La riscossa dei negozietti durante l’epidemia

Stefano Guizzetti, gelatiere molto smart, con i suoi due negozi a Parma e a Milano a marchio Ciacco, con il coronavirus è stato ovviamente costretto a chiudere per l’emergenza sanitaria. Si è organizzato per le consegne a casa. Ed è stupito perché «se prima il gelato era un consumo di impulso, ora le persone programmano giorni prima. E sono contentissime di vedermi arrivare a casa loro, con i miei gusti». Sembra funzionare, tanto da spingerlo ad allargare l’offerta ai prodotti alimentari dei piccoli produttori che gli forniscono, normalmente, la materia prima. Yogurt, burro, parmigiano, formaggi, caffè e una birra artigianale. Così le sue consegne diventano ancora più appetibili.

Sabastiano Caridi, che ricordiamo vincitore del programma “Il più grande pasticcere” (su Raidue, ormai qualche anno fa), oggi ha due pasticcerie, a Faenza e Bologna. A Faenza, poco distante dal suo negozio, c’è una piccola bottega di prodotti alimentari di alta qualità. Grazie a un accordo inedito, ora la bottega vende anche le colombe artigianali di Sebastiano. «Cento, solo nei primi due giorni di test di questo nuovo canale», spiega lui.

Premia lo spirito d’iniziativa

Si potrebbe andare avanti con tanti esempi, dalle librerie che organizzano letture e incontri a mezzo Zoom o Skype per stare vicine ai loro lettori affezionati, al negozietto di miele che riesce a spedire cesti personalizzati con vasetti e altri prodotti gourmet. Fino alla cartoleria che ci lascia nella cassetta della posta i tanto agognati pennarelli, o al titolare della bottega di alimentari che si prodiga con la consegna della spesa a ritmi mai sostenuti prima. Il comune denominatore è lo spirito d’iniziativa, per restare vicini ai propri clienti.

Questa nuova, straniante realtà degli acquisti in tempo di coronavirus riporta in auge il negozio di prossimità. Anche nelle grandi aree urbane, dove prima il supermercato era una divinità. Ora che siamo costretti – decreti alla mano – a comprare entro i confini del nostro comune, riscopriamo realtà commerciali fin troppo snobbate in precedenza. Anche perché sanno starci vicine, umanamente, in questi tempi difficili.

Gli italiani amano già i negozi di quartiere

Che sia questa l’occasione di riscossa dei piccoli negozi? In realtà, erano tutt’altro che spariti dai radar anche prima. Questione di percezione: ci sembra che e-commerce e superstore siano padroni del commercio perché se ne parla tanto, ma oltre il 55% dei consumatori italiani – secondo un’indagine Confcommercio del 2018 – compra nei negozi alimentari di quartiere e l’indice di soddisfazione è massimo per i piccoli, indipendenti e molto specializzati. Conquistano per la qualità del prodotto fresco, per la cortesia e la competenza del personale. E ora, “complice” indesiderato il coronavirus, la spesa vola nei piccoli esercizi commerciali.

Il negozio di quartiere crescerà

Spiega la professoressa Chiara Mauri, esperta di retail dell’Università Bocconi, che «in noi consumatori qualcosa resterà, di questa nuova realtà. Anche dopo il lockdown. E qualcosa già c’era: del resto anche le catene della grande distribuzione, negli ultimi anni, stavano tornando al negozio sotto casa. Perché ne hanno capito il valore. Credo che “mischieremo” ancor di più le fonti della spesa, tra super e negozio di vicinato, e quest’ultimo, se lavora bene, conquisterà clienti».

Come sopravvivere anche dopo l’epidemia

Però, piano a dire che sarà tutto roseo. C’è negozio e negozio: la bottega alimentare gioisce, perché può stare aperta. La gelateria, la pasticceria, come anche la libreria o la cartoleria, all’opposto. La serranda è abbassata e temono di non poterla rialzare più. «Con i miei studenti del laboratorio di retail abbiamo analizzato diverse realtà commerciali in differenti città italiane, durante queste settimane di emergenza», spiega Mauri, «scoprendo iniziative intelligenti, sforzi per restare in contatto con i clienti, nuove idee subito operative. Un piccolo negozio potrà ancora giocarsela con il cliente, perché il cliente gli dà già fiducia. È un capitale che ha già, insomma. A patto che riesca a rifarsi una veste moderna. Non puoi più essere solo fisico, e nemmeno solo digitale. Un piccolo negozio sopravviverà se saprà dare un’offerta a 360 gradi. Mentre è chiuso, deve usare i social per tenere vive le relazioni con i clienti. Mandando messaggi tarati su di loro: penso alle letture online organizzate da alcune librerie, o ai pasticceri che si prodigano per aiutare i loro più affezionati clienti con le videoricette. E poi, se usano questo tempo per organizzare bene il sito per l’e-commmerce e – parallelamente – le consegne a domicilio nella loro zona, sono sulla strada giusta».

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