Una maestra speciale

Primo: ascoltare. Secondo: sporcarsi le mani (nell’orto). Sono i  segreti di Nadia Nicoletti, un’insegnante fuori dal comune che, tra  carote e zucchine, riesce a trasformare le materie in racconti  avvincenti. Perché con gli alunni, più del sapere conta il saper fare…

Se al nido muovono i primi passi, alla materna sanno già litigare e alle medie si sentono grandi, è alla scuola primaria (le elementari di una volta) che i bambini imparano davvero. A studiare, ma anche a stare al mondo. E ora che mancano pochi giorni al suono della campanella, per i genitori iniziano le preoccupazioni: «In che mani finirà mio figlio?». Le mani, Nadia Nicoletti, 54 anni, maestra “per passione” e autrice di libri sulla scuola,le usa tantissimo. Non fraintendete (anche se, con i tanti casi di cronaca, il sospetto è dietro l’angolo):nulla nel suo metodo educativo ha a che fare con le maniere forti. Lei, le mani, se le sporca volentieri di terra perché, con i suoi piccoli allievi, coltiva l’orto a scuola, in un paese del Trentino, Villazzano. «A contatto con i fiori e le verdure i bimbi capiscono che, più del sapere, conta il saper fare» spiega.«E si esercitano in tutte le materie: geometria (misurando il terreno), poesia (basta il sorriso di uno spaventapasseri), matematica (pesando sulla bilancia carote, pomodori e zucchine), storia (con il racconto del mais che attraversa l’Oceano con Cristoforo Colombo per arrivare a noi dalle Americhe). Certo, non è un mestiere semplice. Ma ce n’è uno ancora più duro: essere genitori. Mamme, papà e maestre devono essere una squadra affiatata».

Qual è il segreto per andare d’accordo?

«Ascoltare non solo i bambini, ma anche i genitori. Spesso a scuola ci accorgiamo che i piccoli hanno un talento che va incoraggiato e di cui, magari, i familiari sono all’oscuro. Oppure notiamo alcune difficoltà di apprendimento,come forme di dislessia,su cui occorre intervenire subito. Parlarne con tempestività alle mamme e ai papà, quindi, si rivela essenziale. E da parte loro serve fiducia nel nostro ruolo di educatori».

Ma che cosa significa davvero educare?

«Fare luce sulle risorse dei bambini. Non vuol dire istruire e basta (quello può farlo anche un computer).La maestra deve dare anche l’esempio e “tenere botta” a ogni loro perché».

I bimbi fanno domande imbarazzanti?

«A volte mi mettono in difficoltà, se chiedono cose che non so. Ma in questi casi, dico:“Ve lo spiego domani. Stasera vado a casa a studiare per prepararmi e potervi rispondere”. Così si incuriosiscono molto, capiscono che lo studio è utile e appassiona anche i grandi. E che la conoscenza è un’esperienza affascinante, non difficile».

Difficile forse no, ma faticosa…

«Solo se passa dalle nozioni imparate a memoria. Pensi alle date: cifre come 50 avanti o dopo Cristo ai bambini non restano impresse. Meglio coinvolgerli con le vicende dei personaggi storici, Cesare o Cleopatra.Ai bimbi piacciono molto i racconti sugli uomini primitivi. Inutile parlare in astratto di passaggio dalla caccia alla sedentarietà. Funziona di più illustrare queste tappe attraverso gli arnesi e gli animali: pietre, lance, fuoco o le pecore che all’improvviso brucano davanti casa. E, come per magia, poi danno il latte».

Parla come se per lei insegnare fosse una vocazione. È così?

«Bisogna esserci portati. Cioè, star bene e sentirsi immensamente felici in mezzo ai bambini».

Ci tolga una curiosità: lei come si veste per andare a scuola?

«Mai elegante: pantaloni comodi e scarpe basse. Metto abiti che si possono sporcare» (ride).

Una brava maestra è anche affettuosa?

«Non è detto. Io (capita spesso con le prime classi) mi sento mamma-chioccia, se un piccino corre da me e mi abbraccia spaesato. Ai bambini si vuole bene, ma non tutte lo manifestano a gesti. Ogni tanto mi arrabbio anch’io,sa? Li sgrido. Ma serve, perché hanno bisogno di sicurezza, di capire che c’è un limite da non superare. La regola è: poche regole, ma da rispettare».

Come ha scelto di fare questo lavoro?

«L’ho deciso fin da bambina, guardando la mia maestra, la signora Maria, che adesso ha 93 anni. Ricordo quando ci “pilotava” in due squadre nel gioco del fazzoletto, ricordo le sue mani che mi insegnavano il ricamo. E mi rivedo in tanti momenti di gioia, in giardino, con il grembiule e un cappellino bianco in testa».

Da lì è nata la sua passione per l’orto?

«Quella è una tradizione di famiglia: le ortensie di mia nonna Anastasia erano leggendarie. Ed è meraviglioso scoprire che il mio entusiasmo è contagioso. Lo leggo sui visi pieni d’incanto e di stupore dei miei allievi, quanto sono orgogliosi di vedere una pianta di prezzemolo o di erba cipollina che hanno seminato, dopo giorni di impaziente attesa. La cosa bella è che poi spiegano i loro trucchi e i segreti di piccoli giardinieri proprio ai nonni, che sanno già tutto. Ma imparano una seconda volta, tornando bambini». Sono soddisfazioni…

«Ma la gioia più grande è sapere che i miei bambini oggi sono adulti responsabili. I maschi, così ambiziosi. Uno sindaco,un altro comandante dei Carabinieri… Le femmine, così assennate. Mi commuovo quando scopro che qualcuna è diventata maestra. Ed è più brava di me».

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