Che cos’è un paradiso fiscale?
È uno Stato dove il livello di imposte è molto basso. Ma può anche offrire un sistema bancario poco trasparente e totale riservatezza su una società. Di solito sono delle isole. Come fanno quei piccoli paesi ad avere una fiscalità così bassa? “Semplice: hanno un numero sparuto di abitanti”, ci dice Paolo Ermano, professore di economia internazionale all’Università di Udine. L’obiettivo di questi ‘paradisi fiscali’ è attrarre capitali esteri, attirare flussi finanziari da altri paesi. Quindi, promettono appositamente tasse molto basse e silenzio sui controlli fiscali.
Che cos’è un conto offshore?
In finanza, una società creata in un paradiso fiscale, si chiama società ‘offshore‘. Nulla lo vieta, ma chi lo fa, dovrebbe dichiararlo al fisco e su questi soldi dovrebbe pagare le tasse nel paese effettivo dove la sua attività economica ha luogo. Tuttavia va specificato che l’obiettivo dei conti offshore è il riciclaggio di denaro sporco oppure l’occultamento di utili o proprietà proprio per non pagare le tasse su questi beni. Diverse multinazionali lo fanno per pagare meno tasse.
Dove si trovano i paradisi fiscali?
I principali paradisi fiscali sono: Antigua e Barbuda, Isole Vergini, Antille Olandesi, Dominica, Barbados – Piccole Antille (Isole caraibiche); Bahamas, Costa Rica, Belize, Panama, Guatemala, Trinidad & Tobago (America Centrale); Uruguay (America Latina); Tonga (Polinesia); Samoa, Nuova Caledonia, Salomone, Isole Marshall, Polinesia Francese, Vanuatu, Nauru, Micronesia (Oceania); Taiwan, Macao, Brunei, Malaysia (Asia); Libano, Bahrein, Oman (Medio Oriente); Gibuti, Liberia (Africa); Seychelles, Maldive (Oceano Indiano); Principato di Andorra, Cipro (Europa).
Cos’è la black list dei paradisi fiscali?
È un elenco di 46 paesi o giurisdizioni, redatto e aggiornato dal Ministero dell’Economia. Sono i paesi in cui vige una fiscalità privilegiata e che non collaborano con le autorità italiane per accertamenti sugli intestatari dei conti correnti dei nostri connazionali. Sono usciti dalla black list, quindi erano paradisi fiscali e ora non lo sono più: Lussemburgo, Svizzera, San Marino, Cayman e Hong Kong, Singapore.
Come si fa ad aprire un conto offshore?
Ci sono società apposite, in questi paradisi fiscali, che aprono e gestiscono conti offshore per conto terzi. Mossak Fonseca, lo studio legale implicato nei Panama Papers, è una di queste. A Panama, basta un giorno per aprire un conto offshore.
Come funziona un paradiso fiscale?
Proviamo a capirlo con un esempio. Avvertenza: la realtà è molto complicata e le leggi internazionali di controllo sono molto rigide. Ottenere dei vantaggi fiscali è possibile ma bisogna conoscere bene i sistemi tributari internazionali e dei paesi ospitanti, proprio per aggirarli. Ancora il professor Paolo Ermano: “Ipotizziamo di avere un’azienda: la Zeta-Co. Produciamo un certo bene e lo vendiamo. Su quello che come azienda guadagniamo (cioè sulla differenza fra ricavi e costi), dobbiamo pagare le tasse. Per pagare meno tasse, a parità di ricavi, posso aumentare fittiziamente i costi, proprio grazie a un’azienda offshore. Uno dei modi è creare un’azienda gemella, la Zeta-Co Panama, che ha sede in un paradiso fiscale (Panama appunto) dove le tasse si pagano poco. A Zeta-Co Panama, che è comunque mia, vendo un mio marchio, per cui ogni volta che come Zeta-Co Italia vendo un certo bene, devo pagare una certa quota (i diritti del marchio) anche a Zeta-Co Panama. Il prodotto, in ultima istanza, mi costerà di più. In Italia farò meno utili e pagherò meno tasse. Ma non è finita qui: a Panama, Zeta-Co Panama dovrà pagare le tasse sui soldi che Zeta-Co Italia ha inviato. Solo che la tassazione sarà molto, molto più bassa rispetto a quello che pagherei in Italia. Se nel nostro paese ho un’aliquota fiscale, poniamo, del 27%, a Panama ce l’avrò del 5%. Insomma, c’è un risparmio in tasse del 22%. Alla fine, i soldi che escono dalla porta, rientrano dalla finestra, perché Zeta-Co Panama, in ogni caso, è sempre mia. Anzi, lì saranno più al sicuro. Una vera cassaforte per i miei affari”.
Cos’è la voluntary disclosure?
La “collaborazione volontaria” (voluntary disclosure) è uno strumento che consente ai contribuenti che detengono illecitamente patrimoni all’estero di regolarizzare la propria posizione denunciando spontaneamente allo Stato. E pagando in toto le tasse su quei capitali e pure una sanzione. Le istanze di voluntary disclosure presentate dai contribuenti al Fisco, per lo più arrivate dal Nord Italia, sono circa 130mila.
Questi paradisi fiscali fanno bene o male all’economia mondiale?
Paolo Ermano, professore di economia internazionale: “Ci sono pareri discordanti. Per qualcuno sono un bene, perché favoriscono la competizione fiscale, in quanto costringerebbero i grandi paesi a diventare più efficienti e ad abbassare le loro tasse. Sulla carta, può essere vero. Nella realtà dei fatti non lo è: Panama è uno staterello che non ha le stesse esigenze e non può essere neppure paragonato a una nazione europea. Infine, una riflessione: tutti i governanti dicono che bisogna far qualcosa per ridurre questi paradisi. E negli ultimi due anni si è fatto parecchio, però il fatto che nei Panama papers ci siano anche capi di governo e potenti fa capire che anche loro sfruttano quello stesso sistema che a parole vorrebbero abbattere”.