È meglio non svelare la sorpresa racchiusa nel monologo finale di Panama Papers, il film di Steven Soderbergh ora disponibile su Netflix (a partire dal 18 ottobre). Ma bastano le parole di Meryl Streep, che di quella sequenza è protagonista, per capirne il peso: «È stata la cosa più difficile che abbia fatto in tutta la mia vita» dice con un’imprevista modestia. «La sera prima non sapevo che avrei finito il film in quel modo. La mattina sul set m’è venuta un’illuminazione, e a quel punto ero fregata: non potevo più tirarmi indietro. E, se la scena fosse venuta male, sarebbe stata solo colpa mia».

Dal vivo, la veterana di Hollywood è più piccola di quanto s’immagini: il fisico è minuto, la voce sottile. Sullo schermo, invece, resta la più grande di tutte. A 70 anni compiuti lo scorso giugno, è una diva che pensa a tutto fuorché alla pensione. «Le battute che pronuncio non sono state scritte da uno sceneggiatore: sono quelle della lettera di John Doe, nome fittizio dietro cui si cela la “talpa” della più grande truffa finanziaria degli ultimi anni. Ho rifatto quella scena tantissime volte, perché non potevo sbagliare neanche una parola. Era il documento di una persona coraggiosa, che ha condizionato nel bene e nel male le vite di moltissima altra gente in tutto il mondo. Non dovevo fallire».

Meryl Streep in una scena di Panama Papers (titolo originale: "The Laundromat")

Meryl Streep in una scena di Panama Papers (titolo originale: “The Laundromat”)

«Panama Papers affonda la lama in un territorio oscuro: tutti i governi sono stati complici». La truffa a cui allude Meryl è quella scoperchiata dai Panama Papers, ovvero i documenti che hanno inchiodato le oltre 200.000 banche e società che occultavano i loro soldi (spesso sottratti a contribuenti ignari) nei paradisi fiscali ai Tropici. A raccontarla, come narratori d’eccezione, ci sono Gary Oldman e Antonio Banderas, nei panni dei 2 titolari dello studio legale a cui si appoggiavano quelle società.

«Questo film è una commedia, ma affonda la lama in un territorio oscuro» osserva la protagonista, nel ruolo di una casalinga americana che vede sfumare i suoi risparmi dopo la morte del marito. «Questa vicenda dimostra che siamo tutti sulla stessa barca. Un uomo di estrazione tedesca (Jürgen Mossack, il personaggio di Oldman, ndr) e un altro nato a Panama (Ramón Fonseca, quello di Banderas, ndr) hanno gestito soldi provenienti da Cina, Islanda, Malta… persino quelli di Bruce Lee! La responsabilità è condivisa, tutti i governi sono complici di questo raggiro economico che privilegia l’1% della popolazione globale. Ognuno di noi è parte di questo sistema».

«Nel mio personaggio ho rivisto mia madre e l’America da cui provengo». La scena finale del film, quella più difficile per Meryl Streep, è un invito agli Stati Uniti ad alzare la testa. «Non solo contro Donald Trump» taglia corto la Streep. «La maggior parte della popolazione tende a seguire chi fa la voce più grossa. Ma ciò non significa che dobbiamo sempre supportare chi detiene la leadership. Le leggi che promulga l’amministrazione in corso vanno a vantaggio dei più ricchi. Dunque, anche a mio favore. Ma io non sono interessata a preservare questi diritti per le persone che fanno tanti soldi quanti ne guadagno io. Il mio interesse è mettermi dalla parte di chi vive ai margini, anche se mi danneggia».

Alle spalle di queste parole, c’è una questione personale. «Nel mio personaggio ho rivisto mia madre. È quella l’America da cui vengo. Una nazione di persone che guadagnano molto meno di me, ma sostengono il sistema molto più di me. C’è dell’ironia, in tutto questo. Gli americani sono gente più onesta di quanto non si racconti oggi. Vivono la loro vita, vanno in chiesa la domenica, pensano che esista una giustizia nel mondo. È quando si accorgono che non sempre giustizia c’è, che si battono in prima persona per cambiare le cose».

La gente tende a seguire chi fa la voce più grossa, come Trump. Ma ciò non significa che dobbiamo sempre supportare chi ha il potere

«Più invecchi più credi di essere sicuro delle tue opinioni. Io voglio essere destabilizzata». Dopo 3 Oscar (e il maggior numero di nomination mai ottenuto da un’attrice), decine di film con i più grandi registi e colleghi, 4 figli e il primo nipotino arrivato quest’anno, Meryl Streep non ha intenzione di fare la nonna. «Non penso al lavoro come a un compito da svolgere» dichiara con gli occhi che brillano. «Sono pronta ad accettare qualsiasi ruolo, qualsiasi rischio. Oggi la mia sfida è tenere la mente aperta al mondo. Più invecchi, più credi di essere sicuro delle tue opinioni. Perciò voglio essere destabilizzata. E magari provare qualcosa che faccia crollare le mie certezze. Se sai che puoi farti male, allora ti senti vivo. Portare a casa il lavoro e andare a dormire tranquilla non m’interessa».

Il regista Steven Soderbergh, Meryl Streep e Gary Holdman durante la presentazione del film a Venezi

Il regista Steven Soderbergh, Meryl Streep e Gary Holdman durante la presentazione del film a Venezia

Tra la campagna a sostegno di Hillary Clinton, l’appoggio al movimento #MeToo e la crociata anti-armi, Meryl Streep è più impegnata che mai. «Ma solo se ha senso. Leggo un sacco di sceneggiature su temi importanti, ma didattiche e noiose. Sono le più difficili da rifiutare. Da quando sono diventata madre per la prima volta, ho iniziato a ragionare diversamente. A farmi una sola domanda, quando mi arriva un copione: “Fa del bene o fa del male al pubblico?”. Vale per tutti i film, che si tratti di un musical leggero come Mamma Mia! o di un’operazione che fa riflettere come Panama Papers. Ho una vita sola, e voglio utilizzarla per fare quello che mi rende fiera. Ancora adesso sento di poter fare la differenza. Posso decidere di far sorridere o far pensare. E, quando c’è da lottare per qualcosa, potete sempre contare su di me».

→ Eccoti una carrellata di foto della sempre splendida Meryl Streep:

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– Con Meryl Streep in La mia Africa di Sydney Pollack, 1985

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Meryl Streep e Don Gummer sono sposati dal 30 settembre 1978.

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Il diavolo veste Prada è un film del 2006 diretto da David Frankel con Anne Hathaway e Meryl Streep il cui soggetto è tratto dall’omonimo romanzo di Lauren Weisberger.

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GLI OSCAR

L’attrice è stata nominata 21 volte e ha vinto 3 statuette d’oro.

1980 Per Kramer contro Kramer di Robert Benton

1983 Per La scelta di Sophie di Alan Pakula

2012 Per The Iron Lady di Phyllida Lloyd