Ritrovarsi precaria a 40 anni

Avere da giovane il posto fisso che si è sempre sognato. Poi perderlo e rimettersi in gioco, tra mille difficoltà. Una storia al contrario che la protagonista ha raccontato in un romanzo, adesso anche spettacolo teatrale

Ferita, svuotata, bombardata. Rasa al suolo e invisibile agli altri, come se qualcuno avesse cancellato le scritte sulla lavagna della vita, azzerando identità e ruolo sociale. È così che ci si sente quando si perde il lavoro. E non un lavoro qualunque, ma quello che avevamo desiderato come un amante. Il grande amore della mia vita, quella che per me è sempre stata una seconda famiglia, si chiama l’Unità. O meglio, il mio lavoro da giornalista a l’Unità. Sono arrivata a Roma, nella redazione del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, come stagista della Scuola di giornalismo di Bologna. Era il 2001 e avevo 25 anni. Nel giro di pochi mesi sono stata assunta con un contratto giornalistico a tempo indeterminato.

Qualche anno dopo sono diventata il vicecapo delle pagine di Cultura e Spettacoli. Il mio sogno si era realizzato e mi sentivo come una bambina di fronte ai giganti ogni volta che intervistavo Alda Merini, Antonio Tabucchi, Dario Fo, Franca Valeri, Piera Degli Esposti e altri personaggi che ho avuto la fortuna di incontrare. Un sogno che si è spezzato nel 2017, quando il giornale è sparito dalle edicole e io, da un giorno all’altro, sono diventata una 40enne cassintegrata alla ricerca di un nuovo impiego. In poche parole mi sono trasformata in una precaria. È difficile accettare di aver perso quel lavoro inseguito fin da ragazzina, quando tra i banchi di un liceo di provincia, a Cassino (Fr), immaginavo il mio futuro da giornalista. Dopo la maturità, mi ero trasferita a Bologna per laurearmi al Dams. Bisognava studiare, questo era chiaro a me e a tutte le ragazze nate negli anni ’70-’80 che dalle province italiane partivano con i propri bagagli carichi di desideri alla conquista di un sogno da realizzare. Cosa fanno oggi quelle ragazze? Sono freelance, precarie come me. Ecco perché la mia “storia al contrario” è una tragica storia generazionale.

 

Il libro "Una storia al contrario" (Giulio Perrone Editore) è adesso anche uno spettacolo teatrale
Il libro “Una storia al contrario” (Giulio Perrone Editore) è adesso anche uno spettacolo teatrale diretto e interpretato da Elena Arvigo. Andrà in scena l’11 settembre a Firenze nell’ambito del Festival organizzato dal Teatro delle donne, “Avamposti”.

Il giorno in cui ho perso il lavoro mi sono sentita come Gregor Samsa nel racconto di Kafka La Metamorfosi: uno scarafaggio che cerca di adattare la sua vita al nuovo corpo. Mi sentivo paralizzata. Tuttavia volevo esplorare anche io il mio nuovo spazio. E così feci. Provai a vendere il mio primo pezzo. Stavo già combattendo la mia guerra fra poveri contro colleghi di ogni età pronti a tutto pur di difendere i propri spazi. Giravo a vuoto, senza via d’uscita. Non ho mai più trovato un editore disposto ad assumermi. Anche oggi – che formalmente sono ancora una dipendente dell’Unità srl, essendo stata lasciata in una sorta di “limbo” – mi guadagno faticosamente da vivere vendendo i miei articoli. Trasformarsi in una lavoratrice precaria significa anche dover riorganizzare la propria vita: eliminare le spese superflue, rimodulare i ritmi familiari, passare dalla gestione principale dei contributi previdenziali a quella separata.

Tutto ciò mi ha causato forte stress. Così anche il mio corpo ha cominciato a cedere e i sintomi della miastenia gravis, la malattia autoimmune che mi avevano diagnosticato anni prima, sono tornati a farmi visita. Ho iniziato a stare malissimo. Ma quando sei freelance non ti puoi fermare neppure di fronte a una malattia o a una gravidanza, altrimenti rischi di perdere il lavoro. E io non posso permettermelo. Ho un mutuo da pagare e due splendide bambine, Sofia e Asia, a cui pensare. Un solo stipendio, quello di mio marito, da solo non può bastare.

Dopo la crisi economica del 2008 chi ha perso il proprio “posto fisso” difficilmente lo ha ritrovato. I più fortunati sono diventati “lavoratori precari”. Perché? «Il mercato del lavoro è diventato sempre più frammentato, le aziende dispongono di troppe tipologie contrattuali» spiega Andrea Borghesi, segretario generale NIdiL Cgil. «E non esistono parametri retributivi certi come l’equo compenso e il salario minimo, ecco perché le prestazioni lavorative vengono sottopagate». Se ci focalizziamo sulla fascia di età compresa fra i 35 e i 50 anni, un’altra grande difficoltà è la concorrenza. «Senza formazione le possibilità di poter essere riassunti si restringono» aggiunge Borghesi.

Secondo un’analisi elaborata da NIdiL Cgil, oggi i precari d’Italia sono circa 10 milioni. Una cifra enorme, che mette insieme lavoratori a tempo determinato, part-time, co.co.co. e partite Iva, lavoratori intermittenti, autonomi occasionali e collaboratori sportivi. Tutte persone danneggiate, più di altri, sia dalla pandemia, sia dalla crisi del 2008. Di fronte a queste difficoltà, mi chiedo, vale ancora la pena continuare a inseguire il mestiere dei propri sogni? Mi torna in mente Amore e Psiche, l’opera scultorea di Canova. Mio padre ne aveva acquistata una riproduzione in marmo di modeste dimensioni. Un giorno cadde a terra e si frantumò, come il mio sogno. Mia madre incollò i frammenti e la statua ancora oggi è lì, sul mobile antico della sala da pranzo. Forse è così, anche i pezzi della vita si possono riparare. Le ferite lasciano il segno, ma le ali di Cupido, nonostante tutto, sono ancora aperte, pronte a spiccare il volo. Come la farfalla che campeggia sulla copertina del mio libro, Una storia al contrario. Come me, come noi donne che non ci arrendiamo mai.

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