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Tiroide e stress: che legame c’è

C’è un legame molto stretto tra la ghiandola della tiroide e la nostra psiche. Lo abbiamo toccato con mano proprio in questi due anni di pandemia. La fatica emotiva ha “sballato” gli equilibri ormonali di molte. Adesso è il momento di correre ai ripari, con nuove terapie su misura

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Nell’inventario dei danni da Covid ora ci sono anche i disturbi alla tiroide che in questi due anni sono aumentati. Uno studio italiano appena pubblicato ha scoperto in chi si è ammalato (anche in forma asintomatica) una maggiore diffusione delle tiroiditi sub-acute, cioè di infiammazioni alla ghiandola. La speranza è che sia un danno transitorio, però è presto per dirlo. Ma ci sono anche effetti indiretti.

Tiroide e ipotiroidismo

Lo stress da pandemia ha provocato un’impennata dei casi di ipotiroidismo, disturbo che spesso viene diagnosticato in ritardo perché l’ansia, gli sbalzi d’umore e la mancanza di energia che lo caratterizzano vengono confusi con la depressione. Ci spiega tutto Annamaria Colao, presidente della società che riunisce gli endocrinologi.

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Com’è possibile scambiare un problema alla tiroide per depressione?

«Può succedere perché la tiroide ha un effetto importante sulla psiche. E quando si alterano i valori degli ormoni tiroidei, il tono dell’umore cala, lasciando spazio a tristezza, sonnolenza, mancanza di energia. Per questo, soprattutto se in famiglia non ci sono precedenti di malattia depressiva, se ci si sente giù e apatici è meglio sottoporsi agli esami del sangue per escludere l’ipotiroidismo, cioè un funzionamento rallentato della ghiandola. È il disturbo più comune, quando si parla di tiroide, e soprattutto più diffuso tra noi donne: pensi che ne soffriamo all’incirca otto volte di più rispetto agli uomini».

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Ci sono dei segnali da tenere d’occhio?

«Bisogna sospettare un problema di tiroide pigra se ci si sveglia spesso con gli occhi oppure le dita delle mani gonfie senza una ragione e, in più, ci si alza già stanche. A maggior ragione se ci sono altri disturbi dell’umore, cali di memoria, flusso mestruale alterato. In presenza di sintomi del genere l’indagine è semplice: si controllano i livelli degli ormoni tiroidei, cioè FT3 e FT4, prodotti direttamente dalla ghiandola, e TSH. In caso di ipotiroidismo conclamato, come lo definiamo noi medici, quest’ultimo valore è elevato e gli altri due sono bassi. Quando è così si inizia subito la terapia. Si ricrea l’equilibrio ormonale e, oltre a recuperare la salute, ci si sente meglio emotivamente».

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E se a essere sballato è solo il TSH?

A volte succede però che si ritirano le analisi e si scopre che a essere sballato è solo il TSH.
«Anche se gli altri valori sono nella norma non sottovalutiamo mai le variazioni del TSH, l’ormone secreto dall’ipofisi che stimola la tiroide a produrre FT3 e FT4. Perché segnala un ipotiroidismo subclinico o lieve e questo disturbo spesso è causato dalla tiroidite di Hashimoto, malattia autoimmune sempre più diffusa, legata a doppio filo con lo stress. In questo caso non è detto che si debba ricorrere sempre alla terapia, bisogna fare un’attenta valutazione basata anche sull’età. Le faccio un esempio pratico. Prendiamo una paziente over 70-75 con un TSH superiore a 4 mlU per litro ma non oltre 10 (il confine tra ipotiroidismo lieve e conclamato, ndr). Se gli altri ormoni sono nella norma e non ci sono sintomi, ci si ferma a controlli ravvicinati. Questo perché negli anziani un lieve ipotiroidismo non è negativo per l’organismo. Negli altri casi invece iniziamo subito la cura, perché è alta la probabilità che si scatenino rapidamente i disturbi».

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Come è cambiata la terapia?

«Il farmaco usato in caso di ipotiroidismo oppure se la ghiandola è stata asportata con un intervento chirurgico, è sempre la levotiroxina, che sostituisce l’ormone naturale prodotto dalla tiroide. Ma sono cambiate molte cose. Una delle ragioni che portava all’abbandono della cura era la necessità di lasciar passare un’ora, la mattina, tra l’assunzione della compressa e la colazione. Lo si faceva per facilitarne l’assorbimento, ma oggi il tempo di attesa si è ridotto a 20 minuti, grazie a molecole di nuova generazione che riducono le “perdite” di principio attivo nel transito dallo stomaco. In più ci sono formati diversi, che ci permettono di personalizzare la terapia».

In che senso?
«Le capsule gelatinose, come provano gli studi, riducono in modo più efficace i livelli di TSH rispetto alle compresse: per questo vengono preferite per la cura dell’ipotiroidismo lieve e sono particolarmente adatte agli anziani. Le gocce oggi esistono anche in versione senza alcol, più indicate se si stanno seguendo altre terapie perché evitano il rischio di interazioni. Le ultime arrivate sono le fiale sublinguali che garantiscono buoni risultati anche in chi ha problemi gastrici importanti che provocano malassorbimento. Con le fiale si aggira il problema perché il principio attivo viene assorbito direttamente dalla mucosa della bocca».

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