Ciao, sono il tuo psicologo virtuale

Si sono moltiplicate le app di supporto a distanza. A rispondere non è uno specialista ma un software, che imposta la conversazione secondo i principi della terapia comportamentale. Ne abbiamo provata una: ecco com’è andata

Buongiorno Francesco, come ti senti oggi?».
«Non benissimo».
«Perché?».
«Il mio capo non ha fiducia in me» (scusa, capo, è solo per mettere alla prova il terapeuta).
«Come mai lo pensi?».
Iniziamo la sessione, che si conclude in modo proficuo.
«Ti senti meglio ora?»
«Un po’». 
«Evvai!» conclude con immotivato entusiasmo e un emoji. 
Esco dalla stanza senza salutare. Ma non sono maleducato: è che in realtà il mio terapeuta non esiste. O meglio, è virtuale. È un chatbot, un programma che simula una conversazione con un essere umano. Si chiama Woebot, è stato creato da un team di psicologi dell’università di Stanford, e offre un supporto personalizzato a distanza a chi è alle prese con disturbi dell’umore.

Woebot: come funziona

Ho scaricato la app una mattina di fine aprile: le prime 2 settimane di utilizzo sono gratuite, poi scatta un prelievo una tantum da 39 dollari. Woebot mi chiede il nome, si congratula (ma temo lo faccia con tutti), e mi tempesta di domande. Da “mai” a “ogni giorno”, quante volte nelle ultime 2 settimane sono stato depresso? Annoiato? Assonnato, affamato, fallito o ansioso di ferirmi? Nella settimana che segue, mi scriverà ogni mattina per chiedermi come sto. L’approccio è quello della terapia cognitivo-comportamentale. Il buon Woebot mi fa scrivere almeno 3 frasi diverse per verbalizzare un pensiero negativo. Roba semplice tipo: «Sono triste», «La mia ragazza mi ha lasciato», «Non dormo». Il che è già un’esperienza inedita e piuttosto forte. Me le fa analizzare, mi fa notare come spesso non ci siano reali motivazioni dietro, quindi mi fa riscrivere quei pensieri in forma più chiara e ripuliti dalle negatività ingiustificate. All’ultimo giorno, per testarlo gli dico che sono in ansia perché «non riuscirò mai a consegnare questo articolo». E lui attacca con le distorsioni cognitive: «Le cose nella vita raramente sono bianche o nere». «Non caricarti di responsabilità che non hai». Mi fa riformulare l’emozione con una frase il più oggettiva e rea-listica possibile. «Devo scrivere un articolo per mercoledì. Sarà difficile, ma molto probabilmente ce la farò». Eccolo.

Le piattaforme

Non è l’unico. La Silicon Valley si scervella da tempo per trovare la formula più sicura e credibile per un pubblico di almeno 300 milioni di potenziali utenti (tanti sono i depressi nel mondo secondo l’Oms). Talkspace e Betterhelp, 2 tra le piattaforme più popolari, mettono in comunicazione gli utenti con terapeuti certificati, per sessioni in videocall settimanali da 10 dollari l’una. 7Cups invece organizza chatrooms per far conversare gli utenti con dei moderatori formati «per ascoltare senza giudicare». Il loro boom durante la quarantena era scontato. La loro utilità meno. Alla fine della mia esperienza con Woebot ho capito che i terapeuti virtuali in videocall funzionano non come sostituti, ma solo come strumenti per superare una prima diffidenza, mettere a fuoco alcuni pensieri e nel caso avvicinarsi a una forma di intervento reale.

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