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«Cara Stella, quando faccio sesso col mio compagno, lo trovo violento. Per carità, non sono un’educanda, mi è sempre piaciuta una sessualità decisa, libera, diretta… ma adesso, per ragioni che non so, i miei gusti sono cambiati. Il fatto che lui debba essere quasi aggressivo, e che debba “inscenare un porno” (il repertorio di atteggiamenti è sempre lo stesso: ti afferro, ti tiro, ti strozzo, ti schiaffeggio), mi mette a disagio. Non lo trovo eccitante, lo trovo grottesco. Non mi sento sedotta, mi sento goffamente usata. E il piacere così lo confino ai momenti di autoerotismo» (M.P.)

Cara M.P., perché non provi a parlargliene? Nella mia modesta esperienza di confidente (dal vivo, delle amiche, e online, delle lettrici), mi pare un topos ricorrente: la difficoltà a comunicare ciò che desideriamo, quali fantasie abbiamo, ciò che ci piace e ciò che non ci piace. Perché è così difficile? Perché abbiamo paura di ferire l’altro, di esporci troppo (eppure il sesso dovrebbe servire esattamente a questo: spogliarci), di sentirci giudicati e incompresi. Dunque taciamo, incuranti del fatto che il sesso è molte cose, ha un miliardo di significati possibili, ma è soprattutto un atto di comunicazione (verbale, non verbale, fisica, cerebrale) tra due o più persone. Come facciamo a essere in sintonia, se non ci sentiamo l’un l’altro? Come facciamo a godere se non ci cogliamo, non comunichiamo e non ci scop(r)iamo più?