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La doggy bag entra nelle scuole

Mentre nei ristoranti italiani stenta a diffondersi l’abitudine ad offrire o a chiedere la doggy bag, cresce il numero delle scuole virtuose in cui l’educazione alimentare e ai consumi consapevoli passa anche dalle family bag. Ecco di cosa si tratta

Nei ristoranti italiani stenta a diffondersi l’abitudine ad offrire o a chiedere la doggy bag, il contenitore da asporto, con dentro il cibo rimasto nel piatto (o il vino lasciato nella bottiglia). Perché? Prevalgono timidezza, vergogna, imbarazzo? O vince l’indifferenza? Oppure sono i ristoratori a fare resistenza? Secondo addetti ai lavori e osservatori, in realtà le cose stanno cambiando. Il ritiro degli avanzi non è un più un tabù, ma un fenomeno in crescita.

Gli ultimi esempi? A Firenze e provincia è partita l’operazione “rimpiattino”: questo il nome scelto per i contenitori dopo un concorso organizzato dalla Federazione italiana pubblichi esercizi e dal Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosica. I porta vivande sono firmati dal designer Guido Scarabottolo e vengono proposti ai clienti di una quarantina di ristoranti. Bergamo si accoda, Torino anche. A Bologna, i locali del centro legati a Day Gruppo Up, da inizio marzo mettono a disposizione della clientela le “re.box”, vaschette che possono essere conservate in frigorifero e messe nel microonde per riscaldare il contenuto.

Le buone abitudini cominciano a scuola

Intanto aumenta il numero delle scuole dove l’educazione alimentare e ai consumi consapevoli passa anche dalle family bag – altro nome ancora – date ad alunni e studenti per riporre ciò che non hanno mangiato in mensa (in genere i soli prodotti non deperibili, per motivi igienici) e portarlo a casa. All’elenco di città e paesi virtuosi si è appena aggiunta Bologna: 13 mila piccole borse frigo lavabili sono state distribuite in elementari e medie.

La doggy bag ai matrimoni e ai banchetti

“Cominciare dai più piccoli è importante. Ben venga Bologna, che si aggiunge a tanti altri comuni virtuosi” sottolinea Maria Chiara Gadda, la deputata che nella scorsa legislatura ha firmato e presentato la legge contro gli sprechi alimentari e farmaceutici e per il recupero delle eccedenze con finalità sociali. “Nelle scuole, usando i contenitori da asporto, si fa capire ai bambini che è normale, utile e giusto portare a casa il cibo rimasto nel piatto. Nei ristoranti, l’uso comincia a diffondersi anche per il vino. E dai settori del catering e del banqueting rimbalzano notizie e segnalazioni positive. Insomma, comincia a trasformarsi in una buona prassi. Si danno le rimanenze agli invitati a un banchetto di nozze oppure ai partecipanti a un congresso o un evento”.

Perché ci vergogniamo?

Quindi qualcosa è cambiato dall’agosto 2016, quando fu promulgata la legge. “Dieci anni fa non si sapeva neanche cosa fossero le doggy bag. Oggi ci sono iniziative mirate e i progetti a tema si moltiplicano. Ma, come per tutto ciò che riguarda la cultura e i comportamenti acquisiti, per cambiare ci vuole tempo. Molte persone ancora si vergognano a chiedere ciò che hanno lasciato nel piatto o si fanno vincere alla timidezza. Spesso la timidezza e la ritrosia ce l’hanno anche i gestori dei locali.  Piano piano, però, anche loro stanno capendo che si tratta di un servizio in più, conveniente per tutti. Tra i clienti, la propensione a chiedere gli avanzi è legata anche all’età. I ragazzi non si fanno problemi. Gli anziani, abituati a risparmiare e a non sprecare nulla, stanno recuperando le vecchie abitudini”.

Meglio “doggy”, “family bag” o “rimpiattino”?

E che dire del nome? “Doggy  bag – risponde sempre Gadda – va bene. Far finta che gli avanzi richiesti non siano per se stessi o un familiare, ma per il cane e il gatto  – e a volte lo sono  –  aiuta a superare la vergogna e a prendere l’abitudine. Si è visto che family bag funziona meno. Vedremo come andrà con l’italianissimo ‘rimpiattino’, il nome scelto per la doggy bag dopo un vero concorso’”.

Il ‘rimpiattino’ appartiene a un progetto mirato che si sta diffondendo in 12 grandi città con un’operazione ‘porta a porta’. “Da anni ci stiamo impegnando per diffondere quest’abitudine” dice Giancarlo Deidda, vicepresidente della Fipe (la Federazione italiana pubblici esercizi) e titolare di un’osteria in Sardegna. “I ristoratori coinvolti dimostrano una sensibilità molto forte, pronti a recepire il messaggio e ad attivarsi. I primi kit sono in distribuzione a un migliaio di ristoranti, altri 30mila esercizi pubblici potenzialmente potrebbero aggiungersi. I vantaggi sono evidenti anche per noi operatori del settore. Il contenitore da asporto è anche uno strumento per coccolare e fidelizzare il cliente. Non solo. È un mezzo per far conoscere ciò che si cucina, le tradizioni e le innovazioni, la cultura nel piatto. C’è un’attenzione crescente in particolare verso i turisti stranieri, soprattutto quelli che alloggiano in bed and breakfast o in airbnb. Dai ristoranti possono portare via, per così dire, un ‘pezzo di territorio’. Una cosa – conclude Deidda  – ci ha sorpreso. I clienti apprezzano pure il buon pane italiano, non solo le pietanze. Lo portano via, assieme al resto. Basta metterci sopra un giro d’olio, a casa o in campeggio, ed è ottimo, l’ideale per uno spuntino”.

Come funziona all’estero

Negli Stati uniti sono i ristoratori, sempre, a chiedere ai clienti se vogliono portare a casa gli avanzi. “Da noi non succede quasi mai. Sono i clienti che devono chiedere ai ristoratori la doggy bag” dice Ariela Mortara, sociologa dei consumi e docente dello Iulm di Milano. “Chi ha vissuto all’estero o ha viaggiato molto fuori dai confini, quando rientra in Italia mantiene l’abitudine: tende a farsi dare il cibo non consumato. Sicuramente, rispetto al passato, c’è una maggiore sensibilità per i temi del non spreco e del recupero di avanzi ed eccedenze. Chiedere o meno la doggy bag dipende comunque anche dal tipo di ristorante, oltre che dalla clientela. Difficile che accada nei ristoranti stellati o di lusso”.

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