Femminicidi. Le vittime sono sempre più giovani?

  • 13 09 2017

La cronaca racconta di ventenni vittime di femminicidio. Ragazze intrappolate dentro relazioni in cui la coppia è l'unico, claustrofobico orizzonte. Ma le statistiche dicono che sono proprio le studentesse le prime a reagire quando il comportamento del partner diventa intollerabile

Noemi, Chiara, Nadia, Janira, Irina, Erika: età diverse, vite diverse e in differenti città e contesti, così come le loro origini. Ma tutte accomunate da un destino spietato: rimanere vittime dei loro fidanzati. L’ultimo caso è quello della sedicenne Noemi Durini, sparita dalla sua casa di Specchia (Lecce) lo scorso 3 settembre e ritrovata dieci giorni dopo solo dopo la confessione del fidanzato diciassettenne, che ha ammesso di averla uccisa. Una relazione ostacolata dalla famiglia di lei, quella fra i due giovanissimi. Spesso dietro delitti di questo tipo c’è la gelosia o altri motivi futili, come nel caso di Erika Preti, 28 anni, uccisa a giugno a coltellate da Dimitri Fricano, il fidanzato 30enne di Biella come lei, durante le vacanze trascorse insieme in Sardegna. Un delitto giunto al termine di una lite per alcune briciole di troppo sulla tavola. Prima era toccato a Irina Bakal, 20 anni, al sesto mese di gravidanza, il cui corpo senza vita era stato trovato a marzo a Vittorio Veneto. L’ex fidanzato, di origini moldave come lei, aveva infierito su di lei a colpi di pietra, dopo averla picchiata e strangolata, perdendo la testa all’annuncio che il figlio che Irina aspettava era suo. È stata la gelosia, invece, a spingere Alessio Alamia Burastero a spingere a uccidere a coltellate la ex fidanzata Janira D’Amato, 19 anni, “colpevole” solo di voler lavorare sulle navi da crociera.

I casi a Tenno e Udine

Quello delle giovani donne vittime di violenze da parte dei fidanzati, subite a volte anche fino alla morte, è un lungo elenco che negli ultimi giorni si è aggravato ulteriormente con i casi di Chiara Baroni e Nadia Orlando. La prima, 22 anni, uccisa a Tenno (Trento) dal fidanzato col quale sarebbe andata a convivere a settembre: si conoscevano fin da bambini, facevano coppia fissa da sei anni, ma lei aveva iniziato ad avere qualche tentennamento alla vigilia di un passo tanto importante. Perplessità che forse sarebbero svanite col tempo, ma che lui non ha accettato: le ha sparato con una pistola regolarmente detenuta e poi ha rivolto l’arma contro di sé, togliendosi a sua volta. Nadia Orlando, 21 anni, è stata invece strangolata da Francesco Mazzega, 34enne fidanzato e collega di lavoro in provincia di Udine, al culmine di una lite per la differenza di età tra i due, che pare fosse diventato motivo di diversi attriti.

Vittime troppo giovani

Se il femminicidio rimane una piaga sociale, sembrano cambiare le vittime di violenze all’interno delle coppie: sono sempre più giovani e spesso vivono rapporti tormentati, senza avere la forza di uscirne in tempo, prima che il sentimento e l’amore – quando ci sono – diventino morbosi e pericolosi. Ma cosa spinge le ragazze, che non vivono relazioni di coppia stabili come matrimoni o lunghe convivenze di fatto, ad accettare maltrattamenti o rapporti carichi di gelosa cieca e insana?

Se la coppia è “l’unica cosa che ho”

«È molto triste doverlo dire, ma sempre più ragazzi vivono il qui e ora: non hanno progetti di vita e si limitano ad accettare il presente. Per loro, la coppia diventa l’unica cosa che possiedono e ciò vale sia per l’uomo sia per la donna: l’uomo possiede la donna, che a sua volta è posseduta”, spiega lo psichiatra e scrittore Paolo Crepet a Donna Moderna. La mancanza di prospettive, dunque, aumenta il rischio di focalizzare (e limitare) la propria vita sull’altro: «Oggi i giovani sono sempre più divisi tra quelli che hanno un progetto di vita, un sogno, e magari scappano all’estero per realizzarlo, e coloro che invece non hanno la minima aspirazione» aggiunge Crepet.

La responsabilità dell’educazione

Ma è sempre stato così? Perché proprio oggi sembra che il fenomeno sia in aumento? «Alcune dinamiche sono sempre esistite, ma la tecnologia e la globalizzazione hanno cambiato radicalmente il nostro modo di vivere e percepire i fenomeni. Sicuramente, però, ora c’è anche un’incapacità di questi ragazzi a sopportare il “no!» spiega ancora Crepet. «È al di fuori delle loro capacità, perché sono stati educati solo con i “sì” e il risultato è che non sanno affrontare le difficoltà e il dolore. I genitori hanno anestetizzato completamente i loro figli, ritenendo che non dovessero vivere alcun tipo di frustrazione. Si tratta certamente di un errore molto italiano, molto latino, molto contemporaneo».

Esiste poi anche una responsabilità sociale e della scuola in particolare. «Perché non si dà più un brutto voto, non si boccia più nessuno» aggiunge Crepet «I quattro, invece, erano sani anche quando giusti non erano affatto. Il femminicidio altro non è, infatti, che un cortocircuito che nasce dalla frustrazione, oltre che dalla noia».

La noia a cui non si trovano risposte

«Se la vita di molti giovani è senza prospettive, senza un lavoro, con le stesse frequentazioni e negli stessi posti, il punto fermo delle proprie giornate tutte uguali e noiose diventa il possesso dell’altra (o dell’altro). Se, invece, si hanno interessi diversificati, diventa anche più facile avere la forza di non accettare certe limitazioni forti che possono arrivare dal partner, come il voler impedire alla fidanzata anche solo di uscire con le amiche» conclude Crepet.

I dati sulle violenze 

Ma davvero il fenomeno dei femminicidi e delle violenze all’interno delle coppie, anche giovani, è in aumento? «In realtà i dati ci dicono che, al contrario, c’è una diminuzione, soprattutto delle violenze meno gravi all’interno delle coppie» spiega Linda Laura Sabbadini, statistica sociale. «Rispetto a 10 anni fa, oggi la violenza di genere è condannata socialmente, anche perché è più normale che si parli di famminicidi sui media, che siano giornali o tv. Una cosa dunque è la percezione del fenomeno, un’altra è la sua reale diffusione» dice Sabbadini.

Da mesi, però, si sente parlare di vittime sempre più giovani. «In realtà le analisi mostrano una certa tendenza a dare più evidenza alle giovani, quando queste sono vittime di violenze, mostrandone ad esempio le foto, mentre questo non accade con donne più mature» aggiunge ancora Sabbadini, che cita i dati Istat. «Esiste un’indagine condotta per la prima volta nel 2006 e ripetuta nel 2014 che indica come siano proprio le più giovani, specie se studentesse, a reagire quando si accorgono che il comportamento del partner può diventare pericoloso o non più tollerabile».

Identikit delle vittime

«È difficile tracciare un identikit delle vittime di femminicidi o violenze, perché si tratta di un fenomeno trasversale alle classi sociali e alle zone del paese (ma anche del mondo): riguarda grandi città e piccoli centri, paesi più avanzati e ricchi, ma anche in via di sviluppo, interessa il nord del mondo e dell’Europa, così come il sud. Quanto all’Italia, va tenuto presente che i dati ufficiali del Ministero dell’Interno si riferiscono alle vittime o alle denunce, ma il 90% delle violenze non viene denunciato» dice Sabbadini. Seppure non esaustivi del fenomeno, i numeri del Viminale indicano che nel 2016 ci sono stati 116 casi di donne uccise da fidanzati, compagni o altri familiari, pari a una vittima ogni tre giorni. Il 53,4% dei casi di femminicidio è avvenuto al Nord, con la Lombardia che detiene il primato negativo, contro il 26,7% del Sud e il 19,8% del Centro. L’età media delle vittime è di 50,8 anni, nel 92,5% dei casi i killer sono uomini. ​

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