Bambina lavagna scienza astrofisica

La scienza non è materia per donne: è vero?

Nessuna discriminazione: la scienza non è materia per donne. Ne è convinto il fisico italiano Alessandro Strumia, che torna a sollevare polemiche con le sue parole, convinto che le materie Stem (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) non siano un “affare” per donne. “Non è vero che sono discriminate”, “Nella scienza non si entra su invito”, “Gli uomini preferiscono lavorare con le cose, le donne con le persone”: sono solo alcune delle affermazioni che già un anno fa avevano scatenato dure reazioni, tanto da spingere il Cern, il Centro europeo di ricerca nucleare, a togliere il riconoscimento di guest professor a Strumia.

Ora l’accademico 50enne, che insegna fisica all’università di Pisa, è tornato a sostenere la sua tesi in un articolo per la rivista Quantitative Science Studies, dell’editore del Massachusetts Institute of Technology-MIT di Boston. Il collegio dei revisori del magazine ha approvato (ma non ancora pubblicato) il testo, che nel frattempo è stato anticipato nel blog del professore.

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Scienza, non è materia per donne?

“La fisica è stata inventata e costruita da uomini, non si entra su invito”: così Strumia già a settembre del 2018 aveva chiarito il proprio pensiero, ora confermato, ritenendo che esistano “differenze nei sessi già nei bambini, prima che l’’influenza sociale intervenga”.

“Il fatto che Strumia citi ricerche nel suo articolo o che questo sia pubblicato da un ente prestigioso come il MIT non significa di per sé che abbia carattere di scientificità disinteressato: andrebbe, per esempio, conosciuto il genere/sesso dei revisori dell’articolo o di chi siede nel consiglio di amministrazione. Non c’è dubbio che in ambito scientifico ci siano storicamente strutture di potere dominate dal mondo maschile, che potrebbe avere interesse a mantenere una posizione di arbitrio assoluto” spiega la sociologa Iside Gjergji, Senior Researcher presso il Center for Social Studies dell’Università di Coimbra (Portogallo). “Anche durante il fascismo e il colonialismo esistevano intellettuali e accademici che sostenevano l’inferiorità biologica delle razze non bianche, così come la storia è piena di ricerche che sostenevano l’esistenza di una tipica malattia femminile come l’isteria. D’altra parte le parole di Strumia non faranno altro che alimentare stereotipi che tenderanno a interdire ancora di più le donne da alcuni campi scientifici” aggiunge l’esperta.

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Sessismo e razzismo?

Se Strumia ha avuto modo di ribadire la propria posizione anche in un’altra intervista alla inglese BBC (la fisica – sostiene – non è sessista e razzista, “lo sta diventando contro gli uomini”), le sue parole avevano già spinto la direttrice del Cern, l’italiana Fabiola Gianotti, a bollarle come “offensive”.

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Eppure non mancano altri precedenti: secondo il premio Nobel per la medicina, Tim Hunt, “Il problema con le donne in laboratorio è che si mettono a piangere appena le si critica”. Alla Facoltà di Medicina dell’università di Tokyo, così come in altri atenei (è successo negli Stati Uniti ma anche in altri Paesi), sono persino stati falsificati i test d’ingresso per impedire l’accesso alle studentesse. “Nel caso giapponese l’ateneo ha ammesso la pratica, ma in realtà si tratta solo della punta dell’iceberg, perché esistono barriere invisibili nel percorso formativo delle donne, che le portano a scegliere alcune strade ritenute più adatte, scartandone a priori altre. Si tratta di contesti sociali e condizionamenti economici” spiega Gjergji. “Io credo che oggi si stiano facendo passi indietro rispetto alle conquiste degli anni ’70. La violenza e la discriminazione verso le donne a livello sociale si riflettono nel mondo accademico. Le battute sessiste di Donald Trump o altri politici sono un segnale preoccupante di una situazione in cui si inseriscono le parole di Strumia” spiega la sociologa.

La scienza smentisce Strumia

Se il numero di donne che si occupa di Stem è ancora inferiore rispetto a quello degli uomini, quelle che vi si dedicano riescono a ottenere anche grandi risultati: il Nobel per la Fisica 2018 è andato alla fisica canadese Donna Strickland, quello per la Chimica alla biochimica e ingegnere statunitense Frances H. Arnold. Una ricerca condotta dalla University of New South Wales di Sydney (Australia) e pubblicato su Nature Communications, ha mostrato come su 1,6 milioni di studenti universitari in tutto il mondo i voti delle ragazze siano mediamente più alti di quelli dei ragazzi e che nelle materie Stem siano molto simili (mentre nelle altre il divario è molto maggiore a favore delle studentesse).

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Colpa degli stereotipi

Secondo un’indagine condotta da OpinionWay in diversi paesi, il 90% degli intervistati ritiene che le donne non abbiano particolari attitudini per la scienza e il 67% pensa che non abbiano neppure le capacità per intraprendere una carriera in quell’ambito. Nel nostro Paese questa percentuale sale al 70%, sopra la media europea. La maggior parte del campione la pensa come Strumia, convinta che le donne siano più inclini alle materie sociali (38%), alla comunicazione (20%), alle lingue (13%) e all’arte (8%), mentre solo il 10% indica anche le scienze, davanti solo a management e politica (5%).

Per smontare questi stereotipi l’Onu, con il patrocinio dell’Unesco, ha istituito la “Giornata mondiale delle donne e delle ragazze nella scienza” (10 febbraio). Un modo per incoraggiare le ragazze a dedicarsi a percorsi di studio e di carriera che sono sempre stati ritenuti appannaggio maschile. Un modo, insomma, per sostenere le donne che vogliano abbattere il cosiddetto “soffitto di cristallo”, quella barriera trasparente che impedisce loro di raggiungere posizioni di vertice e responsabilità in alcuni ambiti, soprattutto scientifici.

Per superarle esistono alcuni programmi come il POP – Pari Opportunità Politecniche, che prevede incontri per le dottorande del Politecnico di Milano, iniziative di Women Mentoring con imprese, borse di studio o altri sostegni (come asili nido per le neomamme) per aumentare il numero di studentesse. Ad oggi le donne rappresentano circa il 30% degli iscritti, che scende al 20-10% in corsi di laurea come Informatica e Meccanica.

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Quote rosa nella scienza?

Possono servire, dunque, anche le “quote rosa” nelle scienze? “Personalmente non sono contraria a tutte le misure che possono incentivare le donne a occupare campi dai quali sono state storicamente escluse, purché non siano calate dall’alto, da consigli di amministrazione o direzioni di atenei magari guidati da uomini. Ritengo comunque che non basti: vanno abbattute le barriere invisibili a cui accennavo, a partire dall’organizzazione familiare. Se le bambine sono socializzate in famiglia fin da piccole a prendersi cura degli altri membri della famiglia e dei maschi in particolare, impareranno che il loro ruolo o vocazione sono quelli. Non c’è alcuna causa biologica che motivi una suddivisione dei compiti di questo tipo, come dimostrano alcune società primitive matriarcali o paesi del nord Europa come Finlandia, Svezia e Norvegia, dove – tanto per fare un esempio – prendersi cura dei figli non è considerato appannaggio delle madri e delle donne” conclude la sociologa.

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