Donne e lavoro

In occasione della Festa della Donna, abbiamo chiesto a Isabella Covili Faggioli Presidente di AIDP (Associazione Italiana Direzione del Personale), alcuni suggerimenti da dare con empatia a tutte le donne, lavoratrici e non, cercando di cogliere quella sensibilità squisitamente femminile di una donna che si è dedicata sin da ragazzina alle Risorse Umane.

La nostra scelta non è casuale poiché Isabella ha ricoperto la carica di Direttore del Personale presso numerose aziende, e, dopo 25 anni di esperienza manageriale in azienda, ha fondato la società di Head Hunting, IC Consulting, specializzata nella ricerca di figure professionali nel settore Moda e Beni di Lusso.

"Non sono psicologa di formazione – esordisce Isabella - ma per caso, quel caso suscitato dalla professione che ho esercitato con passione per anni, mi interesso alla psicologia delle persone".

Donne e lavoro: quali soluzioni possibili?

Retorica femminista a parte, il significato dell’8 marzo è connesso storicamente al lavoro. Ed è  proprio pensando al lavoro delle donne il motivo per cui abbiamo intervistato una rappresentante (donna) delle Risorse Umane

Attenzione alle persone, sul luogo di lavoro

Che cosa vuol dire interessarsi alle persone, soprattutto sul lavoro?

Attenzione nei confronti delle persone con cui si lavora, che è la prima cosa da tener presente, soprattutto se rivesti una posizione manageriale. Significa saper cogliere i bisogni dei collaboratori anche da segnali deboli. A volte basta un saluto mancato, non per motivi volontari, per mettere in crisi l’autostima delle persone. E sul lavoro questi aspetti sono delicatissimi.

Perché il lavoro è vita, non un aspetto marginale dell’identità delle persone. Sembra scontato, ma un capo, un responsabile di funzione non può distrarsi nemmeno un momento verso i propri collaboratori, pena la perdita della fiducia in lui/lei e della motivazione sul lavoro”.

Motivazione sul lavoro

Come si trasmette la motivazione sul lavoro?

“Ascoltando con attenzione le persone, per comprendere le loro passioni e aspirazioni, i loro talenti e i loro bisogni, spesso reconditi”. Certo, quella delle risorse umane è una vocazione, oltre che una professione, la quale affonda le radici nell’amore delle persone: “è come se si avesse un’attitudine alla psicologia inserita nel DNA” – ammette con delicatezza Isabella – Se la relazione in azienda è positiva vuol dire che in qualità di Responsabile (del personale o di funzione) sei riuscito a procurare benessere alle risorse umane, che – non dimentichiamolo – sono persone.”

Capacità di mettersi nei panni degli altri, anche sul lavoro

Ma se la capacità di mettersi nei panni degli altri, la comprensione e l’ascolto sono i concetti chiave della capacità di trasmettere motivazione professionale, nella pratica come si traducono?

“Nello spiegare i perché di ciò che le persone fanno, e non impartire solo ordini; nel condividere gli obiettivi e non lasciarli nella segretezza dei quaderni delle alte cariche, in modo che si sentano parte di un processo (‘brutto’ termine da gergo business – aggiungiamo noi – a cui diamo l’accezione più squisitamente femminile di ‘famiglia aziendale’). Poi ci sono le tecniche specifiche da Risorse Umane (i questionari sul clima aziendale, i premi di incentivazione, i bonus, le verifiche ecc) – prosegue Isabella, ma questo esula dal discorso sul benessere in azienda: tu devi far sapere che ci sei, se una tua risorsa ha un problema devi avere bene in mente che non è la sola ad averlo, ma che il problema è anche dell’azienda.”

I pregiudizi sul lavoro femminile

Non si ripete mai abbastanza l’importanza di riconoscere che un problema sul lavoro impatta nella vita personale: “per questo tengo a sottolineare che parlo di benessere”. A tal proposito, cosa vuol dire una Head Hunter donna alle donne che lavorano? “Non avere paura di non perdere le occasioni. Le donne spesso si auto-limitano perché pensano di non farcela, sia per questioni contingenti legate al tempo e agli impegni familiari, sia per la paura di non avere le capacità. E invece hanno delle grandissime energie, da utilizzare nel lavoro. Così spesso sono delle ‘risorse sprecate’, perché per un pregiudizio culturale duro a morire partecipano al reddito familiare, ma non ne sono ‘fondanti’. E’ bene che le loro energie le riversino soprattutto nella famiglia, no?”– precisa con ironia.

Quante di noi – aggiungiamo – si son sentite dire da padri, amici, compagni e fratelli: “Il miglior lavoro per una donna è l’insegnante, perché hai il pomeriggio libero e l’estate piena? Così puoi dedicarti a casa e famiglia.”?

Ecco che le donne per ‘sopravvivere’ a questo pregiudizio, ma anche ad un’economia sempre più in crisi, si riversano nelle tradizionali professioni legate al concetto di cura. Scelgono cioè lavori che facilitino la conciliazione con la famiglia.

Le donne dovrebbero essere messe in condizione di lavorare

“Insomma, è una comodità di pensiero, quello di pensare che il lavoro femminile è “accessorio” alla famiglia. Cosa su cui spesso si adagiano (anche) le donne stesse. Non sempre per loro volontà, intendiamoci. Sicuramente a certi livelli hanno poche opportunità, ma se si resta nelle posizioni ‘normali’, le donne spesso si sentono penalizzate a causa del loro carico familiare. E invece bisognerebbe metterle in condizioni di lavorare – e perché no fare carriera – a prescindere dal carico familiare. L’ideale sarebbe valutare le risorse in base al risultato e non alla presenza, e fortunatamente alcune aziende illuminate stanno cominciando a farlo, evitando le riunione alle 7 di sera”.

Obiettivi da raggiungere

Altri obiettivi da raggiungere? “Recuperare l’importanza di certi valori, in primis la famiglia, senza sconfinare nella retorica femminista, ma aiutando tutti (famiglia e uomini compresi) a mettere le donne nelle condizioni di poter lavorare, e bene. Se si porta una persona ad amare quello che fa, lo fa bene e a beneficiarne non è solo la persona stessa, ma anche l’azienda”.

Lavoro femminile: le provocazioni

Mentre per l’uomo il raggiungimento del successo professionale costituisce la sua ragione d’essere (per le ragioni antropologiche che sappiamo), per la donna non è richiesto.

“Chi l’ha detto? Se devo lavorare voglio farlo bene, cerco di fare carriera non per pura ambizione, ma perché mi piace!” Ed è questo ciò che le donne devono avere bene chiaro in mente.

“Le donne vogliono tutto: è un peccato? Perché l’uomo può avere una relazione, figli e una carriera e una donna no?” Conclude provocatoriamente Isabella Covili Faggioli.

Lavoro femminile: le soluzioni

I messaggi profondi che Isabella Covili Faggioli rivolge alle donne (e agli uomini) che lavorano sono condensati nel suo libro Microsoluzioni. Piccole storie esemplari di vita d’azienda, in cui l’Head Hunter di professione racconta episodi critici della vita lavorativa, affrontati con positività e leggerezza, che non vuol dire frivolezza, ma levità. Le soluzioni nel lavoro, spesso piccole, si rivelano sorprendentemente efficaci nella loro semplicità. Su Bol.it a prezzo scontato.

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