Donatella Di Pietrantonio
La scrittrice Donatella Di Pietrantonio

Donatella Di Pietrantonio in libreria con “Borgo Sud”

Tre anni dopo il bestseller L’Arminuta, Donatella Di Pietrantonio riprende le fila del destino delle sue protagoniste in Borgo Sud. Una storia intensa sulle conseguenze del dolore e dell’amore. E su un legame che non si spezza mai

«A 13 anni non conoscevo più l’altra madre. Salivo a fatica le scale di casa sua con una valigia scomoda e una borsa piena di scarpe confuse. Sul pianerottolo mi ha accolto l’odore di fritto recente e un’attesa». L’Arminuta, romanzo intenso e sorprendente di Donatella Di Pietrantonio uscito nel 2017, ci è entrato subito nel cuore: la storia di una bambina nata in una famiglia povera e ceduta ad altri genitori per garantirle un futuro ma poi restituita, rubava emozioni forti. Chi leggeva provava lo strazio dell’abbandono, incontrava l’asprezza della gente di paese, assaporava l’amore e il disamore e i vuoti. Il libro, che lo stesso anno ha vinto il Premio Campiello, si chiudeva con la complicità fra l’Arminuta e Adriana, la sorella minore, colei che all’inizio le apriva la porta verso la sua nuova povertà e con cui poi andava incontro alla vita.

Donatella Di Pietrantonio: «L’Arminuta è nata dai miei ricordi di bambina»

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Ma non poteva finire qui. Donatella Di Pietrantonio ha scritto il seguito tanto atteso, Borgo Sud (sempre Einaudi): l’Arminuta è cresciuta, è una donna che ha trovato una strada, insegna in Francia. Adriana, la sorella, è sempre imprevedibile e impetuosa; anche se ha un figlio piccolo, non riesce a stare alla larga dai problemi. Entrambe hanno conosciuto le conseguenze del grande amore. Questa nuova storia racconta il loro ritrovarsi dopo tanto tempo.

«Quando ho cominciato a immaginare la storia di Adriana e l’Arminuta, pensavo di seguirle fino alla loro mezza età. Solo che il loro incontro dopo 2 infanzie separate e i primi 2 anni di vita insieme erano stati così intensi che il ciclo narrativo mi si è come chiuso fra le mani» racconta la scrittrice abruzzese. «Ma queste sorelle non mi lasciavano in pace, soprattutto Adriana: era una voce che ancora mi chiedeva che le raccontassi nelle loro relazioni da adulte e nella conseguenza della deprivazione affettiva che avevano sofferto (l’Arminuta era stata ceduta, Adriana in famiglia era quasi ignorata, ndr). Ho dovuto mantenere una promessa di fedeltà ai personaggi».

L’Arminuta e Adriana, ormai donne, come sono? «Due poli a prima vista opposti e 2 modi di rispondere radicalmente diversi a quel vuoto affettivo lasciato da una madre assente. Adriana è come il vento: impulsiva, libera, si butta in qualsiasi situazione. A un certo punto la sorella dice di lei: “È capace di tuffarsi nella melma e di uscirne con una specie di candore”. L’Arminuta è molto più controllata, razionale, si costruisce una carriera. Ma, in questa enorme differenza apparente che le separa, hanno ancora in comune una sofferenza originaria: scontano le conseguenze del disamore».

In Abruzzo c’è un piccolo Tibet

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Il legame tra loro è fortissimo, quasi più che nel primo romanzo. Qui c’è la sorellanza: quando hai bisogno di me, io ci sono. «Pensi che sono figlia unica, eppure il tema della sorellanza ritorna forte, quasi come una ossessione. Così il tema del materno. Vedo nella sorellanza del romanzo una possibilità di compensare, almeno parzialmente, le mancanze nel rapporto con la madre. È vero che una sorella non potrà mai sostituire del tutto una madre assente, ma è sicuramente una compagna nella lotta della vita, qualcuno da cui puoi sempre tornare dopo che non l’hai più vista per molto tempo. L’Arminuta e Adriana nell’età adulta imparano a perdersi, ma poi di nuovo tornano a incrociarsi, a incontrarsi. E sanno entrambe che questo ritorno dell’una all’altra sarà sempre possibile».

Nel nuovo libro c’è anche Piero, il marito dell’Arminuta. «È un personaggio importante perché rappresenta ciò che scegliamo da adulte dopo aver avuto un’infanzia e un’adolescenza dolorose, con vuoti da riempire. Quali sono le conseguenze del disamore patito nelle relazioni che poi noi andiamo a costruire? Sembrano scelte libere quelle che facciamo da grandi, ma quanto sono invece condizionate dal nostro vissuto? Quanto il partner che scegliamo risponde ai nostri nodi irrisolti piuttosto che a un libero desiderio? Le mie protagoniste si sposano da giovani, con poche consapevolezze e tanti bisogni che l’altro non potrà mai soddisfare, perché a sua volta ha i suoi».


Il tema dell’abbandono, di come ciascuno di noi è chiamato a trasformare il vuoto di quello che ci è mancato, è universale


 

Questo romanzo parla di assenze, difficoltà, relazioni complicate. Mentre scriveva pensava alla società di oggi? «Non pensavo all’attualità, ma a quanto un certo modo di essere e di sentire è di sempre. Cambiano le condizioni storiche e sociali, eppure alla fine il tema dell’abbandono, di come ciascuno di noi è chiamato a trasformare questo vuoto, quello che ci è mancato, è universale. Mi interessava scavare in profondità».

Quanto c’è di lei nell’Arminuta? «Diciamo che sono divisa a metà. Io sono entrambe: sia Adriana sia l’Arminuta. Adriana è in me come origine, provenienza. La mia famiglia è molto più morbida, meno ruvida di quella di Adriana, ma ci sono sicuramente dei punti di somiglianza. C’è la consuetudine, quasi antropologica e culturale, di allevare i figli senza manifestare l’amore col linguaggio del corpo, senza coccole o abbracci, perché si pensava che si potessero corrompere, viziare. Ma mi sento anche l’Arminuta, perché ho costruito la mia vita provenendo da una famiglia contadina con un grado di scolarità basso. Ho investito tutto nella mia formazione e nelle letture. Solo con la scuola, a 6 anni, ho avuto accesso alla lingua italiana. Per me era una lingua straniera, fino ad allora avevo parlato e sentito solo in dialetto. Grazie all’italiano e ai libri ho intuito subito che c’era un mondo molto più vasto e ricco di possibilità».

Entrambi i romanzi sono radicati nel territorio. In L’Arminuta c’era l’interno, la terra, qui c’è l’Abruzzo del mare. «Chi mi ha ispirato il cambiamento è stata proprio Adriana. Perché Adriana, come dicevo, ha la mia stessa origine: di campagna e montagna. È un segno di fuoco, ma a un certo punto ho pensato che per la sua vitalità avesse bisogno di aprirsi a un orizzonte più largo, avesse bisogno di un altro elemento: l’acqua. Per questo ho voluto portarla verso il mare. E anche verso gente nuova: i pescatori. Un ambiente diverso ma che in qualche modo assomiglia a quello dei contadini, perché ci sono le stesse forme di solidarietà, coesione e controllo sociale».

Borgo Sud esiste davvero? «Esiste il borgo marino di Pescara che è tagliato in 2 dal fiume, appunto, Pescara. Borgo Sud è il quartiere dei pescatori che sta sulla riva destra. Viene chiamato anche Marina Sud. Dovrò scusarmi con gli abitanti di Borgo Nord per avere preferito il Sud, ma è stato anche per una questione di suono: con la mia erre moscia Borgo Nord è anche un po’ difficile da dirsi».

La storia dell’Arminuta continuerà? «In questo momento, sento di no».

Borgo Sud, adesso in libreria

Si intitola Borgo Sud (Einaudi) il nuovo romanzo di Donatella Di Pietrantonio: è il seguito tanto atteso di L’Arminuta. La protagonista è diventata adulta e ritorna in Abruzzo, a Pescara, per incontrare la sorella Adriana. Entrambe hanno passato momenti difficili e sono l’una il sostegno dell’altra. Con la scrittura asciutta che la contraddistingue, l’autrice ci riporta in quel mondo fatto di abbandoni e durezza ma anche di affetti e solidarietà. L’Arminuta diventerà anche un film, diretto da Giuseppe Bonito.

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