Foto di Flavio e Frank

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Nino D’Angelo e Livio Cori, due generazioni a confronto

I due cantanti napoletani si esibiranno insieme sul palco di Sanremo con un brano che riassume il passato e il futuro della musica neomelodica napoletana

Gaetano D’Angelo, in arte Nino, 61 anni, non ha bisogno di grandi presentazione. Mito della Napoli neomelodica, ha alle spalle una carriera lunghissima fatta non solo di canzoni ma anche di film. È alla sua sesta volta all’Ariston. Livio Cori, 29, è invece al lavoro sul suo primo album, ma anche lui già noto soprattutto per la sua partecipazione alla serie “Gomorra”, di cui ha anche firmato colonna sonora nella terza stagione.

Per molti è il misterioso cantante Liberato, di cui nessuno conosce la vera identità. Si presentano sul palco di Sanremo 2019 come due generazioni a confronto, che guardano e amano Napoli e cantano le due visioni in “Un’altra luce”, brano che fin dal lessico mostra i due linguaggi e sguardi differenti. Con loro, nella serata dei duetti, i Sottotono.

Il vostro brano si chiama Un’altra luce. Chi l’ha scritto?

Livio: Era un mio brano, ma sentivo la mancanza di un tocco magico. Quando la mia casa discografica mi ha chiesto «Chi vorresti in questo pezzo?», ho risposto Nino, senza esitare. Sono suo fan da sempre! Da lì ho avuto modo di incontrarlo e proporglielo. Insieme lo abbiamo riscritto a quattro mani, trasformandolo in un vero e proprio duetto.

Nino: La cosa bella di questa canzone è che si sente che quello che canto io l’ho scritto io e quello che canta Livio l’ha scritto lui. C’è un confronto di queste due generazioni anche nel modo di parlare. Si avverte.

C’è bisogno di un’altra luce, in questo momento storico?

Livio: Decisamente! Ci sono poche alternative valide in tutti i campi. Nell’arte come nella politica. C’è bisogno di una nuove luce che illumini tutto quello che viene lasciato costantemente nell’ombra.

Come sta la musica napoletana oggi e come state voi?

Nino: Oggi ha un’importanza mondiale grazie ai non napoletani. Il Volo, Bocelli. La musica napoletana, con la perdita di Pino Daniele ha avuto una brutta botta. Oggi è febbricitante. Io sono quello che ha saputo cambiarla, ma, allo stesso tempo, la musica napoletana ha cambiato me. Ho fatto il male e il bene degli anni ‘80, sono stato il primo di un genere. Poi a un certo punto mi è stato stretto essere solo quello. E mi è piaciuto cambiare.

Livio: La musica napoletana per me sta ritornando dove merita. La realtà è che non si è mai spenta, è sempre stata un fuoco vivo, ma vittima dei pregiudizi. Con le nuove generazioni e le nuove tendenze sta tornando di moda. 

Siete un incontro di due generazioni. Cosa state imparando l’uno dall’altro?

Nino: è bello imparare dai giovani. Sono abituato a imparare dai miei figli, non sono stato un padre perfetto perché ho avuto successo nel momento in cui sono arrivati loro. Due gioie, diverse… ma il successo ti porta spesso lontano. Però i miei figli mi hanno fatto crescere anche musicalmente. Ed è quello che sta facendo Livio. Mi ha influenzato nel soul e R&B, mi ha fatto usare l’autotune, non avrei mai pensato di fare questo passaggio. Mi ha anche fatto capire che non bisogna mai dire mai. È un professionista, si impegna molto. Sa dove vuole arrivare. E se lo merita.

Livio: Nino è un maestro a 360 gradi, è un pilastro della musica napoletana e non solo. Oltre a imparare tanto musicalmente da lui sto imparando ancora di più a livello umano. È un artista che mette arte, amore e passione non solo nella musica, ma in ogni singola cosa della sua vita. È un’icona.

Livio, qual è l’aspetto più bello di Nino?

È un grande poeta! Scrive cose che ti restano dentro e ritornano nei momenti giusti della vita.

Che differenza c’è tra lo stare davanti a una telecamera e salire sul palco. Vince sempre la musica?

Nino: Nasco cantante, non attore. Sono un cantante napoletano e ho sempre cercato di esser un napoletano del mondo. Ed è stato importante per me recitare, vengo dal teatro della sceneggiata, del teatro povero, ma sono più cantante. E non potrei mai fare uno Shakespeare.

Livio: Prima di salire su un palco ho più ansia. Se sbagli in telecamera puoi rifare, il palco non perdona. La musica però vince sempre. Non mi precludo la possibilità di poter recitare di nuovo, ma non mi ritengo un attore. Non ho la presunzione per definirmi tale.

Per stereotipo il napoletano è scaramantico. Voi lo siete?

Nino: Sono più napoletano dei napoletani. Ma è un luogo comune. Diciamo che ci piace approfittare del vestito che ci cuciono addosso. E che non ci credo, ma che neanche rischio.

Livio: Io un po’ sì…

Avete un portafortuna?

Nino: Ho la mano di Dio. Ho la fortuna di avere fede.

Livio: Una collana con un corno e un anello con un ex voto.

E un numero fortunato?

Nino: Ho i numeri sfortunati. 23, 17 ,71. Quelli della smorfia. Il 17 in particolare lo evito.

Livio: No, numeri no.

Come vi state preparando per il Festival?

Nino: Sono abbastanza sereno. È un’esperienza, un ulteriore passo avanti. È il sesto, ma lo vivo come un’esperienza nuova, con un giovane.

Livio: Mi sveglio tutte le mattine e canto il brano minimo dieci volte!

Per il duetto avete chiamato i Sottotono. Come mai?

Livio: Abbiamo riunito i Sottotono perché sono stati tra i primi a portare in Italia il sound soul, R&B. Un’altra luce ha le stesse influenze quindi chi meglio di loro? Poi Big Fish ha partecipato alla produzione del brano originale e di tutto il mio disco, quindi la connessione si era già creata in precedenza a prescindere dal duetto con gli ospiti.

Cosa non dovrete assolutamente dimenticare a casa, per quella settimana?

Nino: La voce. E l’entusiasmo, che in questi casi è più forte della voce.

Livio: Le cuffie da mettere sul palco, i miei portafortuna e… Spero di dimenticarmi l’ansia sul comodino!

Quali progetti vi aspettano dopo Sanremo?

Nino: La promozione. E tanti live. E soprattutto farò un grande evento live con il mio amico Gigi D’Alessio, il 21, 22 e 23 giugno all’Arena Flegrea di Napoli.

Livio: Il mio disco, “Montecalvario – Core Senza Paura”. un progetto a cui ho lavorato nell’ultimo anno, completamente in napoletano. Segna il mio ritorno a casa perché Montecalvario è appunto il nome del quartiere dove sono nato e cresciuto.

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