Cosa ci insegna la morte di Noa

La scrittrice Michela Murgia commenta la storia di Noa, la 17enne olandese che si è lasciata morire perché non riusciva a superare il trauma degli abusi sessuali subiti quando era poco più che bambina

L’eutanasia non c’entra nulla

Il brutto giornalismo è presto detto. Un giornale inglese senza alcun credito di autorevolezza, il Daily Mail, ha raccontato che la ragazza aveva chiesto e ottenuto l’eutanasia di Stato e i giornali italiani, nella fretta di arrivare per primi sulla presunta notizia, l’hanno ripresa senza verificarla. Se lo avessero fatto, avrebbero compreso che l’eutanasia non c’entrava nulla, dato che lo Stato olandese non ha concesso alla ragazza alcun suicidio assistito. Noa si è lasciata morire in casa di fame e di sete, con la sola assistenza dei genitori, impotenti e straziati davanti alla sua radicale decisione di farla finita. Il suo è il suicidio di una ragazza spezzata, una notizia che di solito i giornali danno in sordina proprio per non suscitare quell’emulazione che una volta si chiamava letterariamente “effetto Werther” (dal protagonista del romanzo di Goethe I dolori del giovane Werther).

Gli abusi sessuali continuano a essere minimizzati

La vera notizia, quella che avrebbe dovuto essere affrontata ben al di là della vicenda dolorosa di Noa, è che lo stupro è un evento che uccide qualcosa di profondo in ciascuna donna e il trauma di quel lutto, specialmente se è vissuto nel silenzio e nella vergogna, può rendere la vita insostenibile a chiunque lo subisca. In una cultura patriarcale e maschilista, che tende a minimizzare gli abusi sessuali sulle donne e a trattarli come un evento di cui la vittima è causa della violenza che ha subito, superare questo trauma può essere doppiamente difficile. Se questo è vero in Olanda, Paese dove il percorso verso la parità di genere è molto avanzato, è ancora più vero in Italia, dove solo nel 1996 lo stupro ha smesso di essere considerato nel codice penale come un “reato contro la morale”, invece che contro la persona.

La violazione del corpo è accompagnata dal giudizio sociale 

Ogni donna è un soggetto a rischio suicidio dopo lo stupro, se non ascoltata, creduta e assistita nel modo giusto, perché alla violazione del corpo si aggiunge una silenziosa morte civile, quella del giudizio sociale che finge di compatirti e intanto continua a chiederti cosa ci facevi lì a quell’ora, cosa indossavi, quanto avevi bevuto o se hai gridato il tuo “no!” con voce abbastanza alta. Si muore molte volte prima di desiderare di morire fisicamente. Dell’ultima morte ci si preoccupa giustamente se sia o meno lo Stato a doverla dare, ma tutte le altre prima passano da noi.

Riproduzione riservata