Rosemarie Aquilina, la giudice che ha difeso le ginnaste Usa

Fino a 175 anni di prigione: questa la condanna esemplare all’ex medico della Nazionale Usa di ginnastica, accusato di violenze da più di 150 donne che hanno testimoniato contro di lui. Tra di loro anche la giovane campionessa olimpica Simon Biles

È la storia che più ha fatto discutere gli Stati Uniti nelle ultime settimane: il processo all’ex medico della Nazionale statunitense di ginnastica Larry Nassar, accusato da oltre 150 donne di violenze e molestie sessuali e ora condannato a una pena minima di 40 anni di prigione e a una massima di 175 anni. Nassar è stato riconosciuto colpevole dalla corte di Lansing, in Michigan, di aver abusato sessualmente di più di 100 donne e bambine, sue pazienti negli ultimi vent’anni.

L’ex medico, 54 anni, è entrato nella Nazionale di ginnastica nel 1986 in qualità di preparatore atletico ed è diventato il medico responsabile della squadra dieci anni dopo, nel 1996, dopo essersi specializzato in Osteopatia, materia che insegnava anche all’Università del Michigan, e Medicina sportiva. La sua professione, dunque, gli ha permesso di avere libero accesso a bambine e giovani donne, di cui ha sistematicamente abusato, per un lunghissimo periodo di tempo.

È rimasto in carica fino al 2015, quando la federazione lo ha licenziato a causa delle crescenti lamentele e proteste da parte delle atlete e dei loro genitori. Durante il processo di Nassar sono stati inquisiti anche i vertici della federazione sportiva e alcuni preparatori e allenatori, accusati di negligenza. La Nazionale di ginnastica, intanto, ha annunciato un’indagine interna.

Dalle prime accuse al processo, seguitissimo

Le prime accuse nei confronti di Nassar sono comparse nel settembre del 2016 sull’Indianapolis Star, dove due donne (una era Rachael Denhollander, l’altra ha preferito restare anonima) facevano per la prima volta il suo nome. Da quel momento in poi, un esercito di donne ha iniziato a raccontare storie di abusi e violenze commesse da Nassar, che era solito spacciare come “trattamenti medici” i suoi comportamenti predatori, che comprendevano penetrazioni, atti di masturbazione, palpeggiamenti e molto altro. 156 donne sono state chiamare a testimoniare dalla giudice Rosemarie Aquilina nei giorni immediatamente precedenti all’emissione della sentenza, rendendo il processo un evento mediatico che ha coinvolto emotivamente tutto il Paese.

Aquilina, infatti, facendo appello al Sesto amendamento della costituzione americana che stabilisce il diritto di ogni imputato di fronteggiare i propri accusatori in tribunale, ha invitato le donne che hanno accusato Nassar a testimoniare di fronte a lui. Tra le accusatrici, ci sono anche le campionesse olimpiche di Londra 2012 e Rio 2016 Alexandra Raisman, il cui intervento è stato uno dei più condivisi online («Larry, capisci che questo gruppo di donne di cui hai abusato a tuo piacimento per un periodo di tempo così lungo, ora sono una forza e tu non sei niente?», ha detto), McKayla Maroney, Gabby Douglas, Jordyn Wieber e Simone Biles, che in un tweet dello scorso 15 gennaio ha raccontato la sua storia utilizzando l’hashtag #MeToo.

Larry Nassar

Larry Nassar

La forza delle testimonianze

In un momento in cui, soprattutto in America, il caso Harvey Weinstein ha riacceso il dibattito pubblico sulla violenza di genere e le molestie sul lavoro – una discussione che, come abbiamo raccontato anche su Donna Moderna, è difficile e sfaccettata, ma necessaria – il processo di Larry Nassar ha catalizzato un interesse impensabile fino a poco tempo fa. Le testimonianze delle giovani donne che si sono presentate in tribunale, faccia a faccia con Nassar, hanno commosso, fatto arrabbiare e riflettere milioni di persone.

«Hai fatto credere ai miei genitori che ero una bugiarda. (…)» ha raccontato l’ex ginnasta Kyle Stephens in uno degli interventi più crudi e toccanti «Hai fatto credere loro che mentivo quando dicevo che mi avevi penetrato con le dita. Non ho avuto paura al momento di usare il mio primo tampone, perché il mio imene non era più intatto. Hai usato il mio corpo come volevi per sei anni. È qualcosa che non si può perdonare. Forse a questo punto lo avrai capito, che le bambine non rimangono bambine per sempre. Crescendo diventano donne forti, che ritornano nella tua vita per distruggerti».


Una condanna esemplare

La giudice Aquilina è stata anche accusata di sensazionalismo dagli avvocati di Nassar (e da alcuni analisti) per questa scelta inusuale, visto che l’imputato si era già dichiarato colpevole di avere molestato sette ragazze sia durante un precedente processo a suo carico, risalente al dicembre 2017, sia nel processo presediuto dalla stessa Aquilina. Il prossimo 31 gennaio, inoltre, Nassar sarà giudicato a Eaton County, sempre in Michigan, per altre accuse di abusi sessuali.

Dopo la condanna di dicembre 2017 a sessant’anni di reclusione per possesso di materiale pedopornografico (più di 37.000 video e foto), quella emessa da Aquilina lo scorso 24 gennaio, che va un minimo di 40 a un massimo di 175 anni, e quella del prossimo 31 gennaio, Nassar passerà praticamente tutto il resto della sua vita in carcere. «Ho firmato il tuo certificato di morte», ha detto Aquilina al momento di leggere la sentenza, dopo aver messo da parte con stizza la lettera degli avvocati di Nassar (al minuto 13:06) con un gesto che è stato ripreso moltissimo sui social fino a diventare una gif.


Una sentenza “catartica”

Come ha scritto Sophie Gilbert sull’Atlantic, la scelta del giudice Aquilina di indire quattro giorni di testimonianze pubbliche prima della sentenza di Nassar, seppur criticabile da certi punti di vista, ha avuto l’innegabile merito di accendere l’attenzione dei media internazionali su una storia che per troppo tempo era stata ignorata e allo stesso tempo ha permesso alle donne che sono state vittime degli abusi e delle violenze dell’ex medico di trovare una loro, personale, chiusura. «Lasciate tutto questo dolore qui dentro» ha detto alle donne presenti in aula «Ora andate nel mondo a fare cose grandiose».

Non è una cosa scontata e in qualche modo riflette il cambiamento di clima che viviamo oggi: troppe volte abbiamo sentito nei tribunali sentenze insultanti nei confronti delle sopravvissute – come dimenticare quella, italiana, che stabiliva che chi indossa i jeans non può essere violentata – e letto sui giornali versioni che tutelavano più gli interessi degli stupratori che quelli delle loro vittime (l’ultimo caso, sempre in Italia, lo stupro di Firenze). Ripensando a questi episodi, la sentenza di Aquilina e il modo teatrale in cui la giudice ha scelto di recitarla, non appaiono affatto fuori luogo.

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