Come diventare imprenditrici in tempi di pandemia

Crescono le imprese in franchising a conduzione femminile: meno rischi, più possibilità di mettersi in proprio e conciliare lavoro e famiglia. Ecco dove investire con l’emergenza sanitaria

Fare impresa al femminile si può, anche in piena emergenza sanitaria a causa del Covid, ma soprattutto possono farlo le donne che aspirano a diventare manager di se stesse. La strada è quella del franchising che, secondo i dati del Rapporto Assofranchising Italia 2020 – Strutture, Tendenze e Scenari, conta sul 35% di imprenditrici contro il 22% di donne impegnate in attività in proprio di tipo tradizionale. A sorprendere è soprattutto il fatto che le imprese a conduzione femminile lo scorso anno sono aumentate di più di quelle maschili (+2,9% rispetto allo 0,3%), nonostante le donne imprenditrici debbano fare i conti con una serie di limitazioni oggettive: la difficoltà ad accedere al credito per avviare un’attività, o perché insufficiente o perché rifiutato (il cosiddetto credit crunch, su cui pesa la minor fiducia nelle imprese femminili), gli ostacoli nel conciliare il lavoro con la vita privata (specie se si hanno figli) e una minore propensione al rischio. Il franchising, però, permette di aggirare molti di questi ostacoli.

Perché conviene

Secondo il IV Rapporto sull’imprenditoria femminile di Unioncamere, solo una donna su cinque (20%) ricorre al credito bancario per avviare la propria attività, spesso sfiduciata in partenza dal cosiddetto credit crunch, la difficoltà a ottenere un prestito o la sua inadeguatezza, che pesano nell’8% dei casi, il doppio rispetto a quanto accade agli uomini. Questo spinge le imprenditrici a non fare neppure domanda per paura di un rifiuto, come accade l’8% delle volte (il 4% per gli uomini). «Essere parte di una rete che fa capo a un brand riconosciuto permette di diventare un “debitore privilegiato”, perché la banca potrà accertarsi degli andamenti, guadagni e altri parametri della casa madre e, insieme alla solidità della singola imprenditrice, potrà essere più propensa a concedere il finanziamento per avviare l’attività» spiega Augusto Bandera, Segretario Generale di Assofranchising.

Molti brand (in questo caso chiamati franchisor) hanno anche accordi con alcuni istituti di credito o possono segnalare all’aspirante imprenditrice fondi e finanziamenti disponibili per nuove attività imprenditoriali.

Il sistema dell’affiliazione commerciale a un brand permette anche di sfruttarne la visibilità già presente a livello nazionale o internazionale e di appoggiarsi a una struttura consolidata, che ad esempio abbia già campagne pubblicitarie e politiche di promozione, procedure di acquisto presso magazzini predefiniti e, non ultimo, che possa supportare nella gestione delle pratiche burocratiche necessarie iniziali. Il franchising permette, inoltre, permette spesso una maggiore flessibilità, indispensabile soprattutto per le madri lavoratrici. In Italia, infatti, le donne lavorano meno degli uomini: 67,3% contro il 79%, con un record negativo del 59% alla nascita del primo figlio, rispetto a una media europea del 75%. Eppure, proprio grazie all’affiliazione commerciale, ci sono esempi di donne che sono riuscite a coronare il sogno di diventare imprenditrici.

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La storia di Beatrice: «È come buttarsi nel vuoto, ma col paracadute»

Beatrice Corradini ha 52 anni e due figli di 24 e 11, ma soprattutto è riuscita nella sfida di mettersi in proprio, lasciando un posto di lavoro sicuro poco dopo il divorzio: «Fino al 2002 ero responsabile commerciale di una multinazionale dei trasporti, ma non mi piaceva il lavoro che facevo perché mi sentivo poco valorizzata. Mi sono licenziata, quando il mio primogenito aveva 7 anni e dunque ancora piccolo. Ho valutato l’idea di mettermi in proprio, poi ho scelto il franchising rilevando un negozio di MBE Mail Boxes Etc. a Mantova, che non andava bene. Ho ricominciato da capo, ma è stato come buttarsi col paracadute» racconta Beatrice, che oggi è Business Owner di MBE a Mantova e a capo di un team di 40 persone, 20 delle quali sono donne e molte sono madri, che però possono contare su una politica di welfare che consente loro di conciliare lavoro e famiglia.

«Io stessa avevo bisogno, al pomeriggio, di seguire mio figlio e così con le mie collaboratrici abbiamo creato una zona ristoro con cucina, dove i bambini potessero fare i compiti o mangiare qualcosa con le madri». Dopo il primo centro MBE in franchising, Beatrice ha aperto altri 4 punti vendita tra Mantova e Verona e vorrebbe ampliare ulteriormente la rete in altre zone, contando su un fatturato che non è calato neppure durante la pandemia.

«Anche in pieno lockdown e in fase di riapertura non ci siamo fermati, alternando i settori nei quali impegnarci: le spedizioni, ma anche la comunicazione, sfruttando tutti i servizi del marchio della casa madre. Ad esempio, utilizzando i nostri creativi per mettere a punto loghi e scritte da stampare su nastri adesivi che poi sono diventati necessari in fase di riapertura per segnalare i percorsi obbligati, le norme e le indicazioni di comportamento che si trovano negli uffici pubblici o privati» spiega l’imprenditrice.

Dove investire in epoca Covid

In un momento di crisi economica legata alla pandemia e alle incertezze sul futuro, quali sono i settori sui quali investire? «Il panorama è stato completamente stravolto negli ultimi 6/8 ed è difficile fare previsioni. I settori che al momento reggono sono quelli del medicale, salute e nutrizione. Per esempio, i negozi di ottica, che pure hanno risentito del colpo del lockdown, stanno tenendo perché di occhiali o lenti a contatto si continua ad avere bisogno. Anche la vendita di integratori e prodotti per la nutrizione continuano a funzionare perché chi li acquista non rinuncia a un’abitudine consolidata; i prezzi, seppure non sempre banali, sono sostenibili e non c’è necessità di rinunciare a questo tipo di merce, come invece accade con i capi di abbigliamento di fascia medio alta – spiega Bandera – Chi invece soffre è la ristorazione, sia a causa dello smart working, che ha tolto buona parte della clientela, sia per via di micro lockdown o coprifuoco. Alcuni si sono convertiti al delivery, ma la consegna a casa dei piatti pronti non è tale da compensare le perdite dell’attività normale».

Che capitale iniziale serve?

Circa un terzo di chi ha scelto il franchising ha fatto un investimento iniziale sotto i 20mila euro, al netto delle eventuali spese di ristrutturazione del negozio, mentre nel 65% dei casi la cifra non ha superato i 50mila euro, spiega Bandera, che ha inaugurato il Salone Franchising Milano: «Poco meno della metà delle nuove imprese è stata aperta su piccole superfici, tra i 20 e i 40 mq. Indipendentemente dal settore, quindi, possiamo dire che per aprire un punto vendita di media grandezza su strada occorrono circa 40mila euro che, con una ristrutturazione contenuta, arrivano a 50mila euro. Diverso è il caso della ristorazione, per la quale occorrono attrezzature costose e maggiori interventi di messa a norma dei locali, a meno di non rilevare un’attività dello stesso tipo. Se invece si punta a un negozio di scarpe o borse, di piccole dimensioni (intorno ai 20mq), per il quale è sufficiente una scaffalatura a parete possono bastare 25/30mila euro» dice Augusto Bandera, che aggiunge: «Un vantaggio del franchising è infine quello di non dover anticipare capitali per l’acquisto della merce, che nella maggior parte dei casi è fornita dal brand in conto vendita. Questo permette di risparmiare sul costo iniziale per riempire il negozio e anche di non perdere denaro, nel caso di invenduto, che viene semplicemente restituito alla casa madre»

A seconda del tipo di franchising, il contratto può prevedere una «tassa» di ingresso per chi aderisce all’affiliazione oppure una percentuale sul fatturato complessivo in cambio dello sfruttamento del brand o ancora una percentuale sul costo del prodotto che viene venduto.

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