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Valentina Vignali e il tumore alla tiroide

Come si riconosce e si cura il tumore alla tiroide, la malattia di cui ha parlato Valentina Vignali, ex volto di Uomini e Donne e Grande Fratello. Perché è una patologia soprattutto femminile e le nuove terapie

Il post di Valentina Vignali

«C’è una costante in questi 10 anni di malattia che non mi abbandona, è sempre la stessa domanda “Ma non hai paura? No, non ho paura di qualcosa che non posso controllare”: così su Instagram Valentina Vignali, già volto di Uomini e donne e del Grande Fratello, parla del tumore alla tiroide che la colpì 10 anni fa. «Posso combattere ma non aver paura» ha aggiunto, spiegando di sottoporsi a controlli di routine ormai da 10 anni, insieme a visite e radioterapia ciclica.

«Purtroppo prima della terapia mi hanno trovato dei linfonodi con metastasi e quindi adesso devo fare dei controlli periodici» ha infatti raccontato dal proprio account social.

Noi abbiamo chiesto di che patologia si tratti e perché colpisca soprattutto le donne a Laura Fugazzola, professoressa ordinaria di Endocrinologia all’Università degli Studi di Milano e responsabile del Centro Tiroide dell’Istituto Auxologico italiano – Milano.

Cos’è il tumore alla tiroide

«Il tumore alla tiroide è un tumore molto raro, a differenza della patologia nodulare, cioè i semplici noduli alla tiroide. Se questi ultimi sono presenti nel 50% delle donne sopra i 50 anni di età, quindi molto frequenti, il tumore alla tiroide colpisce solo il 3-4% della popolazione femminile» chiarisce l’endocrinologia.

Che differenza c’è tra noduli e tumore?

«L’incidenza dei noduli è molto alta soprattutto in Italia e tra i motivi c’è una relativa carenza di iodio del territorio in cui viviamo. Ma soltanto una piccolissima percentuale di noduli, pari appunto a 3 o 4 casi su 100, è maligna, anche nei giovani» spiega Fugazzola. Proprio l’età, però, può rappresentare un campanello d’allarme: «Quando c’è un nodulo in una persona giovane è un po’ più probabile che sia maligno – spiega l’esperta – perché non legato a una carenza iodica, bensì a una mutazione, che è ciò che provoca il tumore. Per questo è meritevole di attenzione e di una valutazione medica».  

Perché il tumore alla tiroide è una malattia femminile?

«Tutte le patologie alla tiroide sono più frequenti nel genere femminile, ma la vera motivazione non si conosce. Ci sono diverse ipotesi sulla comparsa dei noduli. La più probabile è che gli estrogeni, gli ormoni tipicamente femminili, facciano sì che con le urine si espella anche lo iodio. E la carenza di iodio è proprio alla base della patologia nodulare. Per il tumore, invece, che colpisce maggiormente le donne in un rapporto di 4 a 1 rispetto agli uomini, non si conosce la causa. Anche in questo caso le ipotesi sono molte e alcune riguardano la presenza degli estrogeni, ma non c’è nulla di certo» spiega l’endocrinologa.

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Sintomi e diagnosi del tumore alla tiroide: come si riconosce?

«Noduli e tumore sono asintomatici. Spesso si scoprono in modo accidentale, magari nel corso di altri accertamenti, se per esempio il ginecologo durante la visita decide di controllare anche la tiroide. Ma essendo i noduli così frequenti nelle donne, specie dopo una certa età, non sono consigliati controlli di routine – chiarisce la professoressa Fugazzola – Sottoporsi a esami periodici, come ecografie alla tiroide, innescherebbe nel paziente solo una preoccupazione inutile. Una volta scoperto il nodulo, occorre invece valutare se sia il caso di procedere a un esame specifico, che è l’agoaspirato: non essendo pensabile proporlo per tutti i noduli si seguono le linee guida, con le caratteristiche che rendono sospetto un nodulo. Tra queste c’è l’età: in un giovane si procede quasi sempre».

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I sintomi dei problemi alla tiroide

Attenzione, invece, a non confondere il tumore o i noduli con un’alterazione della funzione della tiroide: in questo caso i sintomi sono quelli classici, come per esempio una variazione di peso insolita e non legata ad altri motivi.

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Le nuove terapie per il tumore alla tiroide: come si cura?

«Oggi esistono tre possibilità, a seconda dei casi. La prima, se il nodulo è più piccolo di 1 centimetro, non in una posizione pericolosa o non ci sono metastasi, è la cosiddetta “sorveglianza attiva”: si tiene sotto osservazione e non si opera, perché i dati le ricerche ci dicono che questo tipo di nodulo cresce molto molto lentamente. Se poi si dovessero rilevare aumento delle dimensioni o metastasi, allora si interviene chirurgicamente in modo che il “ritardo” non abbia impatto sulla prognosi – spiega Fugazzola – Ecco quindi la seconda opzione: la lobectomia, cioè si toglie solo la parte dove è contenuto il tumore. Oppure – terzo caso – si procede invece con una tiroidectomia totale, cioè viene asportata tutta la tiroide con eventuali linfonodi metastastici»

Lo iodio radioattivo e la chemioterapia

«In una minoranza di casi si prevede anche una terapia con lo iodio radioattivo: una piccola porzione di tessuto sano e le eventuali metastasi captano lo iodio, che entra nelle cellule e distrugge dall’interno eventuali residui. È una terapia molto efficace: nel 90% dei casi oggi la prognosi di tumore alla tiroide è positiva. Ma per quel 10% di forme più aggressive, oggi si può anche contare su altri farmaci – prosegue l’esperta – che sono una sorta di chemioterapia, con compresse che il paziente può assumere direttamente da casa e che rendono queste patologie molto ben curabili”.

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