La dislessia e gli altri DSA (discalculia, disgrafia, disortografia) emergono a scuola, in genere dai sette-otto anni d’età. 

Conosci la dislessia? Sai quanti ragazzi scoprono di avere questo disturbo dell’apprendimento? E quali strategie si possono adottare, sia in famiglia che in classe? Leggi il nostro progetto speciale sulla dislessia.

La dislessia e gli altri DSA, però, non scompaiono con la fine della scuola. Le difficoltà persistono anche in età adulta, nel mondo del lavoro. Per sostenere i giovani e gli adulti nelle aziende in cui vorrebbero lavorare o lavorano già, è nato il progetto DSA: Progress for work della Fondazione Italiana Dislessia.

Nel convegno Strategie & Tecnologie per l’inclusione al Samsung District di Milano il 17 gennaio 2017 ne parliamo in modo approfondito, insieme a esperti di AID (Associazione Italiana Dislessia), FID (Fondazione Italiana Dislessia), Axia (società di consulenza), Samsung e IBM (qui è possibile vedere la nostra diretta Facebook).

Il nuovo progetto DSA: Progress for work

Finché i ragazzi con DSA sono a scuola (università compresa), sono supportati e sostenuti grazie alla legge 170 del 2010 e ai successivi decreti attuativi. Ma quali sono i numeri in Italia? Secondo i dati della Fondazione Italiana Dislessia, è dislessico il 2,5 per cento della popolazione italiana, cioè 1 milione e 500 mila persone. Considerando che i dislessici nella scuola sono circa 400mila, vuol dire che più dei 2/3 dei dislessici italiani sono fuori dalle aule. Ragazzi che hanno terminato l’università, ma anche adulti, già inseriti nel mondo del lavoro, spesso ignari – essi stessi – della loro particolare condizione.

«In Italia, quando un ragazzo con DSA si affaccia al mondo del lavoro, si trova a fare i conti con un ambiente nuovo e competitivo, in cui non esistono forme di sostegno e, in genere, la dislessia e i DSA sono sconosciuti» spiega Sara Bocchicchio, psicologa ricercatrice presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e collaboratrice del progetto. «Spesso nelle aziende regna la convinzione che si tratti di una forma di disabilità, quindi i dislessici adulti, se consapevoli della loro condizione, raramente la svelano, anche ai colleghi. Tantomeno la dislessia emerge nei colloqui di selezione, il primo step per i ragazzi che spesso si traduce in un blocco. Ogni anno 12mila giovani con DSA sono pronti per entrare nel mondo del lavoro: ma quanta ostilità trovano già al primo approccio con l’azienda in cui si presentano per il colloquio? E che strumenti possiedono le aziende per capire le caratteristiche di queste persone e quindi dare loro un valore, assumendole?».

Per creare un ambiente il più possibile consapevole della dislessia e dei DSA, è nato il marchio “dyslexia friendly”, che viene riconosciuto alle aziende sensibili al tema. «Per ora lo possiedono due realtà in Italia, IBM e Micron, che hanno seguito un percorso di formazione insieme ai ricercatori della Fondazione. E sono in grado, ora, di riconoscere e valorizzare le persone con DSA» spiega la dottoressa Bocchicchio.

È importante, però, che anche le società di selezione del personale lavorino sulla stessa lunghezza d’onda. La prima in Italia “dyslexia friendly” è Axia (www.axiahrm.it), società di consulenza che offre servizi di ricerca e selezione. «Lavoriamo come filtro tra i candidati e le aziende. I clienti (le aziende) attingono alla nostra banca dati. Noi forniamo loro le persone con i profili richiesti. Il percorso di conoscenza della dislessia che abbiamo svolto con la Fondazione ci permette, oggi, di riconoscere i candidati DSA e di non scartarli. Non solo: insegniamo loro a valorizzare le proprie capacità e li proponiamo alle aziende stesse» dice Silke Hoffmeister, senior consultant di Axia. Si tratta di una vera rivoluzione culturale, che in Italia è appena iniziata.

La proposta di legge per colmare la lacuna

Il 22 marzo 2017 Lavoro&Welfare (associazione che si occupa di ricerca sul mondo del lavoro e i diritti dei lavoratori) e Fondazione Italiana Dislessia hanno presentato con gli onorevoli Cesare Damiano e Laura Coccia una proposta di legge in Parlamento per estendere all’ambito lavorativo alcune delle misure previste dalla legge 170. L’obiettivo è garantire alle persone con DSA pari opportunità di accesso al mondo del lavoro, attraverso procedure di selezione e progetti personalizzati che ne valorizzino le competenze. La legge è attualmente depositata in Commissione Lavoro ed è stata presentata anche ai parlamentari europei. L’ideale, poi, sarebbe poter utilizzare strumenti compensativi anche nei concorsi pubblici, nei test d’ingresso alle università e all’esame per la patente. 

L’esempio dei paesi anglosassoni

Nei paesi anglosassoni la conoscenza della dislessia in ambito lavorativo è più diffusa ed esistono leggi che obbligano le aziende a sostenere le persone con DSA. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti i datori di lavoro sono tenuti a realizzare condizioni cosiddette “dyslexia friendly”: in fase di selezione, sono stati sensibilizzati a riconoscere i candidati dislessici non come persone che creano problemi e difficoltà, ma come talenti da valorizzare in contesti specifici. Per esempio, pubblicano offerte di lavoro o di stage rivolte a candidati DSA per la loro capacità di intuizione e problem solving. Oppure realizzano, in parallelo con la ricerca scientifica, opuscoli informativi e pubblicazioni da diffondere in azienda, per creare un clima il più possibile disponibile verso la persone con DSA.

La situazione in Italia 

Nelle aziende italiane, la conoscenza della dislessia è quasi nulla. «Sul luogo di lavoro i compiti sono più complessi e impegnativi rispetto alla scuola e si dà per scontata l’acquisizione dell’automatismo di lettura e scrittura (cosa che non accade in un dislessico, neanche in età adulta). Così il rischio è che il disagio non venga riconosciuto come tale e, anzi, venga considerato una mancanza di capacità» spiega Fulvio Bovard, presidente della Fondazione Dislessia. «È anche vero che non tutti i dislessici hanno gravi difficoltà sul posto di lavoro. Le loro caratteristiche e capacità sono diverse e stratificate. Esistono storie di grande successo professionale e storie di scarsa riuscita. Tutto dipende dalla gravità del disturbo, dal grado di compensazione e dall’eventuale presenza di altri disturbi dell’apprendimento. Alcuni studi rivelano che i dislessici possono avere un talento nell’elaborazione visiva e spaziale, sono intuitivi e innovativi, hanno capacità spiccate nella gestione delle difficoltà e nel risolvere problemi, sviluppano ottime relazioni umane e possono eccellere in lavori che coinvolgono la gestione del personale». Insomma, hanno punti di forza che spesso non riescono a far emergere nell’ambiente di lavoro, proprio per la difficoltà a compensare i deficit.

Fare outing o no?

La dislessia, soprattutto da adulti, è un “problema invisibile”. Chi ha disturbi alla vista porta gli occhiali. Nessuno di noi si fa spaventare da questo; sa che, senza, questa persona vedrebbe meno, ma nello stesso tempo sa anche che sono un ausilio normale. La dislessia però non si vede, è difficile da afferrare e capire. «La grande difficoltà di una persona con DSA è scegliere se raccontarsi e spiegare la propria condizione, e poi come farlo. Le reazioni possono variare dallo scetticismo al compatimento e questo genera un circolo vizioso per tutti: la persona dislessica non riesce a esprimere le proprie potenzialità e l’altro si limita nell’esprimere le sue esigenze» racconta Elio Benvenuti, dislessico, laureato in Scienze politiche e attivo nell’associazione Lavoro&Welfare, che è stata ricevuta alla Camera dei Deputati per avviare una collaborazione volta a individuare politiche pubbliche a sostegno dei lavoratori dislessici. «Tutto dipende da chi ci si trova davanti. In fondo, si tratta solo di un’organizzazione del lavoro diversa, dove la gestione delle tempistiche e delle dinamiche possa essere compatibile con le esigenze dei dislessici. Le nuove tecnologie, poi, possono fare davvero la differenza e annullare qualunque gap. Chi scrive ormai a mano? E per leggere, ci sono i lettori vocali, anche all’interno dei cellulari». Senza contare, poi, che la tecnologia aiuta tutti, non solo i dislessici. «Devi parlare al mondo e sentirti portatore di una specificità. Devi convincere l’azienda che le soft skills sono preziose, sono quelle che fanno stare bene gli altri» prosegue Elio. «Devi dare un messaggio di positività: grazie alla tua specificità, hai imparato a compensare la mancanza di velocità o di memoria, per esempio, ma hai migliorato la capacità di lavorare in team e l’empatia».

Imparare a vendersi bene: come?

Raccontarsi bene è importante per tutti. Per un dislessico ancora di più. «Raccontarsi nel modo giusto porta gli altri a fare quello che vuoi tu» spiega Enrico Dalla Rosa, docente di Psicologia delle risorse umane all’Università Cattolica di Milano e consulente di Axia. «La dislessia e gli altri DSA devono diventare un punto di forza. Occorre imparare a vendere tutta la parte positiva dell’essere dislessico, le doti che hai amplificato per la necessità di compensazione. Bisogna essere chiari e dire poche cose, ma che restino impresse: concrete più che astratte, dette con sicurezza, pochi elementi chiave che facciano pensare all’interlocutore che sei la persona giusta. In genere, ci si piace tra simili. Se l’intervistatore è molto sicuro di sé, ama le persone come lui, ma è meglio restare sempre a un livello leggermente inferiore: sicuri ma non troppo». Ricordiamoci poi che le aziende dovrebbero scegliere non i migliori, ma i più adatti. «Se non hanno la sensibilità di capire che tu hai un problema, devi essere tu a selezionare. Vuol dire che quell’azienda non va bene per te» conclude Dalla Rosa. «Tutti, se ci pensiamo, abbiamo dei problemi. Tu devi piacere a loro, ma loro devono piacere a te».