Deborah Dugan alla cerimonia di presentazione delle Nomination per i Grammy

Deborah Dugan alla cerimonia di presentazione delle Nomination per i Grammy

La donna che ha sfidato il maschilismo dei Grammy

La brutta storia che ha coinvolto l’ex Ceo Deborah Dugan, che ha denunciato disparità di trattamento, abusi e molestie nella storica istituzione, da lei definita “un club per soli uomini”

Non abbiamo fatto in tempo a rallegrarci per la serata appena trascorsa dei Grammy Awards, i prestigiosi premi musicali che si sono svolti domenica 26 gennaio a Los Angeles e che hanno visto il trionfo della 18enne Billie Eilish, ed ecco che una brutta storia di abusi di potere, disparità di trattamento e molestie sessuali arriva a rovinare le celebrazioni. Al centro della bufera c’è l’ex Ceo Deborah Dugan che, all’inizio di questo mese, è stata improvvisamente rimossa dal suo incarico di Ceo, che ricopriva da appena cinque mesi.

Dugan era succeduta a Neil Portnow – che ha guidato la Recording Academy per 17 anni – lo scorso agosto ed era la prima donna a ricoprire quel ruolo nella storica istituzione. È stata accusata di “bullismo” da parte di un collaboratore, motivo per cui è stata spogliata del suo ruolo dall’Academy, l’associazione americana che riunisce musicisti, produttori, audio engineer e altre professionalità del campo musicale e che ogni anno conferisce i Grammy.

Ha scoperchiato il vaso di Pandora

Come riporta Vox, Dugan ha negato tutte le accuse e, per tutta risposta, ha presentato un esposto alla Commissione per le Pari Opportunità di Los Angeles, sostenendo di «essere stata sospesa per mera rappresaglia, visto che aveva scoperchiato una serie di casi di casi di cattiva condotta e corruzione all’interno della Recording Academy». Sempre stando alla denuncia presentata da Dugan, un avvocato che rappresentava l’Academy l’avrebbe molestata sessualmente, mentre il Ceo che l’aveva preceduta, Portnow, era stato accusato di stupro da un artista (accusa che Portnow ha negato).

Come se non bastasse, secondo Dugan il processo di nomina dei Grammy è stato ingiustamente manipolato e, di fatto, finisce per penalizzare le donne. Dugan ha fatto l’esempio del premio Canzone dell’anno del 2019, affermando che a un artista è stato permesso di far parte del comitato per le nomination e, sebbene quell’artista fosse 18esimo nella classifica da 20 della categoria, ha comunque ottenuto una nomination.

Un’istituzione che fatica a modernizzarsi

Eppure la nomina di Dugan era sembrata a molti un timido tentativo compiuto dall’istituzione, che spesso in passato è stata messa sotto accusa per gli atteggiamenti sessisti e razzisti, di modernizzarsi e provare a stare al passo con i tempi. Durante la cerimonia di premiazione della scorsa domenica, ad esempio, nell’accettare il premio come Miglior album rap Tyler, The Creator ha detto che il suo era un successo dolceamaro, e sul palco si è chiesto «perché quando bisogna premiare uno come me [e cioè afroamericano, ndr] finisce sempre nella categoria “urban” o “rap” e non in quella del pop».

In un’intervista con il Los Angeles Times, Dugan ha detto che la sua intenzione non era quella di rovinare i Grammy per i tanti fan che li aspettavano con ansia e che la sua battaglia non è contro la manifestazione, quanto piuttosto contro l’Academy e i suoi meccanismi. Dugan l’ha più volte definita «un club per soli uomini» e ha sottolineato la necessità di difendersi dalle accuse che erano state mosse nei suoi confronti. Alcuni artisti e celebrity hanno espresso solidarietà nei suoi confronti, a partire da Taylor Swift (i ben informati sostengono che abbia cancellato la sua esibizione a sorpresa prevista domenica proprio per questo motivo), fino a Gabrielle Union e Chuck D dei Public Enemy.

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