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Perché non regalerò mai un Lego in carrozzella (o una Barbie curvy)

  • 01 02 2016

Non ho ancora metabolizzato l’arrivo sul mercato della Barbie a-mia-immagine-e-somiglianza (leggi: bassina e rotondetta) che devo prepararmi a un’altra novità: i Lego su sedia a rotelle.

Saranno in vendita a giugno e andranno a rimpolpare la schiera degli omini gialli. Che già da un anno non sono più solo gialli, ma neri, bianchi, marroni. E anche giovani, vecchi… Tutto ciò per rispondere al bisogno (degli adulti) che i Lego siano come noi, come la realtà.

La sedia a rotelle, per dirla tutta, era già comparsa l’anno scorso, ma associata a un anziano (uomo) spinto da una badante (donna). E giù polemiche.

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Nel 2016, la svolta: si può finire sulla sedia a rotelle anche da giovani. Amen.

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L’intento è ammirevole. Riassumo: le reazioni scomposte dei ragazzi di fronte alla diversità, dall’emarginare al prendere in giro, hanno una radice comune, l’imbarazzo. E l’imbarazzo nasce dalla disabitudine alla diversità, dalla poca confidenza con essa. Soluzione: facciamo familiarizzare i nostri figli col “diverso” a partire dal gioco.

Il discorso filerebbe se non fosse che… stiamo parlando del gioco. Ossia di quella trance magica, di quel rapimento estatico in cui gli oggetti si trasfigurano. Le esperienze vissute si mescolano alle fiabe, per creare contesti privi di logica per l’ascoltatore adulto, ma in cui i bambini si muovono perfettamente a loro agio.

Quando regali un giocattolo, il massimo che ti puoi augurare è che diventi strumento di quella trance. Le motivazioni per cui ciò avviene sono imperscrutabili. Ma le probabilità aumentano se il giocattolo è aperto a molteplici possibilità, e non confinato nell’aderenza alla realtà.

Il mio timore è che, lungi dall’educare alla diversità, assisteremo presto al fenomeno dei giocattoli discriminati.

Le bambine americane che hanno “testato” la nuova Barbie, la spogliavano e ridevano del suo corpo. E quando giocavano a impersonarla dicevano: “Ciao, io sono una ragazza grassa, grassa, grassa”. Le mie figlie forse non farebbero lo stesso, ma di sicuro la richiuderebbero in un cassetto dopo aver scoperto che non riesce a indossare gran parte dei vestiti collezionati e confezionati negli anni.

La Barbie curvy e il Lego in carrozzella mi sembrano trovate per far parlare i grandi non per far giocare i piccoli.

L’educazione alla diversità è un’altra cosa. È un compito che noi genitori dobbiamo assumerci fuori dalla trance del gioco ma nella vita reale, mentre camminiamo per strada e i figli ci riempiono di mille domande scomode. E non smettono di chiedere finché non hanno capito. Perché lui è sulla sedia a rotelle? Camminerà mai? Può succedere anche a me? Perché il mio corpo è diverso dal suo? Alleniamoci a rispondere. Senza timore di rattristarli. Senza paura della loro paura. E non avremo bisogno di delegare alcunché ai giocattoli.

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