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Cos’è l’immunità innata al Covid

Scoperta una molecola del sistema immunitario (quindi in dotazione alla nascita) che si lega alla proteina Spike del virus Sars Cov 2, bloccandola. Ciò spiega il meccanismo di resistenza alle forme più gravi della malattia

Finora abbiamo sentito parlare quasi esclusivamente di anticorpi, indotti dai vaccini e in seguito alla malattia e guarigione da Covid. Un ruolo nella risposta all’infezione da virus Sars-Cov2 è attribuito anche alle cellule T, ma quanto scoperto da un team internazionale di ricercatori rappresenta una svolta. Secondo gli esperti, tra i quali anche due ricercatrici italiane, c’è una molecola che ha ruolo fondamentale nell’immunità innata e che riguarderebbe anche la variante Omicron, riducendo la possibilità di sviluppare forme severe della malattia.

Cos’è l’immunità innata

Lo studio si è concentrato sulla prima risposta immunitaria dell’organismo, fornita da cellule e dagli “antenati degli anticorpi”. Secondo gli scienziati sono loro a garantire la cosiddetta “immunità innata”, la prima linea di difesa del nostro organismo che risolve il 90% dei problemi causati dal contatto con batteri e virus. È quella che precede e si accompagna all’immunità adattativa, cioè la risposta immunitaria più specifica, data dai linfociti B che producono gli anticorpi e dai linfociti T che riconoscono ed eliminano le cellule infettate oltre a stimolare i linfociti B a produrre anticorpi sempre più efficaci contro il virus. Si tratta di molecole presenti nel sangue e tra loro ne è stata individuata una in particolare, la Mannose Binding Lectin (MBL), che si lega alla proteina Spike del virus e lo blocca.

«Si tratta di una molecola nota da diversi anni come una di quelle legate all’immunità innata. È prodotta dal fegato e circola nel sangue. È coinvolta nella difesa da infezioni causate da batteri, funghi o virus: li riconosce e vi si lega, promuovendo la cosiddetta “risposta immunitaria innata”, che non necessita di essere “educata”. È diversa, quindi, da quella cosiddetta “adattiva”, cioè più evoluta e specifica, che è quella legata ad anticorpi e cellule T» spiega la professoressa Cecilia Garlanda, ricercatrice e docente di Humanitas University.

È quindi una delle molecole responsabili della risposta del sistema immunitario più generica e meno specifica. Lo studio ne ha mostrato il ruolo nel caso dell’infezione da Sars-Cov2, perché si lega alla proteina Spike, quella tramite cui il virus entra nell’organismo umano: «Siamo partiti con il testare un panel di molecole coinvolte nell’immunità innata e abbiamo visto che era l’unica che si legava alla proteina Spike, impedendole proprio l’ingresso del virus nella cellula. Poi abbiamo condotto esperimenti più complessi, usando dei tessuti bronchiali umani in laboratorio, scoprendo che MBL inibiva l’infezione da parte del virus in modo analogo a quanto accade nel corpo umano» chiarisce la professoressa Elisa Vicenzi, responsabile dell’Unità di Ricerca in Patogenesi virale e Biosicurezza del San Raffaele.

Perché qualcuno non si ammala?

Ma questo spiega perché qualcuno non si ammala o lo fa in modo lieve? «Occorre chiarire che l’immunità innata è data da tantissime molecole e moltissimi meccanismi delle cellule, la cui funzione dipende da una variabilità genetica: il fatto di poter contare su una molecola più o meno efficiente, dunque, varia da soggetto a soggetto e dipende dalle caratteristiche genetiche, esattamente come l’avere gli occhi azzurri o marroni – chiarisce Garlanda – Nel complesso tutti gli individui hanno un’immunità innata, anche se qualcuno risulta più protetto nei confronti di specifiche infezioni. Non ha senso, quindi, pensare di effettuare test su una singola molecola per capire se si è più resistenti a un’infezione. Il nostro lavoro sulle varianti genetiche e lo sviluppo di Covid severo ha dimostrano l’importanza della MBL, ma le varianti genetiche sono uno dei tanti meccanismi possibili che spiegano la diversa suscettibilità all’infezione».

Il suo ruolo, però, resta fondamentale in chiave futura.

La molecola MBL per futuri farmaci anti-Covid

Quanto scoperto potrà essere molto importante per lo sviluppo di futuri farmaci: «La molecola MBL era già stata usata in passato in terapie sperimentali su pazienti con fibrosi cistica, perché questi vanno spesso incontro a infezioni delle vie respiratorie. Ora si potrà seguire un approccio analogo per arrivare a mettere a punto un potenziale farmaco anti-Covid» sottolinea Garlanda, che conferma che la molecola è risultata efficace anche nei confronti della variante Omicron, così come per le altre finora note.

Il fatto che possa portare a una nuova futura cura contro la malattia, però, non toglie l’importanza dei vaccini.

I vaccini servono comunque

«Il vaccino anti-Covid rimane ad oggi lo strumento più efficace per la prevenzione della malattia e la riduzione delle forme gravi. Il fatto di poter avere un sistema immunitario forte, anche grazie all’azione della molecola MBL, non diminuisce in alcun modo l’importanza della vaccinazione che va mantenuta come approccio preventivo, mentre MBL potrà forse aiutare nella cura della malattia se trasformata in un farmaco» ribadisce Vicenzi.

Un esempio di collaborazione internazionale

La ricerca alla quale hanno lavorato Garlanda e Vicenzi è frutto di un lavoro internazionale, pubblicato su Nature Immunology da Matteo Stravalaci e Isabel Pagani, rispettivamente ricercatori presso Humanitas e IRCCS Ospedale San Raffaele, coinvolgendo un team di scienziati coordinati da Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e professore emerito Humanitas University, e che ha contato anche sul coinvolgimento della Fondazione Toscana Life Science, l’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona e la Queen Mary University di Londra in uno sforzo internazionale, con il sostegno anche Dolce&Gabbana, a partire da marzo 2020.

«Ancora una volta ci ha “uniti”, si è trattato di un esempio di collaborazione virtuosa da parte della comunità a livello internazionale, per consentire il progresso della medicina in tutto il mondo. Ciascuno di noi ha messo a disposizione le proprie competenze» concordano Garlanda e Vicenzi, che sottolineano l’importanza della presenza femminile nel team di scienziati: «Ci auguriamo – aggiunge Vicenzi – che ci siano sempre più donne in posizione di leadership nel mondo scientifico e medico, e in particolare nelle future generazioni di immunologi e virologi».

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