Cani nei locali pubblici: cosa dice la legge

Una proposta di legge chiede che gli animali domestici possano accedere in tutti i luoghi aperti al pubblico. Oggi sono i singoli gestori dei locali a decidere se fare entrare o meno i cani dei clienti, tenuti a usare guinzaglio e museruola

Una proposta di legge presentata da due deputate PD chiede che gli animali domestici possano accedere in tutti i luoghi aperti al pubblico, chiese e scuole comprese.

Cosa dice la legge oggi in Italia? I gestori dei locali pubblici possono decidere se fare entrare o meno i cani dei clienti, a patto che siano a guinzaglio e abbiano la museruola, salvo eccezioni. Ma non esiste una moderna legge nazionale ad hoc. Ci si richiama a direttive comunitarie sull’igiene degli alimenti, a norme risalenti agli anni Cinquanta, a circolari sanitarie e regolamenti locali, che possono cambiare da città a città

Quindi è possibile tenere il cane al ristorante, anche in Italia. Ma non in tutti i locali pubblici, non sempre. Dipende dalle scelte di titolari e gestori. Alcuni accettano o incentivano la presenza di cani al seguito dei clienti, offrendo ciotole d’acqua e croccantini. Altri scoraggiano o vietano del tutto l’accesso, appendendo alle vetrine cartelli o adesivi con la scritta “io non posso entrare” e la sagoma degli esclusi.

Ma che cosa prevedono le norme? Come ci si regola? E il nostro, nel settore della ristorazione, si può dire un Paese per cani? Le risposte riguardano milioni di famiglie “allargate” e i turisti che sbarcano nella Penisola con i loro quattro zampe, spesso abituati a trovare le porte spalancate nei luoghi di provenienza.

Quanti sono i cani in Italia

In Italia – lo certificano i dati ufficiali raccolti e diffusi da ministero della Salute – vivono 11.679.020 cani censiti all’anagrafe degli animali d’affezione, più un numero imponderabile di randagi e di esemplari non microchippati né tatuati. La regione che guida la classifica è la Lombardia, con 1.632.802 presenze registrate. Chiude la graduatoria la Valle d’Aosta, ferma a quota 25.033.

Sono i gestori a decidere in autonomia

Fipe e Confesercenti traducono in concreto l’incrocio di direttive e circolari in materia. I titolari e i gestori dei locali hanno l’ultima parola sull’ingresso o meno degli ospiti a quattro zampe. Dice Roberto Calugi, direttore generale della Federazione italiane dei pubblici esercizi di Confcommercio: “In Italia di fatto non c’è niente che possa imporre a baristi e ristoratori di consentire l’ingresso di cani e altri animali domestici. Ma specularmente non c’è nulla che li costringa ad accettare sempre e comunque gli animali da compagnia. Se si rispettano le condizioni di sicurezza, comprese quelle igienico-sanitarie, l’ammissione in un locale pubblico dipende esclusivamente dalla volontà dei singoli imprenditori del settore e dal rapporto che intendono avere con la clientela”.

L’avvocato Giuseppe Dell’Aquila, responsabile dell’ufficio legale di Confesercenti, arriva alla stessa conclusione, pur con qualche distinguo sulle premesse e sui riferimenti normativi. “Ogni locale si regola come crede, nel rispetto delle normative generali e delle disposizioni varate dai singoli comuni”. In caso di danni, incidenti e aggressioni – che nessuno si auspica, ma capitano – la responsabilità penale e civile viene posta a carico di proprietari e conduttori dei cani o questa perlomeno è l’indicazione di osti e pizzaioli.

A Firenze si entra col guinzaglio

I legali dello studio Pavia e Ansaldo citano Firenze come esempio in positivo, all’insegna delle porte sempre aperte (o quasi). Il Regolamento in vigore da più di 20 anni nel capoluogo toscano, approvato nel 1999 e modernizzato con modifiche successive, stabilisce che i cani accompagnati dagli umani posso accedere a tutti i locali, gli esercizi e gli uffici pubblici, a patto che siano dotati di guinzaglio e che ogni cliente abbia un solo esemplare al seguito. Proprietari e conduttori devono fare in modo che gli animali non sporchino e che non creino disturbo o provochino danni. Ristoratori e baristi hanno la facoltà di mettere “paletti”, dandone prima comunicazione al sindaco, ma non dei vincoli totali. Le limitazioni possono interessare gli spazi accessibili oppure le modalità dell’accesso stesso, però non devono tradursi in divieti assoluti. In caso contrario l’amministrazione municipale si riserva di cassare i diktat in negativo, motivando il rigetto.

A Monza si sta fuori, tranne decisioni diverse dei gestori

A Monza – e non solo – si contempla la possibilità che gli esercenti pubblici allestiscano “adeguate soluzioni esterne” da destinare ad animali da compagnia, sempre che non decidano di accoglierli tutti nei loro locali. Le nuove disposizioni in vigore a Varese – dove anni fa scoppiò un caso, per un cane rifiutato da una pizzeria del centro – aggiustano in senso estensivo il vecchio Regolamento di polizia veterinaria e una contestata ordinanza sindacale. Gli accompagnatori dei cani accettati nei locali pubblici, a discrezione di proprietari e gestori, devono tassativamente usare il guinzaglio. Per la museruola c’è invece un po’ di elasticità, diversamente dal Dpr del 1954. Va fatta indossare quando è ritenuta “necessaria, in relazione alle caratteristiche degli animali”. Sono esentati i cani di piccola taglia tenuti in braccio o in borsa. In altre città l’esenzione è legata alla particolare conformazione del muso.

Meglio mettere sempre l’avviso fuori

“Decidere per il sì o il no ai cani – resta di questo parere Calugi, il segretario generale della Fipe- è lasciato al giudizio e alla valutazione dei singoli operatori, che devono tenere conto delle esigenze di tutti gli ospiti, delle possibilità che gli ambienti offrono e delle situazioni contingenti. Se una trattoria ha due sale – ipotizza – in una si possono tenere gli ospiti con i cani, l’altra è riservabile ai commensali che non gradiscono la compagnia degli animali. Se in una birreria ci sono già due esemplari di grossa taglia, o particolarmente vivaci, magari è meglio non accettarne altri. Se sono presenti bimbi piccoli, che hanno paura dei cani, è opportuno decidere di conseguenza. L’importante è che la comunicazione sia chiara, esplicita. Ai nostri associati consigliamo di rendere palese la decisione. Basta appendere un cartello o un adesivo e inserire l’informazione nelle pagine web aziendali. A chi lascia entrare gli animali da compagnia suggeriamo di pubblicizzare questa opzione, che può essere vista con un servizio in più, un modo per attirare l’attenzione e aumentare prenotazioni e afflusso”.

Svariati Comuni, aggiunge Dell’Aquila, chiedono di essere formalmente informati dai ristoratori che scelgono di lasciare fuori gli animali, impongono di mettere un cartello in vetrina oppure invitano ad allestire spazi con ciotole con acqua e ganci per custodire in sicurezza gli amici a quattro zampe dei clienti.

I locali dog friendly

On line, smanettando con i motori di ricerca o spulciando siti e portali, si trovano elenchi, nomi e indirizzi di locali dog friendly. Dogwelcome.it, ad esempio, pubblica la lista di 357 pub, bar, birrerie e gelaterie che da nord a sud spalancano le porte agli accompagnatori del clienti. Sempre in rete si possono reperire i testi delle norme di riferimento.

Il caos delle leggi in merito

Riassumendo. Nel nostro Paese non esiste una moderna legge nazionale ad hoc, che verta solo sul trattamento degli animali da compagnia nei locali pubblici e in uffici, scuole, ospedali, strutture aperte all’utenza. Il tema viene toccato da disposizioni di diversa natura e su più piani: il livello nazionale, quello comunitario, l’ambito locale. La disciplina di base, ritenuta superata da una parte degli addetti ai lavori o comunque parziale e obsoleta, è il Regolamento nazionale di polizia veterinaria approvato nel 1954, un Decreto del presidente della Repubblica. “Queste disposizioni – spiegano gli esperti dell’Unione nazionale consumatori e di animalidacompagnia.it – sono contenute nel capitolo che elenca le misure per la profilassi antirabbica, ma hanno un valore generale, estensivo. Stabiliscono che i cani possano essere portati sui mezzi di trasporto pubblici e nei locali pubblici – bar, gelaterie, ristoranti e affini – utilizzando guinzaglio e museruola. Fanno eccezione i cani delle forze armate e delle forze di polizia, quando sono impiegati in attività di servizio”.

Il secondo riferimento è il Regolamento 852 dell’Unione europea, varato nel 2004 per definire le procedure da seguire per garantire l’igiene e la sicurezza degli alimenti ed evitare i rischi di contaminazioni. I cani, così come gli umani estranei alle attività e gli altri animali, non possono essere tenuti negli spazi in cui si preparano, manipolano e trattano e i cibi, il che per alcuni significa “solo” cucine e dispense, per altri si riferisce a tutti gli ambienti e quindi anche le sale da pranzo.

Il ministero della Salute solo nel 2017 ha emesso due circolari esplicative, attirandosi gli strali delle associazioni animaliste per le restrizioni, per poi correggersi in corsa. Indicazioni e prescrizioni, su scala locale, arrivano poi da ordinanze sindacali, regolamenti comunali per il benessere animale e vademecum predisposti dai servizi veterinari Asl. I contenuti possono variare da un luogo a luogo, aggiungendo confusione e non chiarezza.

L’eccezione dei cani guida per non vedenti

C’è infine il passaggio di una legge – la numero 37 del 1974 – che vale per tutti e ad ogni indirizzo. I cani guida dei non vedenti hanno sempre il via libera e il diritto di accedere ai locali pubblici, anche senza museruola. Baristi e ristoratori che impediscano od ostacolino l’ingresso di questi animali, direttamente o indirettamente, rischiano una multa da 500 a 2.500 euro. Ma per questi esemplari di solito nessuno fa problemi, come invece può capitare per altre specie. Un pitbull sotto il tavolo del vicino non fa lo stesso effetto di un chihuahua che spunta da uno zainetto, un rottweiler da guardia suscita meno simpatia e meno tranquillità di un maltese da appartamento.

L’educazione è la prima regola

Chi si porta appresso un cane, oltre a rispettare le regole generali e le disposizioni locali, non dovrebbe mai dimenticare il rispetto, il buonsenso, la correttezza. Siti specializzati, come justdog.it, propongono una sorta di galateo. Fido “deve comportarsi educatamente e non deve creare situazioni di pericolo per gli ospiti”. Poi “deve essere pulito e non emanare odori sgradevoli”, oltre a non avere malattie o problemi di salute. Se è reduce da una passeggiata, e si è rotolato nel fango o nelle feci di altri animali, “non è rispettoso portarlo in mezzo ad altre persone, come se niente fosse, rischiando di litigare con il proprietario del locale e con i clienti”. Idem “dopo una giornata al mare o se ha il pelo molto bagnato”. Se nel pub o ne ristorante prescelto ci sono altre persone con cani al seguito, “evitate di sedersi al tavolo vicino a loro, poiché gli animali potrebbero litigare” e i padroni pure. Meglio optare per “i tavoli d’angolo, che hanno in genere maggiore spazio, così da permettere al cane di accoccolarsi liberamente senza dare fastidio agli altri commensali e al personale di sala”.

Altro must, ignorato da molti: “Non dare al cane il cibo servito a tavola. Oltre ad essere dannoso per la salute, e sporcare il pavimento, potrebbe indurre il quadrupede a elemosinare roba da mangiare anche da altre persone”. Se uno sconosciuto si avvicina per accarezzare il cane, gli andrebbe chiesto di allontanarsi, “poiché l’animale potrebbe agitarsi e rovesciare il tavolo con dei movimenti bruschi”. L’ideale, a metà del pasto, sarebbe portare fuori Fido per una breve passeggiata: “lo aiuterà a sgranchirsi e a rilassarsi e potrà fare i suoi bisogni”, da raccogliere e smaltire correttamente.

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