Se oggi è vietato offendersi

Intorno a noi è tutto un offendersi, da Alessandro Cattelan a Loretta Goggi. Dai social alla politica. Perché oggi è un sentimento così diffuso? E soprattutto, ci serve? Qui le risposte

Ma tu, quando racconti una cosa sui social e poi trovi un commento sgradito che ti irride o ti fraintende, pesti subito sui tasti una risposta risentita o ci passi sopra? Se fai una proposta in una riunione di lavoro e vieni ignorato o sminuito, rimugini o minacci ritorsioni? Ti offendi, è ovvio. Anche se ti hanno spiegato che servono resilienza, gentilezza, empatia. E sei in ottima compagnia, perché se quelle sono le parole-manifesto positive dei nostri tempi, l’offendersi è la fata cattiva al battesimo della Bella Addormentata: credevamo fosse morta, e invece eccola qua. Offendersi è uno stato d’animo impresentabile. Che però racconta benissimo un’epoca in cui siamo più che mai bisognosi di essere compresi, accettati. Di piacere a tutti.

Offendersi è infantile?

Per entrare in argomento – premesso che non parliamo di offese in contesti di reato – ripensiamo a qualche esempio di suscettibilità di cui abbiamo sentito parlare negli ultimi tempi. E in cui, forse, possiamo immedesimarci anche se si tratta di personaggi famosi. C’è chi dice “non-gioco-più-me-ne-vado”, come Loretta Goggi che abbandona Facebook con un lunghissimo post dopo essere stata criticata per il suo aspetto nell’esibizione ai Seat Music Awards. Chi puntualizza “lei-non-sa-chi-sono- io”, come Alessandro Cattelan che fa un monologo di 3 minuti e 45 secondi (un’eternità in tv) per affermare che non lo sfiorano i giudizi negativi sul suo nuovo programma su Rai1 Da grande. E anche chi fa “specchio-riflesso-chi- lo-dice-sa-di-esserlo”, come Fedez e il Codacons che si rimpallano querele che finiscono in niente.

Meglio lasciar perdere o ribattere?

«Visto negli altri, l’offendersi sembra infantile» dice Giovanna Giuffredi, psicologa e life coach, fondatrice dell’associazione Life Coach Italy. «Perché nasce da una insicurezza e da una vulnerabilità. Il permaloso con- cede a chi lo ingiuria l’enorme potere di giudicare e mettere in dubbio quanto vale. E anche di modificare il suo stato d’animo». Vale a dire, di farlo sbroccare. Ma il modo adulto di reagire non sarebbe lasciare correre? «Si tratta pur sempre di una ferita dell’identità e dell’autostima. Quando siamo noi a offenderci non ci sembra una cosa futile. Più che ignorarla, dovremmo affinare gli strumenti per mettere all’angolo l’interlocutore, ridimensionarlo e proteggerci. Anziché reagire all’offesa come a una pittura nera che ci sta ricoprendo, rispondere. Non per le rime ma con una domanda: “Cosa ti fa dire quello che hai detto, puoi spiegarmi meglio?”».

Da provare: chi offende per il gusto di farlo e non ha altro di utile da dirti, così si dilegua e la catena dell’affronto si estingue. L’esatto contrario di quello che è appena successo a Grande Fratello Vip, quando il tweet dell’influencer Tommaso Zorzi: «Ottusa no, ma ricchione sì?», ha fatto diventare virale l’incrocio di offese tra Katia Ricciarelli (l’ottusa) e Alex Belli (l’altro).

Le parole sono pietre ma la disattenzione ferisce di più

Dicevamo però di non voler parlare dell’offesa come reato. E neanche dei talk show fatti apposta per indignare. Non degli algoritmi che premiano le risse verbali. Né delle strategie della politica, dalla macchina del fango della Bestia della Lega all’estremo opposto del politically correct che ammortizza ogni giudizio. Fenomeni macroscopici che creano un clima di generale inca- rognimento. Ma, appunto, su di essi sorvoliamo perché, come spiega Remo Bassetti nel suo saggio Offendersi (Bollati Boringhieri), l’offesa come reazione all’insulto è forse la meno interessante: «Credo che il puro insulto sia sopravvalutato nella sua qualità di realizzare offese durevoli. Esistono altri modi per ferire i sentimenti o la reputazione. Non intendo certo contestare che le parole siano pietre, ma vorrei aggiungere che certe forme di disattenzione sono randellate».

Ci offendiamo per tre motivi, questi

Ecco il punto di vista che ci allontana dall’arena dei social e della tv, di cui siamo forse un po’ stufi, e ci riporta alle nostre relazioni reali e alla nostre più intime permalosità. «Le offese si dividono in: “Hai detto male di me, “Hai violato un confine”, “Non ti sei accorto di me quanto o come avresti dovuto”. E quest’ultimo affronto, cioè il riconoscimento mancato, la poca attenzione, il sentire di non essere stati trattati come meritavamo è senz’altro quello che ci fa soffrire di più» spiega lo scrittore.

L’offesa che fa più male

L’offendersi per trascuratezza magari non fa salire il sangue alla testa, ma può far scendere il veleno nel cuore. Nelle relazioni d’amore e di amicizia soprattutto. «In realtà credo che le offese intenzionali siano rare. Di averti offeso, l’altro, spesso manco lo sa. Quasi sempre si tratta di disallineamenti e incomprensioni» dice Remo Bassetti. «Che però non vanno trascurati, anzi. Offendersi in questo caso è un modo per proteggere i propri sentimenti e un’occasione per leggere con chiarezza il rapporto. Tempo fa mi è capitato di risentirmi per un difetto di attenzione da parte di un amico storico e fraterno. Ci sono rimasto molto male. Poi ho realizzato che era solo l’ultima di una serie di piccole, ripetute delusioni. E ho visto la fotografia nitida della nostra amicizia. Ero io che la pensavo ancora viva, invece era ferma. Rendermene conto mi ha lasciato più sereno. Per imparare a difendersi bisogna prima imparare a offendersi». Che, spiegato così, diventa persino uno stato d’animo moderno: lo sforzo di capire il fraintendimento che si è creato trasforma l’ira funesta, pensa un po’, in empatia.

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