Cibi in tavola vassoi

10 cibi pericolosi: la classifica europea dei rischi alimentari

Ogni giorno rischiano di arrivare in tavola cibi e alimenti contaminati da sostanze potenzialmente pericolose per la salute. Ecco la top ten dei prodotti più rischiosi

Pesci spagnoli con alto contenuto di mercurio e infestati dal verme Anisakis. Ostriche vive francesi con Norovirus. Polli polacchi alla Salmonella. Verdure Made in Italy “condite” con pesticidi o, se congelate, infestate da Listeria monocytogenes. Corpi estranei, tra la roba da mangiare o in bottiglia. Miele cinese buono da buttare via, noccioline americane non proprio di alta qualità, arachidi egiziane da mettere al bando. E via elencando, in una gamma assortita di declinazioni e combinazioni.

Ogni giorno rischiano di arrivare in tavola cibi e alimenti contaminati da sostanze e da “ospiti” potenzialmente pericolosi per la salute. Per intercettarli, prima che finiscano nei nostri piatti,  i Paesi dell’Unione europea schierano squadre di  controllori e operatori specializzati (ad esempio gli ispettori delle dogane, i funzionari e i veterinari delle Asl e i carabinieri dei Nas, per l’Italia). E quando c’è un caso sospetto, o sorgono dubbi, viene attivato il Rasff (Rapid alert system for food and feed), il Sistema di allerta rapido per alimenti e mangimi. Si tratta di un network tra le autorità sanitarie degli Stati Ue, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e la Commissione Europea.

I meccanismi previsti e collaudati permettono ai singoli Paesi di condividere in tempo reale (o quasi) le informazioni sulla circolazione di prodotti da “bollino rosso”, di rendere pubbliche le segnalazioni trattate e di lanciare allerte su scala continentale, per i casi più gravi.

Per l’Italia, e per i consumatori, la fonte di notizie e indicazioni è il portale del ministero della Salute (www.salute.gov.it). News e materiali si trovano anche sui siti delle associazioni di paladini degli utenti e su pagine web specializzate (ad esempio Il Fatto Alimentare, ilfattoalimentare.it, sezione “sicurezza alimentare”).

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Dieci segnalazioni quotidiane nella Ue

Le autorità sanitari e le istituzioni, costantemente informate sulla presenza di rischi alimentari sul territorio europeo, possono prendere provvedimenti in situazioni di emergenza e tutelare la popolazione (in primis con il blocco in dogana dei colli “incriminati”, con la pubblicazione di informazioni mirate sui siti ufficiali e con il richiamo, il ritiro o il sequestro delle partite oggetto di segnalazioni strong).

La media è di 10 casi (e dispari) al giorno. Nel corso del 2018 – come certifica l’ultimo rapporto riepilogativo –  al Rasff sono arrivate 3.622 notifiche  (a fronte delle 2.967 segnalazioni del 2015, delle 2.925 del 2016 e quasi in linea con le 3.759 del 2017, il picco più elevato raggiunto negli ultimi vent’anni, riconducibile all’emergenza Fipronil, un insetticida ad ampio spettro).

Le conseguenze sono state di diverso tipo. Il 30 per cento delle attivazioni del Sistema ha portato ad allerte per prodotti distribuiti sul mercato. Il 38 per cento ha riguardato cibi, alimenti e mangimi respinti ai confini prima di essere distribuiti e sbarcare in magazzini, rivendite e supermercati. Le altre hanno alzato il livello di attenzione e veicolato informazioni di follow up, su altre partite da marcare strette, liste di distribuzione, tracciabilità, interventi adottati…

In Italia un allarme al giorno

L’Olanda è il Paese che ha inviato il maggior numero di segnalazioni (456 notifiche), seguita da Germania (419) e Italia (398, pari ad almeno 1 allarme al giorno). Fanalini di coda, Islanda (con 2 sole attivazioni del Sistema di allerta rapido), Romania (9) e Lussemburgo (11). La macchina transnazionale della sicurezza – sempre nel 2018 – è stata messa in moto 3.171 volte per prodotti destinati all’alimentazione umana (erano 3.401 nel 2017), 313 per l’alimentazione animale (239 l’anno prima), 138 per  la migrazione da materiali e oggetti destinati a entrare a contatto con gli alimenti (rispetto a 119 dei dodici mesi precedenti).

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Ecco le famiglie di cibi più a rischio

Dall’analisi delle 398 notifiche effettuate dall’Italia, per i cibi destinati ai consumi di residenti e turisti, esce una sorta di classica relativa delle “famiglie di alimenti” più a rischio: il primato negativo è stato conquistato dai prodotti della pesca (101), al secondo posto i molluschi bivalvi (53), al terzo la  frutta secca e i semi (40), al quarto la frutta e i vegetali (28), al quinto i mangimi (27). In fondo alla classifica a rovescio – e quindi con la palma per la  migliore qualità – si sono piazzati i crostacei (8 segnalazioni in un anno).

Attenzione ai prodotti turchi, cinesi e francesi

Lo Stato di provenienza che ricorre di più nelle segnalazioni negative in area Ue è la Turchia (318), con la Cina a ruota (310) e poi Francia (215), Stati Uniti (202), Polonia (185)  Spagna (183). L’Italia si è collocata in nona posizione, con 156 non conformità. Nei prodotti alimentari made in Italy la casistica è risultata abbastanza eterogena. Il maggior numero di irregolarità riscontrate è stato correlato a contaminazioni microbiologiche (65, dovute in particolare a Salmonelle, Listeria monocytogenes ed Escherichia coli), ad allergeni (21) e a corpi estranei (12) .  

I prodotti italiani bocciati

I prodotti italiani non a norma sono al primo posto assoluto (con 8 segnalazioni su 20) alla voce gelati e dolciumi, per colpo della presenza di allergeni non dichiarati in etichetta (8 notifiche) e una non corretta etichettatura dei prodotti (4). Il nostro Paese si è distinto negativamente (con 8 segnalazioni su 4 e la “medaglia d’oro” a rovescio) anche per zuppe, brodi, minestre e salse fuori legge. Le ragioni? La presenza di allergeni non dichiarati (10) o di additivi alimentari (9) nelle confezioni testate.

La classifica incrociata di Coldiretti

Coldiretti, elaborando e incrociando numeri e percentuali, ha stilato la top ten finale dei prodotti più rischiosi, tenendo conto anche della provenienza e della fonte dei pericoli per la salute:

pesce dalla Spagna, per mercurio e infestazione da Anisakis

ostriche vive dalla Francia, per Norovirus                         

pollo dalla Polonia, per Salmonella enterica

pesce dalla Francia , per Anisakis

nocciole dalla Turchia, per aflatossine

cozze dalla Spagna, per Escherichia coli

arachidi dall’Egitto, per aflatossine

manzo refrigerato dal Brasile, per Escherichia coli – Shigatossina

nocciole dall’Azerbaijan, per aflatossine

pollo dal Brasile, per Escherichia coli – Shigatossina

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Le ultimissime segnalazioni

Le segnalazioni non finiscono mai. Arrivano senza soluzione di continuità. Le più recenti, rilanciate da il fattoalimentare.it e relative alla 25esima settimana del 2019, sono 63 (7 delle quali inoltrate dal nostro ministero della Salute). Due le massime allerte, innescate da pezzi di metallo trovati in barrette di cioccolato importato dai Paesi Bassi e per la migrazione di cromo da coltelli da cucina Made in Italy in acciaio inossidabile. Nella lista delle informative, quelle che non implicano interventi urgenti, ci sono residui di medicinale veterinario non autorizzato (fenilbutazone) presente in carne di cavallo arrivata dal Canada, mercurio in pesce spada congelato targato Spagna, lo stesso metallo pesante in pesce pagro di origine tunisina. Tra i prodotti respinti alle frontiere, o oggetto di informazioni condivise tra gli Stati Ue, figurano: mandorle spellate provenienti da Israele e pistacchi iraniani senza guscio contaminati da aflatossine e polpo congelato importato dall’Algeria senza indicazione della data di congelamento.

Coldiretti: “Più informazioni sulle importazioni”

“Se andiamo a leggere bene i numeri e a confrontarli – sottolinea Rolando Manfredini, responsabile dell’area Sicurezza alimentare di Coldiretti – sono evidenti le maggiori garanzie date dai prodotti nazionali. Cibi e alimenti extracomunitari, risulta della statistiche più recenti, sono 4 volte più pericolosi di quelli comunitari e 12 volte di quelli Made in Italy. In caso di allarme alimentare – continua l’esperto – le maggiori preoccupazioni sono determinate dalla difficoltà di rintracciare rapidamente i prodotti avariati o contaminati per toglierli dal commercio. E si  rischia di provocare un calo di fiducia, che causa il taglio generalizzato dei consumi e che può mettere in difficoltà ingiustamente interi comparti economici sani e trasparenti, con la perdita di posti di lavoro. L’esperienza di questi anni dimostra l’importanza di una informazione corretta. L’obbligo di indicare in etichetta l’origine nazionale dei prodotti dovrebbe essere esteso a tutti gli alimenti, compresi i trasformati. In Italia andrebbe anche tolto il segreto sui flussi commerciali, con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero, per consentire interventi mirati in situazioni di emergenza sanitaria per evitare frodi. Il Sistema di allerta rapido, partito nel 2002 per lo scandalo della “mucca pazza”, funziona. Può e deve essere migliorato, con un attenzione particolare per i prodotti per i quali nel corso degli anni sono emerse le maggiori criticità”.

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