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Tumore alla tiroide: le ultime cure innovative

L'ablazione oggi rende possibile la cura del cancro alla tiroide, che colpisce soprattutto le donne, in modo meno invasivo. Ecco come

Nel 2030 il cancro della tiroide sarà per frequenza il secondo cancro nelle donne, inferiore solo al cancro della mammella. A indicarlo sono recenti statistiche statunitensi e modelli di proiezione.

Tumore alla tiroide: le ultime terapie

L’attenzione, dunque, è alta, ma rispetto al passato oggi esistono nuove terapie innovative e meno invasive. «Alcuni anni fa era prescritta cura farmacologica con l’ormone prodotto dalla tiroide, la tiroxina, con la presunzione che ciò avrebbe arrestato la crescita dei noduli benigni. Ma nel tempo è caduta in disuso dopo che è stata dimostrata la sua inefficacia», chiarisce Roberto Valcavi, specialista in Endocrinologia e Medicina Interna, e presidente dell’Associazione T.N.T. (International Association of Thyroid Nodules Therapies). Dopo essere tornati alla chirurgia tradizionale anche per i noduli benigni, però, «di recente sono state sviluppate forme di terapia selettiva, che mirano a eliminare il nodulo là dove si trova, senza asportare nulla, quindi ricorrendo a un’ablazione – spiega ancora Valcavi – Si tratta di tecniche ecoguidate minimamente invasive, per le quali non sono necessarie incisioni chirurgiche».

Tumore alla tiroide: niente più grandi cicatrici

Le nuove tecniche permettono interventi con «un disagio minimo del paziente. L’anestesia è leggera e non prevede la intubazione e la ventilazione assistita come invece di norma avviene per l’asportazione chirurgica della tiroide». Spiega Valcavi, che ha introdotto l’ecografia tiroidea dal 1986 e nel 1999 ha fondato l’AME, Associazione Italiana Endocrinologi. Oggi Valcavi è direttore dell’E.T.C. (Endocrine Thyroid Clinic) di Reggio Emilia. Secondo la American Thyroid Association, la società scientifica Statunitense della Tiroide, «è sufficiente un intervento di lobectomia (asportazione di un solo lobo) per tumori di diametro inferiore al centimetro senza invasione dei tessuti circostanti e senza metastasi nei linfonodi del collo. Comunque sia realizzato – ricorda Valcavi – il metodo di asportazione chirurgica è un approccio demolitivo. Sostanzialmente si tratta di asportare tutta la ghiandola o parte di essa, quella cioè contenente i noduli indesiderati.

I vantaggi dell’ablazione

Oggi, invece, esiste una nuova soluzione: la terapia ablativa minimamente invasiva». Tra le conseguenze c’è la possibilità di evitare vistose cicatrici sul collo, ma non solo. «Il beneficio maggiore è che la terapia ablativa non danneggia il tessuto tiroideo (parenchima) sano, indenne dal nodulo o dal tumore, ma elimina selettivamente il nodulo tiroideo. Perciò il vantaggio principale delle terapie ablative, al di là di un decorso post operatorio molto più rapido e molto più semplice rispetto ad un intervento chirurgico, è che sono meno invasive e con minori effetti collaterali». Spiega l’endocrinologo, promotore con la TNT della campagna #Salvalatuatiroide, che sarà ricordata anche in occasione del Secondo Meeting Internazionale sulle Terapie Ablative Tiroidee, il 23 e 24 giugno a Reggio Emilia.

Perché non se ne parla

Ma perché è necessario sensibilizzare a terapie meno invasive, se queste sono già disponibili? «Queste tecniche stentano ad affermarsi a causa delle resistenze dei medici stessi alla innovazione e alla oggettiva carenza di preparazione degli specialisti su questa materia. Ai pazienti non viene generalmente offerta la possibilità di fare terapie di ablative per noduli benigni e maligni della tiroide, ma semplicemente sono indirizzati all’intervento chirurgico classico», chiarisce l’esperto.

Le altre tecniche più nuove

Eppure di tecniche nuove ne esistono: «Sistemi quali laser, microonde, radiofrequenza, consentono di immettere onde elettromagnetiche di varia lunghezza d’onda ed intensità all’interno del nodulo per mezzo di aghi piuttosto sottili, causando un aumento della temperatura. È sufficiente la esposizione delle cellule nodulari e/o tumorali per un solo secondo alla temperatura di 60 °C per causarne la distruzione», spiega Valcavi.

I vantaggi della radiofrequenza

La radiofrequenza si è rivelata la migliore tecnologia per la eliminazione dei noduli tiroidei benigni e maligni. Espone il tessuto alla temperatura di soli 70-90 gradi centigradi, sufficienti a distruggere le cellule tumorali sia benigne sia maligne senza causare carbonizzazione, che invece avviene in parte con altre tecniche come le microonde e il laser, che portano a un incremento della temperatura rispettivamente tra i 120/140 °C e fino ai 400-700 °C. «La carbonizzazione non può essere in alcun modo riassorbita e resta un marchio perenne della ablazione. Per questo motivo i sistemi che operano a più basse temperature come la radiofrequenza sono da preferire», conferma l’esperto.

L’aumento dei tumori alla tiroide: perché?

Poter disporre di tecniche nuove diventa ancora più importante, se si considerano le previsioni di aumento dei tumori alla tiroide. Ma perché? «Sicuramente uno dei motivi principali è il fatto che oggi si trovano più casi perché le metodiche diagnostiche sono più accurate e diffuse. In particolare l’ecografia è il primo strumento e oggi i pazienti si sottopongono a esami per vari motivi. Ad esempio, può capitare che le donne durante una visita ginecologica controllino la mammella e anche la tiroide stessa. Oppure che pazienti in follow up facciano tac e risonanze magnetiche, scoprendo incidentalmente delle lesioni», risponde l’endocrinologo.

Colpa anche dell’inquinamento

Anche gli agenti inquinanti, però, rimangono sotto i riflettori. «Si è ipotizzato un ruolo da parte di ftalati e bisfenoli, utilizzati per oggetti di plastica come utensili da cucina, giocattoli, bottiglie o scontrini della spesa. Sono stati accusati, a torto o a ragione, di essere interferenti endocrini, ma le evidenze scientifiche sul fatto che siano responsabili anche dell’aumento di patologie tiroidee sono ancora molto deboli», conclude Valcavi.

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