Fanno gli operai, i facchini, gli sguatteri, gli ambulanti. E via così, elencando dignitose occupazioni da minimo salariale. L’integrazione in Italia è un percorso a tappe obbligate, che spinge i migranti approdati nel Bel Paese nell’imbuto delle attività scartate dagli italiani. Tra le mille paure legate agli attentati terroristici e le conseguenti tensioni sociali, gli sbarchi non si sono mai fermati. A luglio sono diminuiti sensibilmente, ma sono già oltre 80.000 dall’inizio del 2017. Più di 500.000 negli ultimi 3 anni.
Per tanti la meta è il Nord Europa
In larga parte chi approda in Italia non ha alcuna intenzione di fermarsi, la meta è oltre il confine naturale delle Alpi, verso la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, la Scandinavia. Chi resta e riesce a inserirsi nel nostro tessuto economico, per lo più trova soltanto lavori non qualificati.
Il fenomeno è fotografato alla perfezione dall’ultimo rapporto Immigrazione della Caritas: un migrante su 3 (il 36,5% del totale) accetta lavori umili, generalmente sottopagati. Gli italiani che svolgono le stesse mansioni non raggiungono invece l’8%. Gli immigrati fanno ciò che noi ci rifiutiamo di fare
Ma è anche vero il contrario, ovvero che i nostri immigrati sono mediamente meno scolarizzati di quelli che tentano la fortuna altrove. Un migrante su due tra quelli che vivono nel Belpaese ha completato al massimo il primo ciclo scolastico, si è fermato cioè alle elementari. Al contrario, in Gran Bretagna o in Irlanda, 2 su 5 hanno il diploma di scuola superiore, con una percentuale che si aggira attorno al 40% contro il 12 registrato in Italia.
Anche fra gli italiani ci sono pochi laureati
Perché il nostro Paese attira forza lavoro meno preparata? Per Tommaso Frattini, professore di Economia del lavoro all’Università di Milano, la risposta è nella «stretta correlazione tra offerta di lavoro e livello di istruzione del Paese che accoglie il migrante». Il docente milanese ha firmato assieme ad Ainhoa Aparicio Fenoll uno studio dal titolo Migration Observatory’s Report: Immigrants’ integration in Europe, che, elaborando informazioni fornite dalla banca dati dell’Unione europea, affronta anche questo specifico punto:
«L’offerta di lavoro si orienta in relazione al livello d’istruzione complessivo, cioè dell’intera popolazione: se è basso, mediamente sono dello stesso tipo anche le occupazioni disponibili»
Gli impieghi ben retribuiti scarseggiano
In Germania, Gran Bretagna e Norvegia, almeno il 30% dei residenti ha superato il ciclo di studi terziari, gli studi universitari. In Italia solo il 12% dei residenti vanta una laurea, mentre la metà della popolazione non è arrivata al diploma (32,2 % licenza elementare, 25 licenza media, dicono i dati Istat 2015). «In Italia agli immigrati sono impiegagti come manodopera a basso costo semplicemente perché i lavori specializzati scarseggiano. Ed è così per tutti, come ben sanno i nostri neolaureati, che difatti emigrano in numero crescente». All’estero il mercato abbonda di lavori qualificati: «E mediamente sono meglio retribuiti» conclude Frattini.
I migranti danno un forte contributo all’economia
Pur svolgendo compiti apparentemente di poco conto, il contributo dei migranti all’economia italiana è decisivo. Sempre secondo la Caritas, al gennaio del 2016 gli stranieri residenti in Italia ammontavano a poco più di 5 milioni, quelli in età da lavoro sono 4,1 milioni. Ma c’è una bella differenza tra il lavoro degli italiani e quello degli stranieri. Mentre la retribuzione media mensile dichiarata dagli occupati italiani è di 1.356 euro, quella degli stranieri scende a 965 euro, pari al 30% in meno (-371 euro). Eppure gli immigrati producono quasi il 9% del Pil nazionale, pari a 127 miliardi di euro (prendendo in considerazione l’anno 2015). Lavoro pagato poco e alta produttività. Ecco perché, secondo diversi commentatori, i migranti hanno salvato dal fallimento centinaia di imprese italiane.
I numeri
1 milione i minori stranieri in Italia all’inizio del 2017, pari al 21 % della popolazione immigrata totale. 200 le nazionalità degli alunni presenti oggi nella scuola italiana. 44% la percentuale di alunni stranieri di religione cristiana (cattolici e ortodossi). Gli alunni provenienti da Paesi musulmani sono il 38,4% (Fonte: Fondazione Moressa).
Le storie. Mohamed in Libia ha subito violenze e prigionia, ora fa il gommista di giorno e il dj di notte
Può capitare che giunto al termine di un djset di reggae e reggaeton, la fatica della giornata si faccia sentire: «E allora» dice Mohamed «chiedo il cambio a un amico, è normale». Di notte fa il dj, e di giorno il gommista: «Un errore in discoteca è ammissibile, ma non in officina, quando monto uno pneumatico o sistemo i freni di un’auto. È una responsabilità». Nato in Senegal, vissuto in Gambia, 21 anni, da 3 è in Italia, sbarcato a Lampedusa dopo un viaggio durato 8 mesi e condito da violenze e prigionia. «In Libia mi catturarono. Mi tennero prigioniero per molti giorni. E quando cercai di fuggire, mi spararono contro». Suo padre è stato un colonnello dell’esercito gambiano, ora è tornato al villaggio della sua potente e numerosa famiglia, ed è considerato un capo, un “califfo”. «Non vedo i miei da molto tempo, ma ogni tanto li sento al telefono». Sanno che fa il dj, non ne sono contenti. «E ancora non gli ho detto che mi sono fatto crescere i dread. Me li farebbero tagliare senz’altro».
Aziz arriva dalla Somalia dilaniata dalla guerra civile, ora fa il giornalista per una radio web
«In Somalia facevo il giornalista e il mio era il lavoro più difficile del mondo» racconta Aziz. «Bastava un articolo scomodo, o anche appena critico, ed eri sicuro di morire». Un giorno uomini armati sono entrati nella redazione della tv per cui lavorava ed hanno spaccato tutto. Hanno arrestato il direttore, gli hanno rotto le mani, e lo hanno portato via. «E nessuno ha detto nulla, nessuno sapeva e nessuno voleva parlarne». Era il 2012, la Somalia era una in perenne guerra civile, gruppi armati seminavano il terrore. «Lì avevo casa e famiglia, il pane non mi mancava. Ma non avevo la libertà. E senza liberta non si può vivere». Oggi Aziz ha 24 anni, vive a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, ed è ospite del centro Sprar Girasoli. Oggi può dire e fare ciò che gli pare. È tornato a lavorare come giornalista, per la radio web Cantieri Sociali 3.0, ma è una specie di opera di volontariato: «Ci occupiamo di ogni tipo di notizie, non soltanto di immigrazione. A me però piacerebbe avere un lavoro vero, stabile. Penso che ovunque poggi i miei piedi quella è la mia terra. E quindi, prima o poi, ce la farò anche qui».
Sambu viveva in Mali tra guerra e terrorismo, ora fa il panettiere
Cresciuto in Mali, in un Paese dilaniato dalle guerre e minacciato dai terroristi, la sua vita è cambiata grazie a un barcone. Aveva solo 17 anni e prima di salpare dalla Libia non aveva mai visto il mare. Oggi, grazie al centro Sprar Girasoli che lo ha accolto e aiutato per 3 anni, ha un lavoro di cui va orgoglioso: «Faccio pasta e pane con la farina dei grani antichi siciliani» racconta Sambu. Nel forno di Santa Caterina, un paesino alle porte di Caltanissetta, lavora con il titolare Maurizio Spinello a un coraggioso progetto di valorizzazione di prodotti che appartengono a un passato lontano ma che piacciono di nuovo per la loro genuinità. «Adoro impastare e infornare il pane. Mi riporta alla terra da cui tutti noi veniamo» dice. Per i 20 abitanti di Santa Caterina questo ragazzone di 1 metro e 85 è una specie di mascotte: «Tutti lo conoscono, tutti gli vogliono bene» dice Spinello. Da poco sono tornati da una gita che hanno fatto insieme. Sambu ha giocato tutto il giorno con i figli del suo datore di lavoro, in riva a un mare che non gli fa più paura.