Bambina mamma con pancione in cucina

In Italia che fine fanno gli embrioni congelati?

L'embrione congelato da cui è nata in America la piccola Molly era in un centro da 27 anni, ma la scienza ormai è in grado di conservarli per mezzo secolo. E in Paesi come il nostro, ad aspettare nei laboratori, ce ne sono già decine di migliaia

Chi è genitore lo sa: i dettagli contano molto poco quando metti al mondo un figlio, e anche i dati anagrafici possono diventare un numero senza importanza. È quello che sicuramente pensano il papà e la mamma di Molly Everett Gibson, la bimba nata in Tennessee, frutto di un embrione che è stato congelato 27 anni fa, poi adottato dalla famiglia Gibson. La sua storia ha fatto discutere il mondo intero e riacceso anche nel nostro Paese domande e curiosità sui bimbi nati in provetta.

Oggi in Italia non potremmo mai raccontare una vicenda come quella di Molly perché la donazione di embrioni è vietata. Lo dice la famosa legge 40 del 2004, quella che ha regolato la fecondazione assistita. Ma di embrioni congelati se ne usano (e tanti) nei centri italiani di Pma a cui si rivolgono le coppie che hanno bisogno della medicina per diventare genitori.

«La crioconservazione, cioè il congelamento degli embrioni, riduce i rischi per la coppia: fino a una decina di anni fa si “bombardavano” le donne con gli embrioni che venivano impiantati subito e tutti insieme. Oggi, invece, quando gli aspiranti genitori compiono questo percorso e si trovano ad avere, facciamo un’ipotesi, 3 o 4 embrioni, ne utilizzano 2. Gli altri vengono congelati. Se alla fine la coppia decide che il suo desiderio di famiglia è realizzato, giustamente si ferma. Gli embrioni in sovrannumero rimangono nei centri di Pma, che li conservano per decenni» racconta Nicola Colacurci, direttore della Struttura complessa di ginecologia ostetricia e fisiopatologia della riproduzione dell’Azienda ospedaliera universitaria della Campania Luigi Vanvitelli.

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Gli embrioni congelati conservati in Italia

Non abbiamo una stima definitiva, ma di embrioni congelati nelle strutture italiane potrebbero essercene decine di migliaia. Rimangono lì, “sospesi’. Fino a quando? Anche a questa domanda è difficile rispondere. Non hanno data di scadenza, possono durare anche 50 anni. È come se il congelamento li conservasse al meglio. A confermarlo è anche un recente studio pubblicato dalla prestigiosa rivista Human reproduction update. E ora la scienza potrebbe spingerci ancora più in là.

«Come sempre il progresso implica dubbi, soprattutto sul piano etico» nota Mario Mignini Renzini, referente medico per gli aspetti clinici dei centri Clinica Eugin in Italia e responsabile del Centro di fecondazione assistita della Casa di Cura La Madonnina di Milano, del Gruppo San Donato. «La bimba americana appena nata è stata concepita in provetta molti anni fa ed è quindi quasi “coetanea” della mamma. In futuro grazie alle tecniche di Pma potremmo avere neonati concepiti prima della nascita dei loro futuri genitori: sono aspetti che colpiscono l’opinione pubblica ma non bisognerebbe fermarsi a questi. L’Organizzazione mondiale della sanità ormai considera la sterilità una vera e propria malattia sempre più diffusa e come scienziati abbiamo il dovere di supportare la salute e il benessere delle persone».

«In Italia gli embrioni in sovrannumero non si possono donare ad altre coppie o dare alla ricerca né tantomeno distruggere» interviene il professor Nicola Colacurci, futuro presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia. «È un limite anacronistico, la stessa legge 40 è stata già cambiata e ha aperto, per esempio, all’eterologa, la procreazione con ovociti o spermatozoi di donatori. Peccato che, in pratica, nel nostro Paese non ci siano persone che si offrono perché manca proprio una cultura della donazione e perché questo gesto non viene incentivato, magari con un rimborso spese. Così queste tecniche possono basarsi solo su materiale che i centri devono importare dall’estero. Non solo: le coppie italiane completamente sterili (quelle che devono ricorrere a cellule riproduttive esterne sia maschili sia femminili, ndr) sono aumentate del 20% negli ultimi 10 anni. A questo punto, allora, sarebbe meglio utilizzare proprio gli embrioni congelati in sovrannumero».

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Embrioni congelati: come funziona nel resto del mondo

Se in Italia i paletti sono rigidi, fuori dai nostri confini la situazione è ben diversa. A oggi la donazione o l’adozione di embrioni crioconservati è realtà in Spagna, Gran Bretagna, Belgio, Grecia e Cipro, Repubblica Ceca, Ucraina e Stati Uniti. «Oltreoceano hanno iniziato addirittura nel 1998: ogni Stato ha la sua legislazione, alcuni aprono le procedure a single e omosessuali, ed è tutto organizzato e rodato da tempo, con grandi centri che gestiscono queste procedure» nota il professor Mignini Renzini. La piccola Molly, per esempio, è nata grazie a una delle strutture più importanti del settore, l’associazione no profit National embryo donation center. Qui le coppie che hanno embrioni in sovrannumero possono donarli e chi li riceve firma addirittura una procedura di adozione che può essere “aperta”, cioè permettere un domani al bambino di conoscere i genitori biologici, oppure “chiusa” perché esclude ogni contatto futuro tra le due famiglie.

Anche in Europa esistono importanti differenze: alcuni Paesi dell’Est hanno norme generiche e nebulose che possono più facilmente finire al centro di traffici illeciti come quello che raccontiamo nel box qui sopra. Altri Stati europei hanno regolamentato a fondo la procreazione assistita, in una direzione più progressista. È il caso della Spagna: le coppie decidono subito se donare gli embrioni in sovrannumero. Ma se non scelgono, il tutto resta alle cliniche: pensano le strutture, dopo 4 anni, a darlo in adozione a chi ne ha bisogno. Come i tanti italiani (circa 10.000) che ogni anno volano a Barcellona e Madrid. «Lì la donazione di embrioni è permessa anche ai single e alle donne omosessuali in coppia» conclude il professor Mignini Renzini. «È giusto che le normative siano severe e stringenti, ma al tempo stesso è anacronistico che in Italia la politica non si sia ancora messa a ragionare sugli ultimi aspetti della Pma rimasti in sospeso. Fino a quando non lo farà il turismo riproduttivo, con le sue fatiche e i suoi rischi, non si fermerà».

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La prima è stata la piccola australiana Zoe, nel 1984. Da allora nel mondo sono stati migliaia i bimbi nati dalla crioconservazione degli embrioni, tecnica che in Italia ha debuttato negli anni ’90. «L’unione tra ovociti e spermatozoi avviene in provetta poi, se si decide di eseguire l’impianto in un secondo momento, l’embrione deve essere crioconservato» spiega il professor Mario Mignini Renzini, referente medico per gli aspetti clinici dei centri Clinica Eugin in Italia. «Il procedimento più usato è la vitrificazione, una tecnica di congelamento rapido fino alla temperatura di – 180 gradi».

Oggi si preferisce ricorrere alla crioconservazione quando l’eventuale impianto dell’embrione a fresco, fatto cioè immediatamente, aumenta il rischio di sovrastimolazione ovarica: l’ovaio, infatti, già stimolato dalle terapie ormonali, può non essere subito pronto per una gravidanza.

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DALLA CRONACA

Il traffico illegale di embrioni congelati in viaggio dall’India all’Europa

Contenitori di embrioni che viaggiano su aerei e container, trasportati da corrieri che dall’India e dal Nepal arrivano nell’Europa dell’Est e nelle ex Repubbliche sovietiche. È il traffico scoperto nelle scorse settimane dalla giornalista francese Louise Audibert. Gli embrioni, ha raccontato la reporter, spesso arrivano in quei Paesi dove è permessa la maternità surrogata. Qui vengono impiantati nell’utero di donne che partoriranno per un’altra coppia. A volte, invece, vengono venduti a cliniche straniere dove si effettuano trattamenti di fecondazione assistita.

«Come membro della Società italiana di ginecologia e ostetricia, posso dire che l’Italia non è coinvolta nel fenomeno e che nei nostri centri non arriva nulla di tutto questo» rassicura il professor Nicola Colacurci. «Il pericolo però è per le coppie italiane che decidono di sottoporsi a una fecondazione eterologa all’estero e finiscono in strutture dove i procedimenti sono poco o per niente sicuri. Io stesso ho seguito la gravidanza di una paziente di 53 anni che si era fatta impiantare 2 embrioni in una clinica dell’Europa dell’Est. Alla sua età in Italia sarebbe stata esclusa dalla fecondazione assistita e il risultato è stato una maternità davvero complicata, che ha messo a rischio la sua stessa vita».

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