Divorzio: se la ex convive non perde il diritto all’assegno

Una sentenza della Cassazione fa chiarezza sugli “alimenti” che spettano (o non spettano) se si va a vivere con un nuovo compagno: nel caso oggetto della sentenza, la ex moglie ha anche avuto un'altra figlia ma non perde il diritto all'assegno in virtù del contributo dato nel precedente matrimonio

Assegno sì, no, forse. Cosa accade dopo un divorzio, se uno dei partner inizia una nuova relazione e anche una convivenza? Cosa succede all’assegno di mantenimento? Da diverso tempo è stato sancito che il diritto agli alimenti, qualora spetti, non è dovuto per tutta la vita. Adesso una sentenza della Cassazione fa ancora più chiarezza e conferma alcune indicazioni.

Cosa succede con una nuova convivenza

Il caso sul quale sono stati chiamati a pronunciarsi i Supremi giudici riguarda quello di una donna – divorziata e convivente con un nuovo compagno da cui ha anche avuto una figlia – contro la sentenza con cui i giudici d’appello di Venezia avevano escluso l’obbligo di corrisponderle l’assegno divorzile da parte dell’ex coniuge. Il motivo era legato proprio alla nuova convivenza. Ma per i giudici della Cassazione questa condizione non comporta la perdita automatica, se esistono alcune circostanze ben precise. Si tratta di una sentenza importante, per molti aspetti: «Innanzitutto, è stata emessa dalla Cassazione a “Sezioni Unite”, cioè in quella particolare conformazione del collegio giudicante che è chiamata a uniformare l’interpretazione su determinate questioni di diritto sulle quali la giurisprudenza è divisa. Negli ultimi tempi, infatti, sul tema erano state emesse sentenze contrastanti» chiarisce l’avvocata Claudia Rabellino Becce, esperta matrimonialista.

Sì all’assegno, ma non per sempre

Nel pronunciamento viene chiarito che il diritto a rifarsi una vita, instaurando una nuova relazione e anche una convivenza, non comporta la perdita automatica e integrale dell’assegno di divorzio. Esistono, però, dei “requisiti” che ora i Supremi giudici hanno chiarito con una sentenza emanata a sezioni unite civili e lunga ben 41 pagine: «Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge in funzione esclusivamente compensativa. L’ex coniuge «in virtù del nuovo progetto di vita e del principio di autoresponsabilità, non può continuare a pretendere la corresponsione della componente assistenziale dell’assegno, ma non perde il diritto alla liquidazione della componente compensativa dell’assegno».

Cosa significa? «Nella prima parte si sottolinea la funzione assistenziale dell’assegno, quella a tutela del coniuge che non abbia “mezzi adeguati” di sostentamento o sia impossibilitato a procurarseli per ragioni oggettive; nella seconda parte, invece, si punta a compensare e riequilibrare le posizioni economiche dei coniugi, tenendo anche conto dell’apporto di ognuno allo svolgimento della vita famigliare. In questo caso, per esempio, si valorizza economicamente il contributo “invisibile” della moglie che abbia sacrificato in parte o totalmente la sua carriera per assumersi determinati carichi famigliari e di supporto alla carriera del marito» spiega l’avvocata. È chiaro, quindi, che una nuova convivenza può sopperire alla mancanza di mezzi adeguati, ma non cancella le scelte compiute nel corso del primo matrimonio.

L’assegno in proporzione alla durata del matrimonio

Un altro principio importante che viene sancito è che per quantificare l’importo del sussidio si deve tenere conto della durata del matrimonio, «purché provi il suo apporto alla realizzazione del patrimonio familiare, o del patrimonio personale dell’ex coniuge». In questo caso non si tratta di una novità, perché già previsto dall’art 5 della legge 898/70, la cosiddetta legge sul “divorzio”. Peraltro si tratta di buon senso”: «Pensiamo, per esempio, ai sempre più frequenti divorzi “silver”, quelli che si realizzano generalmente dopo i 50 anni e dopo una vita in comune. L’esigenza di tutelare economicamente chi con il proprio apporto “invisibile” abbia contribuito alla formazione del patrimonio di famiglia è evidentemente più forte che in un matrimonio “lampo”» conferma l’esperta.

Non si può non lavorare

In qualche modo i Supremi giudici hanno anche ribadito che non è possibile intendere l’assegno come una fonte di reddito alternativa al lavoro o un alibi per non trovarne uno nuovo, soprattutto quando esistono i requisiti per poterlo fare, in base ad età, qualifiche, ecc. Gli “ermellini”, infatti, scrivono che bisogna considerare, nel quantificare l’assegno, le «eventuali rinunce concordate ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio». La liquidazione, però, deve essere «per un periodo circoscritto di tempo». «L’assegno divorzile non può essere una “rendita di posizione”, la società è cambiata e lo è anche il concetto di matrimonio. Certo, occorre valutare caso per caso, avendo sempre cura di tutelare il coniuge “debole”» dice Rabellino Becce.

Il “tenore di vita” non conta

Un altro chiarimento importante riguarda il fatto che l’assegno divorzile «anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale (cioè all’interno del matrimonio, NdR), né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge». «Il concetto di “tenore di vita” ha caratterizzato gli anni ’90 sino alla famosa sentenza “Grilli” dell’11 maggio 2017, n. 11504, che lo ha cancellato. Oggi questo criterio rimane solo nella determinazione dell’assegno di mantenimento attribuito in sede di separazione, perché qui il vincolo coniugale è allentato, ma non ancora reciso» precisa l’esperta.

Il ruolo di giudice, avvocati e mediatori familiari

Trovare un accordo che sancisca la fine di un matrimonio, però, si sa che non è sempre semplice. Per questo la Cassazione ribadisce l’importanza dell’attività «propositiva e collaborativa» del giudice, degli avvocati e dei mediatori familiari per raggiungere la soluzione «più rispondente agli interessi» delle persone. «Sicuramente la mediazione è uno strumento che aiuta i Giudici ma, se usato bene, è una risorsa importante anche per i coniugi che, nel loro momento di massima conflittualità, necessitano di qualcuno che li supporti nel trovare, al di là di rabbia e rancore, la soluzione migliore per loro e soprattutto per i figli» spiega Rabellino Becce, che chiarisce infine: «L’assegno divorzile cessa automaticamente solo in un caso: quando il coniuge percipiente passa a nuove nozze. In tutti gli altri casi la modifica o cancellazione deve essere pronunciata dal Giudice a seguito di ricorso dell’interessato. Inoltre non è cristallizzato per sempre, è sempre modificabile su richiesta se cambiano le condizioni valutate in sede di concessione».

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