Diodato

Diodato a Sanremo 2020 canta “Fai Rumore”

Il cantautore nato ad Aosta e cresciuto a Taranto torna a Sanremo con Fai Rumore un brano potente, che vuole abbattere le barriere dell’incomunicabilità

Diodato, cantautore nato ad Aosta e cresciuto a Taranto, diplomato al Dams di Bologna e ex di Levante, anche lei in gara, torna a Sanremo con Fai Rumore un brano potente, per abbattere le barriere dell’incomunicabilità. È la sua terza volta al Festival, prima tra i giovani e poi nei big con Roy Paci nel 2017 e la loro Adesso. Nella serata delle cover sceglie di cantare 24mila baci (Adriano Celentano 1961) con Nina Zilli. Il 14 febbraio esce il suo album Che vita meravigliosa, fotografia di passioni e fragilità, istantanee vissute e rielaborate, con uno sguardo sugli essere umani e i loro sentimenti.

Il 14 febbraio esce il tuo nuovo album.

Che vita meravigliosa è anche il titolo del brano che lo apre. È ovviamente il brano “manifesto”, una riflessione su tutto il vissuto di questi ultimi due anni. Uno sguardo alla vita, tra le montagne russe che mi sono scelto e chi mi fanno navigare in questo mare in tempesta.

A Sanremo canti Fai rumore.

È un invito ad abbattere le barriere dell’incomunicabilità. A bruciare quei silenzi che spesso creano distanze, un invito a farsi sentire, anche manifestando il proprio dissenso. Viviamo in un periodo in cui si sta creando una contrapposizione, in un mondo che urla, l’odio è in circolo. Vorrei fosse un invito al confronto. Anche quando c’è qualcosa che non va è bene dirselo.

Tornare a Sanremo ti fa piacere?

Al Festival ho vissuto momenti umanamente splendidi entrambe le volte. Le compagnie che ho scelto hanno sicuramente contribuito. La prima volta venivo dal niente, avevo fatto un album con il mio produttore, non avevamo neanche i soldi per pagare un ufficio stampa e ricordo che avevamo giocato un Gratta e Vinci per permettercelo. Ovviamente abbiamo speso cinque euro, ma non abbiamo vinto.

Perché l’hai scelta?

Perché è bellissima. È un brano nato in maniera magica, con Edwin Roberts che ha collaborato alla parte musicale. Eravamo nello studio della mia casa discografica, lui al piano, io con un microfono sul divano. Io cantavo a occhi chiusi, lui suonava. Finita la registrazione ho aperto gli occhi e ci siamo guardati scoppiando a ridere perché abbiamo sentito che era appena successo qualcosa di importante.

Hai paura di qualcosa?

Dovrei stare in silenzio fino al 4 per affrontare al meglio l’urlo… Spero di star bene.

Cosa ti aspetti?

Non riesco a concentrarmi sul risultato. Sono in una fase di ansia da prestazione, voglio andare lì e fare il massimo che posso fare. Ma la competizione non mi appartiene. Spero solo di non arrivare tra gli ultimi. Ma anche se dovessi farlo, se riuscirò a presentarmi come voglio, sarò contento perché avrò parlato a chi dovevo parlare. La tv ha un filtro, è uno strumento freddo, non sai mai come ti percepiranno a casa. Mi piacerebbe bucare quello schermo.

Cosa fai dopo le esibizioni?

Sia nel 2017 che nel 2014 io e Roy Paci, con me già a prima volta, quando è finito tutto, siamo andati a festeggiare. Anche quest’anno voglio una bottiglia di amarone pronta per il sabato notte. Non bevo in tutto il periodo precedente, fino a quel giorno.

Una cosa che ti piace fare, quando non scrivi canzoni?

Amo il cinema. Sono laureato in cinema al Dams e ci vado spesso da solo, per me è un momento di isolamento. Mi fa piacere andarci con gli amici… se non parlano.

Scrivere ti fa bene?

Quando riesco a raccontare qualcosa sto bene. Sto male quando non ci riesco. Quando non è ancora il momento di farlo e sento che devo distaccarmi. Ma quando riesco a far sopravvivere una sensazione, sento di aver lasciato qualcosa per sempre. Quando ero ragazzino e ascoltavo gli artisti che mi piacevano mi domandavo come facessero a sapere alcune cose di me, perché sembravano scritte per me. È la cosa più bella che mi sta succedendo. La gente mi scrive “racconti la mia vita”. Per me essere riuscito a condividere qualcosa creando una connessione con estranei è il senso di tutto. Mi fa pensare che io stia facendo la cosa giusta.

Cosa non ti piace?

La domenica. Mi mette pesantezza. Quando ho scritto La lascio a voi questa domenica, era domenica. Stavo tornando a Milano in treno, fermi per molto tempo, ci dicono che una persona si è suicidata. Credo di aver analizzato la reazione delle persone del vagone in cui mi trovavo solo perché era domenica, ho assorbito tutte le reazioni attorno. È per me un giorno malinconico, sapere di questo incidente mi ha turbato. E mi ha colpito la reazione della gente, la mancanza totale di empatia. Nessuno pensava a questa persona, ma ci si lamentava del ritardo, tra frasi fatte e luoghi comuni.

Quando scrivi pensi a qualcuno in particolare?

Evito di mettere nomi nelle canzoni anche quando sono dedicate.

Da cosa parti?

Spesso da episodi che mi colpiscono. Il commerciante nasce da un negozio in cui ho comprato l’olio per la macchina. Ho trovato una persona con una passione talmente sorprendente che mi ha colpito, portandomi a riflettere sulla società ma anche sul rapporto tra bottega e centro commerciale. Ho ripensato allo scambio umano e mi sono ricordato di quando andavo a fare la spesa con mia madre. Stavamo venti minuti dal macellaio perché lei chiacchierava con tutti. Da bambino non lo sopportavo. Oggi invece quell’incontro mi ha riempito di un calore che non provavo da tempo. Ci stiamo abituando alla freddezza.

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