Paghi 10 euro se entri in negozio solo per provare

È la soluzione scelta da un commerciante ligure per scoraggiare la prova dei capi, finalizzata all'acquisto online: ma è legale? Ed è utile per spostare i consumi dal web al negozio?

Stanco di perdere tempo e di servire “finti clienti” (persone che entravano in uno dei suoi due negozi solo per provare scarpe e stivali, per poi far acquisti mirati online) un commerciante di Sarzana ha deciso di correre ai ripari. Ha appeso cartelli di preavviso e si regola di conseguenza. Applica una tariffa da 10 euro a chi si presenta in bottega per calzare l’oggetto del desiderio e poi si congeda senza comprare niente. Se invece la vendita va in porto, il supplemento non scatta. È compreso nel prezzo finale. Chi invece prova e non compra, sborsando l’extra, riavrà indietro i 10 euro, se si ripresenterà entro un mese e farà spese.

Una provocazione che funziona

“Le persone che non comprano nulla – spiega il diretto interessato, Giulio Soresina, da 33 anni nel settore – sono quelle che hanno già deciso di fare shopping online, per risparmiare. Hanno visto qualcosa online. Entrano in negozio unicamente per verificare che la misura scelta sia giusta e che la scarpa stia bene e piaccia, una volta indossata. La mia – ammette – è una provocazione. Questo fenomeno non è nuovo. C’è da tempo, da quando l’e-commerce ha cominciato a diffondersi. Un caso ogni tanto – continua Soresina – potrebbe anche starci. Ma non me potevo più. In una mattina ero arrivato a far provare 14 paia di scarpe alla stessa persona, poi uscita a mani vuote”.

Le minacce ricevute

L’esperimento, a suo dire, funziona. Sicuramente gli ha dato grande visibilità, su giornali in tv e sui social. La notizia è rimbalzata anche all’estero. Non c’è stata la fuga di clienti. “Il numero di fasulli compratori –  racconta il commerciante di Sarzana – è decisamente calato, quasi azzerato. Sono tornati a prevalere clienti veri”. L’applicazione della tariffa, insomma, scoraggia gli scrocconi. O forse li fa semplicemente ripiegare verso altri negozi. “Qualcuno è arrivato a minacciarmi” racconta sempre Soresina. “Mi sono sentito dire:’ Ti mandiamo la finanza, chiamiamo i vigili urbani e ti becchi una multa’. Ma io non ho niente da temere. Per la tariffa prova rilascio lo scontrino fiscale e pago le tasse. È un servizio. Problemi – ripete – non ne ho. Sono venuti a trovarmi i rappresentanti di una delle forze di polizia della zona, non dico quale, dopo Natale. Altro che sanzioni. Mi hanno regalato il calendario ufficiale del corpo”.

Critiche sui social e commenti pesanti

Il commerciante è consapevole di aver innescano una girandola di reazioni e giudizi, non sempre positivi. Anche sui social piove qualche commento ostile, cattivo. Imitatori, invece, per ora pare non ce ne siano. “Eppure – sottolinea Soresina – il problema dei finti clienti ce l’hanno in tutti i negozi o quasi e così non può andare avanti”.

Prove e niente acquisti anche in libreria

Anche da alcune librerie arrivano segnalazioni simili. I potenziali acquirentii entrano, sfogliano decine di volumi, escono senza aver fatto acquisti. L’ipotesi è che ordinino i titoli selezionati online, cercando sconti e occasioni.

È legale far pagare per provare?

Ma una pratica del genere è legale o no? Risponde Mario Emanuelli, consulente dell’associazione di polizia municipale Fox pol ed ex commissario dei vigili urbani di Milano: “Non c’è nessuna norma che preveda il pagamento della prova di un abito o di un paio di scarpe, ma non c’è nemmeno una norma che lo vieti. L’abitudine di entrare in un negozio e non comprare è sempre più diffusa – concorda con altri osservatori – perché ci sono persone che prima di fare acquisti online vogliono vedere e toccare un prodotto o misurarselo. Quello di Sarzana, però, è il primo caso che sento. Potrebbe apparire come una pratica commerciale scorretta – ipotizza l’esperto – ma non sta a me dirlo e nemmeno a chi fa controlli nei negozi. È una questione che riguarda il Garante della concorrenza e del mercato”.

Come arginare il fenomeno?

Ariela Mortara, docente di Sociologia dei consumi allo Iulm di Milano, non se la sente di giudicare il commerciante di Sarzana. “Non sono in grado di dire se faccia bene o male, dipende dai punti di vista”. Preferisce aggiungere al dibattito alcuni spunti su cui riflettere. “Per molti consumatori sono ancora fondamentali la leva emotiva e l’esperienza d’acquisto, al momento certamente più garantiti dai negozi tradizionali che dall’e-commerce. È su questo che si dovrebbe puntare per mantenere la clientela ancorata al retail tradizionale. L’altra cosa che i commercianti potrebbero fare, per aumentare le vendite, è cercare di allineare i prezzi praticati in negozio a quelli online, più bassi. L’e-commerce può fare dei passi in avanti rendendo lo shopping meno freddo e meno burocratico, consentendo ai clienti di provare quell’esperienza emozionale di cui abbiamo parlato. Vanno in questo senso le vendite contestualizzate: per esempio i prodotti presentati con molte fotografie, la proposta di capi inseriti in outfit”.

Giusto che i capi si possano sempre provare?

Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, si schiera dalla parte della clientela: “Il consiglio che noi diamo da sempre è quello di diffidare dei capi di abbigliamento e degli accessori che possono essere solo guardati. Ora ne aggiungiamo un altro: state alla larga da quei negozi che vi vogliono far pagare per la prova di abiti o scarpe”.

Come competere con le vendite online?

Roberto Manzoni, presidente del Settore moda di Confesercenti, non ha dubbi: “Considero quello del collega di Sarzana un percorso sbagliato. Non si costruiscono così i rapporti di fiducia con i clienti. Ci vuole il tempo, ci vuole attenzione. I commercianti tradizionali non possono competere con l’e-commerce per quanto riguarda i prezzi. Possono farlo sul fronte dei servizi, mettendo a disposizione assortimento, assistenza anche post vendita, competenza”.

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