Per una volta, non è una bufala: l’appello lanciato dai genitori di Alessandro Maria e che si è diffuso in modo virale sui social è vero. La storia ormai è nota pressoché a tutti. Il bambino di 19 mesi soffre di linfoistiocitosi emofagocitica, una malattia rara. E per guarire servirebbe un trapianto di midollo osseo. Da qui, il tam tam in rete per trovare un donatore compatibile, cioè che venga “accettato” dall’organismo del bambino. La storia di Alessandro Maria però solleva anche una serie di domande sulle donazioni.

Come si fa a donare il midollo osseo

Solo una persona su centomila è compatibile con chi è in attesa di un trapianto di midollo osseo. Per questo, più persone accettano di diventare donatori e maggiori sono le speranze, non solo per Alessandro Maria, come ha sottolineato suo papà, ma anche per altri nella stessa situazione. Chi decide dunque di donare il midollo osseo deve contattare l’Admo, l’associazione donatori midollo osseo (admo.it). Tutte le procedure, dalle analisi alla tipizzazione del patrimonio genetico, vengono effettuati presso una loro sede e inviati al Registro regionale. In caso di donazione, ci pensa l’Admo a organizzare il prelievo presso un Centro di ematologia e a inviare il midollo osseo a destinazione.


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Chi può diventare donatore di midollo osseo

Nella fascia d’età tra i 18 e i 35 anni tutti possono diventare donatori di midollo osseo. In questo tessuto, contenuto nelle cavità delle ossa, ci sono le cellule staminali, chiamate non a caso progenitrici perché da loro si originano tutte le cellule del sangue.

I criteri di idoneità  sono gli stessi che valgono per la donazione di sangue: il donatore deve essere sano e disponibile a donare per qualsiasi persona ne abbia bisogno. Per le donne, sempre più numerose, che si candidano alla donazione di midollo osseo, deve essere trascorso un anno dal parto, in caso di gravidanza. Se il check-up è negativo, il donatore viene sottoposto a un prelievo di sangue per la tipizzazione HLA, acronimo di Human Leucocyte Antigen.  In parole semplici, è l’impronta digitale del patrimonio genetico.

«Il profilo immunologico del paziente viene inserito in un database regionale, collegato con tutti gli archivi analoghi presenti nel mondo», spiega il dottor Massimo Cardillo, direttore dell’ Unità Operativa Complessa Coordinamento Trapianti dell’ospedale Maggiore Policlinico di Milano e referente del Registro donazioni Regione Lombardia. «Nel momento in cui c’è bisogno di una donazione, e non è possibile ricevere il midollo dai genitori oppure da un fratello, si inseriscono i dati del paziente nel database e si incrociano con quelli presenti nel Registro. Può accadere così che si trovi un donatore compatibile oltreoceano, com’è avvenuto fra l’altro di recente. Ed è a quel punto che si procede al prelievo vero e proprio».

La donazione di midollo è una procedura sicura

I dati dimostrano che la donazione di midollo è una procedura sicura. I rischi immediati sono minimi e facilmente superabili, inoltre nell’arco di un mese al massimo l’organismo riequilibra le perdite subite temporaneamente col prelievo, in quanto il midollo osseo si ricostituisce.

È però necessario il ricovero con un paio di giorni di degenza e  altrettanti a casa in convalescenza.  «La procedura tradizionale consiste nel prelievo di cellule staminali dal midollo osseo attraverso ripetute punture nelle ossa del bacino», continua il dottor Cardillo. «L’intervento avviene in anestesia generale perché altrimenti sarebbe doloroso e al risveglio si avverte indolenzimento nella zona dei prelievi».

La ricerca però ha fatto passi avanti e ora nella maggior parte dei Centri si esegue il prelievo con una tecnica meno invasiva. «Dopo una stimolazione farmacologica che dura qualche giorno, e che comporta l’assunzione di compresse per bocca, si esegue un prelievo come si fa per le donazioni di sangue, ma in tempi un po’ più lunghi, un paio d’ore circa», chiarisce il dottor Cardillo. «Quindi le cellule staminali vengono separate dalle altre cellule e si procede alla re-infusione del sangue al donatore. Questa procedura è generalmente preferita dai donatori, viene eseguita ambulatoriamente e non richiede ricovero ospedaliero».

Il trapianto di midollo nei bambini

Ma non è finita. Nel caso dei bambini, c’è una terza possibilità. «Le cellule staminali possono essere prelevate anche dal cordone ombelicale donato dalla mamme durante il parto», interviene il dottor Cardillo. «Questa opportunità in molti casi non vale per gli adulti, ma solo per una questione pratica: le cellule staminali da cordone ombelicale non sarebbero sufficienti a ricostituire il midollo di un adulto, ma sono adeguate per un bambino».

Se la mamma ha firmato il consenso, il cordone  ombelicale viene reciso subito dopo la nascita del piccolo, il sangue cordonale viene raccolto in appositi contenitori e trasportato nella sede della banca regionale. Vengono quindi effettuate  tutte le analisi necessarie per verificare la qualità delle cellule staminali. Se c’è il “via libera”, viene messo a disposizione per i trapianti.

Cosa succede a chi riceve

La proceduta è più impegnativa. «Bisogna distruggere le cellule malate del midollo del paziente», sottolinea il dottor Cardillo. «Per questo il paziente va sottoposto prima del trapianto ad una terapia con farmaci chemioterapici. In questa fase però il rischio di infezioni è molto alto perché l’organismo non ha difese immunitarie: per questo, durante questo trattamento, il paziente deve essere ricoverato in strutture adeguate (camere sterili) che garantiscano di minimizzare il rischio di trasmissione di infezioni».

Una volta eliminate tutte le cellule malate, si può procedere con il trapianto. «Le cellule staminali vengono somministrate mediante trasfusione», dice il dottor Cardillo. «Ci pensano poi da sole a trovare “la strada”, inserirsi nel midollo osseo e iniziare a produrre le cellule sane del sangue, globuli rossi, globuli bianchi e piastrine».

Il trapianto di midollo garantisce oggi risultati molto buoni nella grande maggioranza dei casi. I rischi principali dopo l’intervento sono il mancato attecchimento del midollo trapiantato, il rischio di rigetto ed il rischio della malattia del trapianto verso l’ospite. «Questi rischi dipendono da molte variabili», conclude il dottor Cardillo. «Come il tipo di malattia, ad esempio, e la reattività dell’organismo. Ma vanno corsi perché per molti di questi pazienti il trapianto è l’unica speranza di vita».