Mi sono lanciata da 2.500 metri in Alta Badia, un paradiso di verde, rocce e tramonti rossi. Imbragata in una tuta piena di cerniere, ganci e moschettoni. Sospesa a una vela meravigliosa bianca e azzurra. Uno strano gabbiano di montagna, con un’ala curva, gigantesca sopra la mia testa.

Con dietro il mio istruttore, prendo una piccola rincorsa su uno spuntone roccioso a picco nel blu e mi lascio andare alla folata d’aria calda che ci solleva in modo deciso, per poi staccarci sapientemente dalla montagna. E dopo, sospesa lassù, tutto è dolce. Una morbida danza leggera senza musica, dove arrivano in lontananza, quasi come in un sogno in cui non si sentono rumori, i segnali attutiti del mondo là sotto.


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– La vestizione richiede qualche minuto: mi infilo una tuta intera tipo piloti, con le cerniere laterali e le staffe sotto alle scarpe, per bloccarla.


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– La vela va aperta e distesa a terra e i cavi agganciati ai moschettoni dei nostri “zaini”.


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– Gli “zaini” a cui è agganciata la vela pesano circa 5 chili.


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– Il mio istruttore, Roberto, con un’esperienza di 15 anni di volo e un record di 240 km in una sola uscita di 10 ore, si prepara a partire.


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– Mettiamo a punto l’imbragatura, lo “zaino” a cui sono agganciati i cavi e il seggiolino.


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– Roberto mi spiega da dove arrivano i venti e quale direzione ha intenzione di prendere.


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– Si parte con l’istruttore di fianco, che girerà con il petto contro la mia schiena al momento di prendere la rincorsa.


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– La vela si sta gonfiando e i cavi iniziano a tendersi. Stiamo per partire!


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– Il momento è arrivato! La vela si gonfia sempre di più e l’istruttore comincia a girarsi.


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– Io inizio la corsetta mentre Roberto gira su se stesso per poi sistemarsi dietro di me.


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– Si parte! Io corro mentre lui si gira correndo insieme a me e la vela prende quota.


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– Ci stiamo staccando da terra, ci sono voluti pochi passi su un pendio preparato apposta con un tappeto artificiale, per non inciampare.


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– Il volo è iniziato: una dolce planata verso valle di 15 minuti


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Io sono seduta su una specie di seggiolino, le gambe penzoloni, le mani chiuse intorno ai cavi della vela: mi sento una bambina sull’altalena. E di colpo – è un attimo – rivivo la leggerezza dell’infanzia, quando non hai zavorre, pensieri, preconcetti. Unica occupazione, agganciata alla mia vela, è guardare, assaporare, godere quella successione di istanti preziosa. Cerco di distillarli uno a uno nella mente per depositarli lì, e trasformarli in un piccolo tesoro di spensieratezza e freschezza a cui attingere una volta a terra, quando sarò di nuovo schiacciata dalla gravità e da tutto. Perché a duemila metri, con la terra piccola sotto di te e il cielo intorno, puoi davvero – anche solo per poco –  mollare tutti i pesi che ti sei tirata dietro fin là, al punto di decollo.

Mentre planiamo verso terra, capisco che non ha senso aver paura di volare perché volare non è una sfida. È un progetto consapevole. Lassù, senza ancoraggi, senza riferimenti, in balia del vento e dei cambiamenti atmosferici, mi rendo conto che questo sport richiede una valutazione attentissima delle scelte, costruite a loro volta su una solida base teorica: ogni decisione che il pilota prende ha un immediato riflesso sul suo volo. Il mio istruttore dà un tocco leggero alla vela e giriamo, fa una piccola svolta e schizziamo verso l’alto, prende una corrente e ci avvitiamo su noi stessi. Penso siano pochi gli sport che richiedono un simile concentrato di capacità tecniche, teoriche e di programmazione come il volo libero. Capisco allora, mentre l’aria ci sostiene e ci trasporta, che questo non è uno sport “per pazzi”: qui ogni minima azione ha delle conseguenze. Ed è molto difficile, se non impossibile, tornare indietro.

Senza conoscere le correnti, le termiche, le previsioni meteo, senza il bagaglio di nozioni ed esperienze che gli istruttori possiedono, nessuno potrebbe vivere questa meravigliosa sensazione di onnipotenza che dà il volo. È sentendoti libero che impari a stare dentro ai tuoi limiti. E capisci che sono preziosi: per non finire contro le rocce, o farti trasportare in un mulinello d’aria, o ancora lasciarti spingere in giù, verso il basso.

Planiamo ancora e l’adrenalina del decollo, con il cuore impazzito, le gambe tremanti e la pancia vuota, si spegne. Per lasciare posto a una serena tranquillità: il mio istruttore mi spiega le sue mosse e le sue scelte, mi fa guidare la vela e io, da passeggera timorosa, divento protagonista della mia piccola avventura. Intorno, solo noi e la natura, gli alberi vicini, i prati verdissimi, le vette appuntite.

E alla fine, la terra si avvicina sempre di più, un altro piccolo giro in cerchio manovrando la vela per mirare il punto d’atterraggio e tocchiamo il suolo, delicatamente. Guardo l’orologio: sono passati 15 minuti, il tempo giusto per un volo d’iniziazione. Mi sono sembrati un’eternità. Uno squarcio di gioia pura che vale tutta una vita.

I pensieri faticano a riemergere mentre dò una mano a impacchettare la vela nel suo zaino. Goffamente mi sfilo la tuta, mi sento quasi un astronauta al ritorno dalla missione spaziale. Capisco di dover rimettere i piedi per terra ma la testa rimane leggera, sospesa dove è rimasta la mia mente. Ora comprendo perché, se hai volato una volta, lo vuoi fare sempre, proprio come diceva Leonardo da Vinci: “Quando avrai provato l’emozione del volo, una volta a terra camminerai con lo sguardo rivolto verso il cielo perché là sei stato e là agogni a ritornare”.

Il parapendio è uno sport estremo?

Io ho fatto il mio primo volo (che spero non sarà l’ultimo) con Roberto di Tandem Flights Alta Badia (www.tandemflights.it), che con Alessandro fa volare persone dai 5 agli 85 anni. In questo sport il pilota è tutto. Io penso che un pericolo sia qualcosa in agguato su cui nessuno di noi ha potere di intervenire, una volta scatenato. Il parapendio è rischioso, ma nella misura in cui il singolo pilota decide di assumersi una certa parte di rischio. Ecco perché è importante scegliere bene. Le organizzazioni sono tante, in tutta Italia. Devono essere certificate da Aero Club Italia e gli istruttori avere brevetto, assicurazione e revisione dell’attrezzatura. Di recente è nato un sito che raduna e verifica chi vi porta in volo: http://www.tandemteamitalia.it.

Comunque, per sentirci sicuri basta pensare che per praticare questa disciplina bisogna frequentare corsi e superare esami su materie “pesanti” come aerodinamica e meteorologia, oltre che avere un’esperienza e una tecnica di volo adeguate. Non per niente gli istruttori si chiamano piloti. Qualsiasi scuola riconosciuta propone bravi istruttori e poi, quando li incontriamo, c’è un criterio che funziona sempre: il feeling. Dopo i brevetti, è la cosa che conta di più e permette di lasciarti andare davvero.