è nata con la sindrome di Rokitansky: «È un bel risultato, il primo in Italia di questo tipo e il sesto al mondo. Va chiarito, infatti, che esistono due tipi di trapianti di utero: il primo e più diffuso è quello da donatore vivente, in genere la madre, la zia o la sorella. Da questa operazione sono nati finora circa 45 bambini nel mondo. Poi esiste il trapianto di utero da donatore deceduto, in morte cerebrale, che rappresenta solo il 25% dei casi: finora c’erano solo 5 bambini nati grazie a questa tecnica, dei quali 3 negli Usa, 1 in Brasile e uno nella Repubblica Ceca. Il sesto è il ‘nostro’» ci spiega Scollo.

Quali donne possono ricevere il trapianto di utero

La donna che è diventata madre in Sicilia dopo il trapianto d’utero da donatore deceduto ha la sindrome di Rokitansky e rientra nella categoria più ampia: «Nell’85% dei casi, questo tipo di trapianto si effettua proprio su donne che nascono senza l’utero ma con le ovaie, quindi con corredo genetico proprio. Nel 15% dei casi, invece, si tratta di giovani donne – in genere entro i 40 anni – a cui è stato asportato l’utero a causa di patologie oncologiche benigne come fibromi, oppure con utero asportato in seguito a una gravidanza o, ancora, donne che hanno la sindrome di Asherman, per cui si formano aderenze o tessuto cicatriziale all’utero, tali don permettere una gravidanza o mestruazioni» spiega l’esperto.

Quali requisiti per ricevere il trapianto di utero?

L’intervento, in realtà doppio perché di asportazione dell’utero da donatore e di impianto al ricevente, prevede dei requisiti stringenti: «La ricevente deve avere tra i 18 e i 40 anni, senza una storia oncologica né infettivologica, per esempio Aids o malattie virali che con gli immunosoppressori potrebbero riattivarsi. La donatrice deve essere anche lei in età fertile, tra i 16 anni e finché ha le mestruazioni (anche se è preferibile sia entro i 40/45 anni), che non abbia neppure lei una storia oncologica e che non abbia avuto, in caso di parto, più di due cesarei» chiarisce Scollo.

Che rischi si corrono col trapianto di utero?

I benefici di un parto per una donna senza utero sono evidenti, dal momento che può coronare il sogno di una gravidanza. Ma quali sono i rischi? «Si tratta di un’operazione di altissima chirurgia, quindi come per gli altri interventi di questo genere, i rischi sono di natura vascolare, come trombosi, o di rigetto dell’organo trapiantato. Ci sono, però, anche una serie di difficoltà in più: la prima è il reperimento di donatrici, specie in Italia, in morte cerebrale e con uteri compatibili ad essere trapiantati. Poi c’è una complicazione tecnica, sia in fase di espianto che di impianto: consideriamo per esempio una donatrice, che magari si trova a Palermo (come nel nostro caso) e una ricevente che si trova a Milano. In questi casi si mette in moto una macchina organizzativa eccezionale, che permette all’intera équipe di raggiungere la donatrice, effettuare l’espianto, trasportare l’organo a Catania dove si trova il Centro nazionale trapianti e qui procedere con l’impianto nella ricevente, a sua volta trasferita presso la struttura. Il tutto in pochissime ore, grazie ai mezzi come elicotteri e auto, forniti dalla Protezione civile. Infine – spiega ancora Scollo – si tratta di un intervento a quattro mani che, oltre a richiedere competenze vascolari come per altri trapianti, ne prevede di chirurgiche e ginecologiche specifiche. Per fare un esempio, un trapianto di cuore può essere effettuato dal solo cardiochirurgo, mentre in questo caso è necessario che siano espiantate tutte le connessioni dell’utero e, per poter poi procedere a una gravidanza, che l’organo sia solido per poterla supportare. Devo dire che nel caso della donna che è appena diventata madre a Catania, tutto ha funzionato al 101%. La donna che ha ricevuto il trapianto ad agosto 2020 ora è mamma e pensiamo di procedere con una gravidanza a breve e in modo analogo con un’altra donna che ha ricevuto un utero lo scorso gennaio e che non ha presentato alcun sintomo di rigetto”.

Che differenza c’è col trapianto di utero da donatore vivente?

Ma va considerato anche che il doppio intervento è molto complesso e delicato, anche se in misura minore quando il donatore è vivente: «In questo caso è più semplice per una serie di motivi: intanto, da un punto di vista organizzativo, si può programmare il trapianto, con due sale chirurgiche attigue, e si effettuano espianto e impianto in modo consecutivo e immediato. Si evita, quindi, la cosiddetta “fase fredda”, quando si mette l’organo sotto ghiaccio per poter effettuare il trasporto. E poi c’è un motivo tecnico: se si programma l’intervento da donatore vivente, si inizia un mese prima a trattare la ricevente con immunosoppressori. Infine, nel caso di donazione da parenti come per esempio la sorella, la compatibilità di gruppo sanguigno e fattori immunologici è maggiore e quindi è più probabile che la donna che riceve l’utero rimanga gravida» spiega l’esperto.

In Italia il trapianto di utero da donatore vivente è ammesso?

In Italia l’intervento di trapianto da donatore vivente non è ammesso: si può effettuare un trapianto di utero solo da donatore deceduto. Mentre si festeggia il risultato, dunque, si fanno anche i conti con i limiti della legge italiana, come sottolinea la dottoressa Daniela Galliano, ginecologa esperta di fertilità, responsabile del centro PMA di IVI Roma: «Il trapianto e il parto in Sicilia rappresentano un successo per la ginecologia e per la ricerca medico – scientifica. Ma è bene precisare che è una soluzione limite, sia a causa delle difficoltà nella ricerca di donatrici idonee, sia per l’incertezza dell’effettiva gravidanza, sia per i motivi legati alla pressione psicologica significativa a cui una coppia è sottoposta durante un percorso di PMA, di maternità medicalmente assistita» chiarisce Galliano. I limiti di legge, infatti, pesano: «In Italia nel 2018 è stato approvato il primo protocollo sperimentale per il trapianto di utero: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha infatti riconosciuto la sterilità assoluta come forma di disabilità. Oltre alla complessità oggettiva dell’intervento sono previsti rigidi requisiti, sia per la donatrice che per la ricevente per poter accedere al trapianto: oltre all’età, la ricevente deve avere una diagnosi di infertilità assoluta, la donatrice deve essere non vivente, deve aver acconsentito alla donazione degli organi e con assenza di pregressi tagli cesarei. Questi requisiti spesso possono limitare il numero di accesso a interventi del genere, quindi è bene sensibilizzare anche sulle altre forme di accesso alla maternità che hanno le donne con limiti fisiologici oggettivi, penso ad esempio alla gestazione per altri o l’adozione».

Il parto dopo trapianto di utero: potrà diventare più accessibile?

Su questo la dottoressa Galliano non nasconde la sua perplessità: «Non penso che possa diventare una tecnica standardizzata, per la complessità anche solo nel reperire questi uteri. Proprio per questo, secondo me, si dovrebbe legiferare in Italia sulla gravidanza solidale, che per esempio è permessa in altri Paesi come gli Stati Uniti. Se una donna nasce con la sindrome di Rokitansky, senza utero, o se a causa di un tumore le viene asportato, è molto complesso pensare a una gravidanza come quella della donna di Catania, sia per la complessità tecnica che per la possibilità che la gravidanza si innesti» conclude la ginecologa.

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