Isabella Ferrari

Isabella Ferrari, mamma rompiscatole

  • 07 12 2015

«Anzi, soffocante». Così si definisce Isabella Ferrari, al cinema con Uno per tutti, quando parla dei suoi 3 ragazzi. Li chiama sempre al cellulare per sapere dove sono. E li vuole a cena nel weekend. «Più passa il tempo, più mi sento inutile» confida. «Però devo accettarlo: i figli non si possono possedere»

Ogni volta che Isabella Ferrari appare sullo schermo, le riesce una magia. Si cala completamente nel ruolo che interpreta eppure conserva sempre un alone di mistero, quasi di tormento. Lo fa anche nel suo ultimo film, il noir di Mimmo Calopresti Uno per tutti, in cui è la madre di un ragazzo che ferisce a morte un coetaneo durante una rissa. Ma quando la incontro, ritrovo davanti a me una donna serena, appagata, che alle domande risponde con un sorriso.

In Uno per tutti sei una donna a pezzi. «Ti dirò di più: sono una persona dura, rigida, che non ce la fa ad affrontare quello che le succede. In una parola, una fallita».

Oltre che una madre iperprotettiva. «Senza però ottenere grandi risultati. Difendo mio figlio davanti agli altri, persino davanti alla polizia, ma nemmeno so cosa ha fatto».

Che mamma sei per i tuoi 3 figli? «Soffocante (ride, ndr), però con il tempo sto migliorando. Tengo tutto sotto controllo, li chiamo tante volte al giorno, voglio sapere cosa fanno. Anche se non sono più dei bambini: Teresa ha 20 anni, Nina 17 e Giovanni 14 (Isabella ha avuto la prima dallo stilista Massimo Osti e gli altri 2 dal regista Renato De Maria, con cui è sposata dal 2002, ndr). Loro, com’è ovvio, si ribellano. Cerco di mediare, ma su certe questioni mi impunto anch’io: per esempio, ci tengo che stiamo insieme a cena, specialmente nei weekend».

Con Teresa e Nina c’è più complicità o conflittualità? «Complicità, ora. Ma con entrambe ho attraversato un periodo in cui come madre mi sono sentita messa in ginocchio».

Cosa ti ha mandato in crisi? «Il cambiamento del rapporto con loro, e di conseguenza del mio ruolo. Sei il punto di riferimento di una figlia, lei ti segue in tutto, poi all’improvviso si vuole sganciare completamente da te. E tu ti senti inutile».

Come ne sei uscita? «Evitando lo scontro diretto, tanto avrei solo peggiorato le cose. Si tratta di una fase di passaggio inevitabile: affrontarla è difficile per una figlia che cresce, ma lo è ancora di più per una madre che invecchia, come me (sorride, ndr). Dopo l’esperienza con Teresa e Nina, spero di arrivare preparata al “distacco” da Giovanni… Oggi so che non devo avere paura dei cambiamenti, perché i rapporti si evolvono. E i figli non si possono possedere».

Cosa fai insieme alle tue ragazze? «La grande, Teresa, vive a Londra dall’anno scorso: è stata un’altra rivoluzione difficile da accettare. Con la seconda condivido la cucina, mi piace quando sta con me mentre sono tra i fornelli. Andiamo al cinema e da un po’ tempo ha iniziato a chiedermi anche di visitare insieme qualche mostra: io non mi lascio scappare l’occasione!».

In questi giorni sei anche in tv: nella serie In Treatment interpreti una moglie in crisi che decide di andare in analisi. Tu lo faresti? «Sono stata in analisi quando avevo bisogno di ritrovare me stessa, il mio posto nel mondo. È un metodo che ti “sgretola”. Io sono un’istintiva: durante le sedute mi sono sentita ancora più fragile, in balia del malessere. Ma è un passaggio indispensabile per arrivare a un nuovo equilibrio».

Oggi stai bene? «Sì. Non ho più ansie da prestazione (ride, ndr). E non sono legata al passato. Sono un’attrice, so bene che la mia immagine è stata costruita sulla bellezza. Ma ho lavorato per sganciarmi da questo modello, ho sempre dato più importanza al benessere interiore che all’aspetto fisico. E in questo lo yoga mi è di grande aiuto».

Non hai nemmeno l’ansia di invecchiare? «Vivo le mie rughe e gli anni che passano con consapevolezza e gratitudine. Ogni giorno arrivo a sera senza buttare via nulla di quello che mi è successo. E tento sempre di migliorarmi, cambio strada quando sento che qualcosa stagna. Ho imparato a non avere paura di vivere».

Hai ereditato questa determinazione dai tuoi genitori? «Mio padre era un commerciante di bestiame. Un grande lavoratore, con un motto: mai lamentarsi. Quando ero piccola, la mia famiglia era povera, la terra era la nostra risorsa. Per questo i miei mi ripetevano di stare con i piedi per terra… Un insegnamento che mi ha sempre aiutato nella vita. E che oggi cerco di trasmettere ai miei figli».

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