freddo ipotermia

Ipotermia: come riconoscerla e cosa fare

Nel giro di pochi giorni una bambina e una studentessa universitaria sono state ricoverate per ipotermia. Cos'è, come riconoscerla e che rimedi sono utili

Il primo caso è stato quello di una bambina di appena 10 anni, che è finita in ipotermia mentre si trovava nella sua scuola elementare a Passo di Rigano, nel palermitano, ed è poi stata portata in Pronto Soccorso per le cure del caso. Poi è successo a una studentessa universitaria, a Palermo, che seguiva un corso di formazione all’ateneo: anche per lei le temperature particolarmente rigide degli ultimi giorni e l’aula gelida a causa del riscaldamento spento (in molti casi, anche in altre Regioni, per ridurre i consumi energetici) hanno portato a un altro caso di ipotermia. La conseguenza è stata che si è reso necessario chiamare il 118 per un ricovero in ospedale.

Ma cos’è l’ipotermia, come la riconosce e come si interviene?

Quando è ipotermia: come riconoscerla

«L’ipotermia tecnicamente è la diminuzione della temperatura del nostro corpo. Significa che appena diminuisce il calore del nostro fisico, tutte le funzionalità degli organi vengono ridotte in maniera», spiega Giacomo Caudo, presidente della Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg). In genere la causa è l’esposizione a temperature fredde, soprattutto per un periodo di tempo prolungato, ma può accadere anche per immersione in acque molto fredde oppure per uno sbalzo di temperatura importante: «È quanto può succedere anche d’estate quando, per esempio, dal mare si va a fare un’escursione in vetta, pur rimanendo in maglietta e calzoncini corti: in questo caso a pesare è l’escursione, il rapido cambio di temperatura a cui ci si espone, magari passando dal livello del mare a 1.500 o 2.000 metri», aggiunge il medico. In genere l’allarme scatta quando si scende sotto i 35° C di temperatura corporea.

Cosa causa l’ipotermia?

«Sicuramente la causa principale è appunto la temperatura rigida, ma conta sempre anche il tempo in cui si rimane esposti a quest’ultima, per questo si parla di fenomeno ‘tempo-dipendente’. Se c’è una temperatura molto molto bassa, si può andare in ipotermia anche in pochissimo tempo; se è solo rigida, ma non eccessiva, il rischio subentra solo se il tempo di esposizione è particolarmente alto. Il nostro organismo mette in atto subito un meccanismo che tende a compensare il freddo a cui si è esposti, ma oltre un certo tempo non ce la fa e iniziano a comparire i classici sintomi», chiarisce Caudo.

I sintomi: come riconoscere l’ipotermia

I campanelli d’allarme possono essere diversi e possono presentarsi con intensità variabile: vanno dai brividi al capogiro, senza escludere in alcuni casi anche nausea, respirazione accelerata, senso di confusione, aumento della frequenza cardiaca e senso di affaticamento. Nei casi estremi si può arrivare alla diminuzione del battito cardiaco e alla perdita di conoscenza: «Il sintomo più classico e il primo resta però il tremore. È un meccanismo che ha chiara funzione: tremando si ha una contrazione rapida dei muscoli, che porta a una produzione di calore per contrastare la diminuzione della temperatura – spiega il presidente della Fimmg – È il modo più semplice per recuperare perché il lavoro muscolare produce calore».

Quanto conta la corporatura nell’ipotermia?

Uno dei luoghi comuni vuole che chi ha una corporatura più esile prova anche più facilmente freddo. Quanto c’è di vero?«Quello che si può confermare è che maggiore è la superficie corporea e più è facile avere una dispersione di calore. È il motivo per cui d’estate chi una massa maggiore suda anche di più», precisa il medico. Se è vero che più massa (specie muscolare) aiuta a mantenere la temperatura più elevata, è pur vero che conta molto quanta parte di corpo è esposta al freddo: «Minore è la porzione che rimane scoperta e meno ci sarà riduzione di calore. Per questo motivo, in linea teorica se ci si rannicchia si riduce la superficie esposta al freddo e quindi anche la riduzione di calore corporeo. Però attenzione: il rovescio della medaglia è che in questa posizione non ci si muove e quindi si produce meno calore mentre per contrastare il freddo è meglio muoversi», consiglia Caudo.

Cosa fare se si va in ipotermia? I falsi miti

Esistono diversi accorgimenti, specie sotto forma di “rimedi della nonna” per evitare la sensazione di freddo o almeno per attenuarla. Quali sono davvero efficaci? «Quello che sembra il più banale, ma è anche il principale è di coprirsi adeguatamente. Se si sentono i brividi significa che non ci si è vestiti in modo corretto – sottolinea l’esperto – Anche bere bevande calde, però, aiuta. L’importante è che non siano alcoliche, perché queste danno una immediata sensazione di calore, ma portano poi a un abbassamento della temperatura corporea a causa della dilatazione dei pori della pelle che favorisce la dispersione di calore».

È da sfatare, invece, il “mito” secondo cui la testa andrebbe sempre coperta: «Non mi focalizzerei sulla testa: l’importante è essere coperti in generale per evitare la dispersione di calore. Questo vale soprattutto se si è impegnati in un’attività che impedisce i movimenti, come appunto seguire le lezioni scolastiche o lavorare seduti a una scrivania per molto tempo», aggiunge l’esperto.

Quanto può servire mangiare, magari qualche alimento altamente energetico come il cioccolato? «Su questo andrebbe fatta chiarezza: è vero che la digestione comporta la produzione di un certo grado di calore, ma eviterei di ritenere il mangiare un consiglio utile: intanto perché il freddo può creare problemi alla digestione stessa, e poi perché nella nostra società non siamo in condizioni di denutrizione, quindi ritengo che non ci sia bisogno di immettere calorie per riscaldarsi, tanto più che non viviamo in condizioni estreme», precisa Caudo che conclude: «Anche rivolgersi al 118 potrebbe essere eccessivo, a meno di non trovarsi in situazioni particolarmente gravi, che comunque vanno valutate. Il consiglio è di prevenire stando attenti appunto al tremore, specie nei bambini che sono quelli che hanno meno capacità di comunicare le loro condizioni».

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