Carlotta de Bevilacqua Artemide

Carlotta de Bevilacqua: «Studio la luce per migliorare la nostra vita»

Architetto, imprenditrice, vegetariana, ambientalista, fisica. Difficile definire con una sola parola l’amministratrice delegata del brand di illuminazione Artemide. «Quella più importante, per me, è cultura, che significa condivisione delle conoscenze»

«L’uomo ha bisogno della luce, come dell’aria e dell’acqua». È a partire da questa semplice verità che Carlotta de Bevilacqua, vicepresidente e amministratrice delegata del gruppo Artemide, brand d’illuminazione tra i più conosciuti e prestigiosi al mondo, mi spiega la sua passione per la luce.

Per questa milanese di 63 anni («li ho appena compiuti, il 23 giugno»), mamma architetto e papà chimico industriale, liceo classico al Berchet e laurea in Architettura al Politecnico, la svolta arriva quando incontra Ernesto Gismondi, il fondatore, insieme a Sergio Mazza, di Artemide. Lei ha 28 anni, lui 53. «È stato ed è un grandissimo amore che dura da 35 anni.

Ernesto è un uomo straordinario, intelligente. Veniva da Sanremo, si è trasferito a Milano per studiare Ingegneria aeronautica e poi ha preso una seconda laurea in Ingegneria missilistica. Curioso e appassionato, appena fondata la ditta, da solo andava a bussare alla porta di Vico Magistretti e Gio Ponti, e non era nessuno. Siamo due caratteri forti, però abbiamo tracciato una vita insieme che io credo sia speciale». Da questa unione è nata una figlia, Carolina, e una serie di progetti e prodotti innovativi.

Un grande amore nonostante quella regola che sconsiglia di fare coppia anche nel lavoro. «All’inizio Ernesto mi ha coinvolto un po’ nella parte di progetto e di comunicazione dell’azienda. Pian piano ci siamo integrati sempre di più, io ho lasciato la professione (aveva aperto un suo studio di architettura, ndr) e mi sono inserita in Artemide ma con una visione culturale e progettuale, soprattutto nella ricerca scientifica e della luce. In questo mondo ho avuto la fortuna di assistere a una rivoluzione, quella della fotonica e dell’elettronica che ha aperto nuove strade».

Carlotta parla di led, miniaturizzazioni, sostenibilità con la voce roca e un entusiasmo travolgente. «Cosa mi spinge? L’intenzione di portare il futuro nel presente». Imprenditrice, architetto, vegetariana, ambientalista. «Tutto vero» mi dice. «Scriva anche che la nostra è una famiglia di donne, la mamma e la figlia, un marito che vale 10 donne, molti cani e molti gatti».

Luce per lei vuol dire passione, ma anche fisica: «Non ho una laurea, però l’ho studiata tantissimo in questi ultimi 20 anni e con molta umiltà me la faccio spiegare. Abbiamo dei consulenti, relazioni con le università». L’ultima invenzione si chiama Integralis, «dalla formula matematica» spiega. «È una luce che può sanificare gli spazi contro batteri, muffe e virus. È una ricerca che avevamo iniziato più di 1 anno fa, senza pensare alla pandemia che poi è arrivata. Fa parte della nostra visione umanistica e sociale, perché significa aiutare, migliorare la qualità della vita delle persone in tutti i Paesi del mondo».

Ci tiene a precisare che ogni progetto nasce dal team. «C’è una parola banalissima che vorrei non fosse dimenticata: cultura. Cultura del progetto, che significa mettere insieme, scambiare conoscenze. Negli ultimi 5 anni Artemide ha depositato 33 brevetti, cosa di cui siamo molto orgogliosi. La ricerca ci guida e poi ci relazioniamo con i più grandi architetti contemporanei: da Mario Cucinella a Norman Foster, da Michele De Lucchi allo studio Elemental, da Jean Nouvel a Neri & Hu in Cina. Non è che chiediamo a loro un disegno, facciamo dei piccoli seminari in cui li aggiorniamo sull’evoluzione scientifica della luce, l’interazione e la percezione; poi loro danno delle risposte legate alla propria progettualità architettonica. Con lo chef Davide Oldani stiamo lavorando a una luce portatile che si chiama “Bontà” e interagisce con gli elementi sulla tavola. Dietro al progetto c’è l’idea della cultura italiana, del cibo, del creare a mano, perché sono pezzi unici, realizzati in vetro soffiato nella nostra vetreria di Venezia».

Antichi saperi e tecnologia. Carlotta de Bevilacqua ha anche dei brevetti personali e continua a progettare: «Perlopiù sono progetti tecnici, apparentemente sembrano tutti profili lineari».

La nuova lampada portatile l’ha chiamata “Come together”, «perché sono appassionata dei Beatles fin da ragazza, so tutte le canzoni a memoria. Ma proprio tutte». È una lampada, mi dice, adatta allo smart working, «per lavorare, leggere, far giocare i bambini, studiare, da portare con sé dentro o fuori casa. Così con la luce ognuno può creare il proprio spazio».

A proposito di casa, quanto è lunga la sua giornata? «Tanto, ma non mi lamento perché l’importante è fare delle cose che abbiano un senso, facciano sentire felici, se sono belle ed emozionano meglio ancora. Mi ritengo fortunata. E poi sono innamorata della canzone di Gianni Morandi che dice: “C’è un grande prato verde dove nascono speranze che si chiamano ragazzi, questo è il grande prato dell’amore”. E io penso ancora che ci sia un grande prato verde».

Gruppo Artemide, 60 anni di progetti

Con il manifesto “The Human Light” negli anni ’90 il Gruppo Artemide ha rivoluzionato l’illuminazione mettendo la luce al servizio dell’uomo e segnando il suo successo nel mondo, già coronato da lampade di design come Tizio o Tolomeo. Oggi l’azienda, in cui lavorano 700 persone, festeggia 60 anni e 33 brevetti negli ultimi 5 anni.

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