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Alluvione in Emilia, perché è una tempesta perfetta

Il climatologo Massimiliano Fazzini spiega i motivi per cui in Emilia l'alluvione cha colpito così: «Un evento eccezionale, più tipico dell’autunno». Ecco perché

Il disastro che è avvenuto con l’alluvione in Emilia Romagna è sotto gli occhi di tutti: le immagini mostrano un territorio distrutto, “violentato”, come lo definisce il climatologo dell’Università di Camerino Massimiliano Fazzini, coordinatore sul rischio climatico della Sigea, la Società italiana di Geologia ambientale.

Alluvione: evento come Ischia e la Marmolada

Fazzini è appena tornato da Cesena, quando lo raggiungiamo telefonicamente: «Sono stato lì fino a poche ore fa e nei giorni scorsi, per analizzare con il Comune quali sono le criticità sulle quali intervenire subito. Il problema – ci racconta – è che queste valutazioni nel nostro Paese arrivano sempre dopo le tragedie. Ogni volta dopo un dramma ci diciamo cosa si dovrebbe fare, ma alla fine non si fa mai e questi episodi tornano, sempre con un carico di vittime che nel 2023 non accettabile. È accaduto lo stesso a Ischia, a Casamicciola, così come sulla Marmolada e ancor prima nelle Marche o in Liguria: ogni volta c’è almeno una dozzina di morti. Troppi».

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Alluvione: un evento estremo, non primaverile ma previsto

Certo, si è trattato di un evento estremo, ma comunque prevedibile e ampiamente previsto: insomma, in questo caso non è stata una sorpresa inaspettata. «Certamente. I modelli di previsione hanno funzionato e sono stati molto precisi, sia nella quantità che nella qualità, descrivendo in modo piuttosto preciso cosa sarebbe accaduto, sia nel caso dell’alluvione del 2/3 maggio, sia in quella del 16/18 maggio. Ciò che è insolito, invece, è il tipo di precipitazione, che non è tipico del periodo primaverile, bensì dei mesi di ottobre e novembre», spiega Fazzini.

Tanta acqua quanta quella di 7 mesi

Uno dei problemi di queste ultime due ondate di maltempo, infatti, è stata la quantità di acqua caduta: «Si è trattato di 270/280 millimetri di acqua massimo pluviale caduto nell’area collinare tra Forlì, Cesena e Ravenna, che si sommano i 200 millimetri della perturbazione di 15 giorni prima: è l’equivalente di 7 mesi di pioggia. Il suolo non ha retto e quel che è peggio è che le frane sono appena iniziate, ma proseguiranno prevedibilmente per i prossimi 7/8 giorni perché c’è un tempo fisiologico di risposta» spiega il climatologo. La siccità del periodo precedente, poi, non aiuta: «Si tratta di una siccità non di settimane, ma di un anno e mezzo, che incide molto: quando abbiamo un periodo molto lungo e anomalo di mancanza di pioggia, infatti, l’argilla si indurisce e diventa ancora più impermeabile, perdendo la sua capacità geologica di assorbire l’acqua», spiega l’esperto.

Perché è stata una tempesta perfetta

«Si è trattato di una tempesta perfetta, perché a queste caratteristiche se ne sono aggiunte altre, per esempio il fatto che la perturbazione che ha colpito il territorio dell’Emilia Romagna non si è spostata verso est, come accaduto in passato, a causa di una concomitante depressione sui Balcani. Il fronte perturbato, quindi, si è fermato per alcuni giorni, devastando l’area», chiarisce Fazzini. A ciò va aggiunta una certa responsabilità dell’uomo, sia in termini di cementificazione che di mancata attuazione di alcune misure di prevenzione, nonostante l’Emilia Romagna sia uno dei territori più all’avanguardia in termini di Protezione civile.

Cosa è mancato?

Se la perturbazione era ampiamente prevista, allora cosa è mancato? «L’Emilia Romagna è una regione molto all’avanguardia, sia nella protezione civile che nella messa a punto di una gestione teorica corretta del territorio. Ha messo a punto piani di adattamento climatico e studi sui piani di fiume, anche attraverso fondi locali, nazionali o europei. Il problema è che poi queste azioni non sono state attivate, per molti motivi: economici, perché le grandi opere costano molto; “umani” perché la gestione e manutenzione richiedono molto personale tecnico che invece manca; burocratici e politici, perché le divergenze tra amministrazioni creano rallentamenti. Aggiungiamo anche l’azione a volte scellerata dell’uomo, che ha caratterizzato gli ultimi 40/50 anni: se si costruisce sotto gli argini dei fiumi, se si restringono gli alvei e non si fa la pulizia poi è inevitabile che accada ciò che è avvenuto”, osserva l’esperto. «Per questo occorre un’inversione di rotta, ma anche una maggiore comunicazione ed educazione ambientale, specie nei confronti dei più giovani, che avranno il compito di gestire il territorio in futuro», aggiunge Fazzini.

Colpa dei cambiamenti climatici?

L’entità della perturbazione ha riportato l’attenzione ai cambiamenti climatici, ritenuti “corresponsabili” di quanto avvenuto: «Che il clima, nelle sue variabili, si stia estremizzando non è in dubbio. Il tipo di perturbazioni che stiamo registrando è legato anche al cambiamento climatico, anche se va detto che dal punto di vista prettamente statistico non possiamo ancora affermare che queste piogge siano frutto di un nuovo tipo di clima. Significa che come scienziati sappiamo che questo è probabilmente il clima che ci aspetta in futuro, ma le statistiche ancora non ci consentono di dirlo: per ora rimangono eventi eccezionali quindi non ancora tipici di un nuovo clima».

Eventi simili all’estero: l’esempio della Germania

Questo tipo di fenomeni, infatti, stanno avvenendo anche all’estero. Basti pensare all’alluvione che ha colpito nel 2021 il Belgio e ancora di più la Germania. In quel caso ci furono oltre 200 vittime con più di 1.300 sfollati. Il problema, dunque, non è solo italiano? «Certo, ma ci sono alcune differenze. L’area tedesca coinvolta era grande come mezza Italia: in proporzione forse da noi ci sarebbe stato un bilancio più grave. Questo non significa che all’estero siano più avanti, è l’educazione ambientale che è differente. Forse quello che dovremmo imparare è la maggior interazione tra il mondo della scienza e quello della politica, in cui siamo ancora indietro», osserva Fazzini.

Meno scontro politico e più azioni preventive

«Uno dei peggiori “vizi” italiani è quello di dare sempre la colpa di quanto accade a qualcun altro: per esempio, l’autorità di bacino attribuisce responsabilità e carenze allo Stato, il quale a sua volta scarica sugli Enti locali. Non è più possibile andare avanti su questa strada, a prescindere dal colore politico di chi amministra. A rimetterci sono sempre le persone, in termini di perdite umane ed economiche e la dimostrazione è sotto gli occhi di tutti», conclude il climatologo.

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