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Femminicidio o delitto d’onore?

Le due recenti sentenze sui femminicidi a Bologna e Genova hanno sollevato polemiche per le attenuanti concesse agli assassini, rei confessi. Il timore, secondo alcuni, è che si sminuisca il peso dei delitti contro le donne

Uno aveva agito in preda a una “tempesta emotiva”, l’altro perché lei lo aveva “illuso”. Per entrambi gli autori di femminicidi, le pene per aver ucciso le mogli e compagne hanno avuto una forte riduzione, da 30 a 16 anni di reclusione. Immediata la bufera, sollevata dopo le sentenze che hanno riguardato i due omicidi.

In un caso Michele Castaldo, 57 anni, ha confessato di aver ucciso, il 5 ottobre del 2016 a Riccione, la compagna Olga Matei strangolandola a mani nude perché non accettava l’idea che lo lasciasse. Condannato a 30 anni in primo grado, la Corte d’Appello di Bologna ha quasi dimezzato la pena a 16 anni, richiamando la perizia secondo cui l’uomo era in preda a una “soverchiante tempesta emotiva e passionale”, testimoniata dal tentativo di suicidio.

Stessa pena per Javier Napoleon Pareja Gamboa, operaio ecuadoriano di 52 anni che, nell’aprile del 2018 a Genova, uccise la moglie Jenny Angela Coello Rayes, 46 anni, accoltellandola dopo avere scoperto che lei non aveva lasciato l’amante, come invece gli aveva promesso. Nel suo caso il rito abbreviato ha permesso uno “sconto” arrivando a una condanna a 16 anni di carcere, a fronte dei 30 chiesti dal magistrato. Il giudice nella sentenza ha scritto che l’uomo era stato mosso da un “misto di rabbia e disperazione, profonda delusione e risentimento” e avrebbe agito “sotto la spinta di uno stato d’animo intenso, non pretestuoso, né umanamente del tutto incomprensibile”.Ovvero: umanamente comprensibile.

Motivazioni che hanno suscitato polemiche: “In effetti si tratta di un passaggio molto delicato, soprattutto quando si parla dello stato d’animo dell’uomo e quasi lo si giustifica. Posto che andrebbe letta interamente la sentenza e si dovrebbe vivere il processo, non va dimenticato lo scopo di una pena, che non è solo rieducare il soggetto. C’è anche una valenza deterrente nei confronti della società. Con una sentenza del genere, può passare il messaggio che un’azione simile, sotto la spinta di un’emozione forte, si possa replicare” spiega l’avvocato penalista Roberta Cantoni del foro di Milano. 

Ancora più dura è Francesca Garisto, vicepresidente della Casa delle Donne Maltrattate di Milano (CaDMi): “A far discutere è sicuramente il ricorso al rito abbreviato, che prevede la riduzione di un terzo della pena e in molti ritengono non si adatti a questo tipo di processi, anche perché il dibattimento normale consente comunque di far emergere ogni aspetto della vicenda umana, così grave, intensa e ricca di implicazioni. Dal mio punto di vista, ciò che fa più male sono le motivazioni che sostengono la sentenza, perché in realtà le donne normalmente non ci chiedono condanne esemplari e particolarmente gravi, ma giustizia e che venga riconosciuto il loro dolore. Nel caso di un femminicidio, le famiglie si aspettano che sia riconosciuta l’aberrazione che sta alla base del delitto e che siano condannate certe sottoculture che prevedono la prevaricazione violenta degli uomini sulle donne” spiega l’avvocato penalista, che aggiunge: “Altrimenti si arriva a pene che sono persino inferiori rispetto a quella di una rapina a mano armata, dunque si offende la sensibilità civile e in particolare quella delle donne”.

La difesa del giudice

“Ci sono omicidi e omicidi e anche un killer può fare in qualche modo pena (…) La legge prevede massimi e minimi di condanna, altrimenti per ogni omicidio faremmo sentenze fotocopia: ergastolo o trent’anni, a prescindere da elementi cruciali… assassinio d’un coniuge o dell’ex” si è difeso il giudice…., che ha firmato la sentenza nel caso di Genova. Ma la bufera ha spinto a intervenire anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: “Dobbiamo chiarire con forza che nessuna reazione emotiva, nessun sentimento può giustificare o attenuare la gravità di un femminicidio”. 

“Io credo che i giudici si assumano una gravissima responsabilità nell’emettere sentenze come queste. La magistratura, portatrice di valori di giustizia e cultura, dovrebbe ponderare le parole e le virgole. Io sono convinta che spesso i giudici prima decidano di ridurre la pena, poi costruiscano una motivazione per farlo. Trovo umano che siano toccati nella loro sensibilità, ma questo non deve entrare nelle decisioni oltre un certo limite, cioè quello previsto dalla legge, che prevede le modalità con le quali applicare i codici” dice la vicepresidente di CaDMi. “Certo esiste la discrezionalità, che permette di interpretare le prove in un modo o in un altro, ma questa deve essere guidata dalle norme di legge. La pietà, seppure legittima, deve essere espressa in un’aula di Tribunale, perché i giudici non sono confessori o psicologi, sono chiamati a fare altro” aggiunge Garisto. 

Fin dove “giustificare” un femminicidio?

“I casi recenti, in un momento in cui si parla molto di femmicidi, possono avere l’effetto di creare sfiducia nella giustizia perché, come nel caso di Riccione, sembrano legittimare un delitto commesso per gelosia. Se è vero che esiste il potere discrezionale dei giudici, non va dimenticato che nel caso specifico di Riccione hanno influito le attenuanti non solo perché una perizia medico-legale sosteneva che l’uomo avesse agito nel pieno di una tempesta emotiva, ma anche perché era reo confesso e aveva iniziato un percorso di risarcimento nei confronti della figlia della vittima: si tratta di elementi che consentono uno sconto di pena” spiega l’avvocato Roberta Cantoni.

Eppure restano alcuni dubbi, come spiega la vicepresidente della Casa delle Donne Maltrattate di Milano: “Il risarcimento del danno è previsto come attenuante, ma prima dell’inizio del dibattimento, perché sia rilevante, altrimenti potrebbe risultare persino offensivo perché sembrerebbe un modo per far rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta, cioè la vera motivazione: la gelosia. L’altro motivo spiegato dalla corte d’appello di Bologna riguarda poi la confessione resa spontaneamente dall’uomo, cioè appunto il fatto di essersi sentito geloso: ma è difficile capire, non mi sembra meritevole di alcun ricoscimento di attenuanti. Che altro avrebbe potuto dire? Di aver ucciso a mani nude per difendersi? È stato colto in flagrante, le prove contro di lui erano schiaccianti, quindi non aveva altra scelta” spiega Francesca Garisto.

Torna il delitto d’onore?

Il dibattito è più che mai aperto, soprattutto perché in molti hanno ipotizzato il ritorno del “delitto d’onore”, che in passato era previsto nei casi di omicidio commesso da un uomo (o una donna) nei confronti di un parente (moglie, sorella o figlia) per ‘difendere l’onore suo e della famiglia’ in caso di tradimento. “Le analogie con il caso di Genova riguardano il legame di parentela tra omicida e vittima, e il più mite trattamento sanzionatorio, che nel caso del delitto d’onore prevedeva fino a un massimo di 7 anni di carcere. Rievocarlo è suggestivo, ma le similitudini si fermano qui” spiega l’esperta penalista.   

Le sentenze si possono discutere?

Secondo il premier “le sentenze dei giudici si possono discutere. Anzi, in tutte le democrazie avanzate il dibattito pubblico si nutre anche di questa discussione. L’importante è il rispetto dei ruoli e, in particolare, la tutela dell’autonomia della magistratura”. Ma fin dove possono arrivare i poteri dei giudici? “Gli episodi recenti, in un momento in cui si parla molto di femmicidi, possono avere l’effetto di creare sfiducia nella giustizia perché, come nel caso di Riccione, sembrano legittimare un delitto commesso per gelosia. In realtà va ricordato che i giudici hanno un potere discrezionale che gli è dato dalla legge. Nel caso specifico, poi, sono state concesse le attenuanti non solo perché una perizia medico-legale sosteneva che avesse agito nel pieno di una ‘tempesta emotiva’, ma anche perché l’uomo era reo confesso e aveva iniziato un percorso di risarcimento dei danni nei confronti della figlia della vittima: si tratta di elementi che consentono uno sconto di pena” spiega l’avvocato Roberta Cantoni.

Che fine ha fatto il codice rosa?

Intanto, ci si chiede che fine abbia fatto l’iter di approvazione del codice rosa, che prevede una corsia preferenziale per le donne che denunciano abusi o violenze. Il titolare della Giustizia Alfonso Bonafede, chiarendo di non voler commentare le sentenze dei giudici, ha ricordato la necessità di snellire l’iter di approvazione della legge a cui ha lavorato insieme alla  collega della Pubblica amministrazione, Giulia Bongiorno. Il testo sarebbe “un punto di svolta importante. Un via libera celere e all’unanimità su questo testo dimostrerà quanto alta sia l’attenzione al tema” ha concluso il Guardasigilli.

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