Il super anticorpo che cura anche le varianti del Covid

Un consorzio di ricercatori europei, tra i quali i virologi del San Matteo di Pavia, ha scoperto un super anticorpo. È una buona arma contro le varianti del Covid

Mentre la diffusione della variante indiana preoccupa, arriva una buona notizia: la scoperta di un super anticorpo monoclonale che sarebbe molto efficace nella cura della malattia Covid e delle sue varianti. A scoprirlo è stato un team di ricercatori che ha pubblicato uno studio sulla prestigiosa rivista Nature. L’anticorpo è stato sviluppato nell’ambito dell’attività del progetto di ricerca ATAC (Antibody Therapy Against Coronavirus), finanziato dall’European Research Council (ERC), a cui ha partecipato anche la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia. Il risultato è stata l’individuazione di un anticorpo monoclonale in grado di proteggere dalle varianti del virus SARS CoV-2.

L’anticorpo più forte si chiama monoclonale

La peculiarità di questo anticorpo monoclonale consiste nel riconoscimento contemporaneo di due diversi antigeni del virus, da qui il nome di “anticorpo bispecifico”. I ricercatori hanno unito due anticorpi naturali in una singola molecola artificiale: «Quando si viene in contatto con un virus, si innesca una risposta all’infezione, producendo moltissimi anticorpi, di tipo diverso tra loro: alcuni risultano più potenti di altri nei confronti del virus. Quello che normalmente viene fatto è proprio individuare l’anticorpo più potente, detto monoclonale, riproducendolo in vitro con metodiche molto avanzate e in grande quantità, per ottenere un farmaco efficace. In questo caso è stato individuato un anticorpo che non solo è in grado di riconoscere la proteina Spike, ossia il “gancio” con cui il virus entra nella cellula, in modo da bloccarla. Si è pensato di aumentarne la potenza unendo due anticorpi in uno solo, ottenendone uno chiamato “bispecifico”, che è in grado di riconoscere e colpire la proteina non in un solo punto, ma in due» spiega Fausto Baldanti, responsabile del Laboratorio di virologia molecolare dell’IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia. Ma non è tutto. Il nuovo anticorpo sarebbe in grado di agire anche sulle varianti.

La protezione contro le varianti

A differenza degli anticorpi che riconoscono un singolo antigene, quindi un solo punto della proteina che si lega alla cellula, si è visto che il doppio legame dell’anticorpo bispecifico riduce sensibilmente l’efficacia delle varianti nel riuscire ad attaccare l’organismo. I test clinici, infatti, hanno dimostrato che protegge dalle varianti di SARS-CoV-2.

«Colpendo la proteina Spike in due punti diversi, riesce a contrastare le varianti. Il virus, infatti, muta per difendersi dalla risposta immunitaria: nel caso di un anticorpo monoclonale singolo, in caso di mutazione c’è il rischio che non riconosca più la proteina. Avendo la capacità di agire su due punti, invece, questo problema viene superato – prosegue Baldanti – Abbiamo verificato che questo anticorpo monoclonale bispecifico è quindi efficace nei confronti delle principali varianti in circolazione: quella cinese (del ceppo originario, NdR), quella italiana (individuata nel ceppo di Bergamo), quella inglese, la brasiliana e la sudafricana».

Si tratta dunque di una buona notizia, perché «queste varianti mostrano di avere le principali mutazioni registrate finora, quindi questo anticorpo ci rassicura sulla possibilità di contrastarle» aggiunge il virologo.

E la variante indiana?

A preoccupare, ora, è però anche la variante indiana. Il nuovo anticorpo potrebbe essere altrettanto efficace con questa mutazione? «In realtà il nome geografico delle varianti lascerebbe pensare che si tratti di mutazioni molto diverse tra loro, mentre hanno molte similitudini in comune. In particolare, quella indiana sembra particolarmente simile a quella brasiliana e sudafricana, senza essere uguale. In qualche modo è caratterizzata da mutazioni negli stessi punti, quindi non c’è ragione di pensare che si comporti in modo diverso e dunque l’efficacia dell’anticorpo sarebbe confermata» spiega Baldanti.

Gli anticorpi sono efficaci all’inzio della malattia

A finanziare la ricerca è stata la Commissione Europea. Secondo Mariya Gabriel, Commissario per l’istruzione, gioventù, sport e cultura «questa nuova scoperta potrebbe prevenire e trattare i casi di COVID-19, salvando in definitiva delle vite». Gli anticorpi monoclonali, che sono già in uso da circa un mese in Italia a livello ospedaliero, vanno però utilizzati in una fase iniziale dell’infezione: «Lo scopo della loro somministrazione è soprattutto quello di prevenire eventuali complicanze gravi. L’efficacia maggiore è nella fase iniziale della malattia, prima che intervenga la tempesta citochinica, che si ha quando l’infezione interessa più organi e che rappresenta la causa vera dei danni del Covid. Esiste quindi una finestra terapeutica e ora andrà studiata la modalità migliore di utilizzo anche di questi anticorpi» spiega il virologo.

A quando il farmaco?

Prima che diventi un farmaco, occorre che l’anticorpo bispecifico segue l’iter di sperimentazione clinica: «Prima ci sarà una fase 1 su volontari sani per verificare l’eventuale tossicità, ma è prevedibile che ne abbia poca perché questo anticorpo è stata prodotto in laboratorio, ma a partire dalle cellule di soggetti guariti dalla malattia – spiega Baldanti – Seguirà la fase 2, di cosiddetto dose finding, cioè la ricerca del dosaggio ottimale, su campione ristretto, infine la fase 3 nella quale si applica dosaggio su una popolazione ampia». A questo punto occorrerà l’autorizzazione degli enti regolatori, come accade per i vaccini e tutti i farmaci, dunque Ema e Aifa. «È’ difficile prevedere quanto tempo possa servire, prima di arrivare alla produzione e distribuzione, ma è già un’ottima notizia la scoperta di questo anticorpo, frutto di una collaborazione a livello europeo».

Gli altri studi: il plasma e le gammaglobuline

A far parte del consorzio di ricerca, oltre al Policlinico San Matteo di Pavia, anche il Karolinska Institutet, Stoccolma, Svezia, l’Istituto di Ricerca in biomedicina (IRB) di Bellinzona, Svizzera, l’Università di Braunschweig, Germania e il Joint Research Center (JCR) della Commissione Europea. Ha collaborato anche la Rockfeller University di New York. Il progetto di ricerca si proponeva di sviluppare un’immunoterapia contro il COVID-19 sfruttando tre diversi approcci. Il primo è consistito nella “immunoterapia con plasma iperimmune”, sviluppato principalmente a Pavia. Il secondo ha riguardato l’“immunoterapia con gamma-globuline” ed è stato seguito dal Karolinka Institutet di Stoccolma. L’approccio “immunoterapia mediante anticorpi monoclonali” è stato sviluppato invece dalla Technische Universität Braunschweig e dall’IRB di Bellinzona, che ha ottenuto successo. «Le caratteristiche biologiche e l’efficacia degli anticorpi monoclonali cosi prodotti sono state definite dal nostro gruppo di ricerca presso il San Matteo» conclude Baldanti, che ha lavorato insieme ai virologi Elena Percivalle e Antonio Piralla, e alla dottoranda Irene Cassaniti.

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