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Culle termiche e parto in anonimato: come funziona

I neonati rifiutati dai genitori sono 300 all’anno: alcuni sono affidati agli ospedali nelle culle termiche, com'è successo al piccolo Enea. Vengono presi in cura e poi affidati a comunità e famiglie in attesa di un’adozione definitiva

Culle termiche: in Italia c’è una rete di ospedali a cui possono essere affidati i neonati dopo il parto. Il caso del piccolo Enea, lasciato dalla mamma a una settimana di vita alla clinica Mangiagalli di Milano, accende i riflettori su questa possibilità.

Culle termiche, versione moderna della ruota degli esposti

Le culle termiche si chiamano anche culle per la vita, versione contemporanea della medievale ruota degli esposti soppressa nel 1923. Queste speciali incubatrici, che all’esterno garantiscono l’anonimato ma all’interno sono monitorate h24, oltre a salvare bambini, diffondono un messaggio: c’è una comunità pronta a prendersene cura» chiarisce Marina Casini, presidente del Movimento per la vita (Mpv), che a metà degli anni ’90 ha promosso l’iniziativa per contrastare l’abbandono dei neonati nei cassonetti o in luoghi non protetti. «Le culle sono riscaldate all’interno, monitorate con una videocamera, collegate a un allarme acustico e visivo che informa tempestivamente della deposizione di un neonato».

Culle termiche e parto in anonimato

Al Policlinico Federico II di Napoli il professor Francesco Raimondi, responsabile dell’unità di Neonatologia e referente della culla termica installata vicino all’ingresso secondario, si è preso cura di 2 neonati lasciati nel 2017. «È stata un’emozione fortissima: il primo l’ho raggiunto dal reparto alla culla in motorino, ancora prima che arrivasse l’ambulanza: volevo visitarlo subito. Bisognerebbe far conoscere di più questa rete di impianti e anche la possibilità del parto in anonimato». I neonati di madre segreta infatti possono andare in affido preadottivo. «Qui succede una volta all’anno, su 2.600 nati. A me non spetta giudicare, solo tutelare madre e bambino».

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La rete di culle termiche italiane

Alla base di una scelta così dolorosa per la mamma c’è spesso un forte disagio psichico e sociale. Quella di Napoli è una delle culle termiche di “Ninna ho”: grazie a questo progetto nazionale (www.ninnaho.org) promosso dal 2008 da Fondazione Francesca Rava e dal Network KPMG in Italia, 7 ospedali, di cui 5 con culle termiche installate da Ninna ho, hanno creato una rete di sensibilizzazione sul tema. «A Varese il 17 dicembre 2007 era stato trovato un neonato in un cassonetto» spiega Mariavittoria Rava, presidente della Fondazione. «Con il network KPMG ci siamo impegnati perché ciò non accadesse più e per sensibilizzare attraverso opuscoli in 6 lingue sul diritto al parto anonimo in ospedale, che tutela sia la madre sia il bambino. La prima culla Ninna ho è stata installata proprio a Varese».

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56 i figli abbandonati tra il 2013 e il 2014

Il dato più recente disponibile è quello emerso dall’indagine, durata un anno, tra luglio 2013 e giugno 2014, condotta su un campione nazionale di 100 Centri nascita ed effettuata dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN) in collaborazione con ninna ho, progetto a tutela dell’infanzia abbandonata, promosso da Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus e dal Network KPMG in Italia. Sono stati 56 i neonati non riconosciuti dalle mamme italiane su un totale di 80.060 bambini nati. Nel 62,5% dei casi si tratta di neonati non riconosciuti da madri straniere e nel 37,5% da mamme italiane, con un’età compresa tra i 18 e i 30 anni nel 48,2% dei casi. Pertanto, il fenomeno dei bambini non riconosciuti alla nascita incide a livello nazionale per circa lo 0,07% sul totale dei bambini nati vivi (dato diffuso dalla SIN nel 2015 e l’unico più recente al momento disponibile).

Un diritto per le donne

Dietro a questi numeri donne di tutte le età e condizioni sociali, che vivono con difficoltà la maternità e che per motivi diversi e complessi, come disagi economici e sociali e solitudine, ritengono di non avere altre alternative, ma che fanno una scelta coraggiosa, con la volontà di dare un futuro migliore al loro bambino. «Lasciare un bambino alle cure degli ospedali è sicuramente una decisione estrema e dolorosa» afferma il Dott. Luigi Orfeo, Presidente della Società Italiana di Neonatologia (SIN). «Dobbiamo però considerare che la possibilità di affidare i neonati a queste strutture, dà loro la possibilità di essere assistiti al meglio ed immediatamente. Ciò garantisce a questi bambini una migliore prospettiva di vita, rispetto a quelli che ancora, purtroppo, vengono lasciati in altri luoghi, in situazioni non protette e rischiose».

Il parto in anonimato

«Ci tengo a ricordare anche l’altra grande opportunità che prevede il nostro sistema legislativo, il parto in anonimato» continua il Dott. Orfeo. «Dopo aver partorito, infatti, la mamma ha la possibilità di lasciare il piccolo nella struttura ospedaliera che li ospita, senza riconoscerlo e restando anonima, a personale competente che si occuperà di lui fino all’affidamento ad un’altra famiglia. In questo modo, il parto, pur nel rispetto della riservatezza e della privacy della donna, avviene in condizioni di sicurezza ed in ambiente protetto, senza rischi per la mamma ed il neonato».

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Cosa succede al piccolo lasciato nella culla termica o in ospedale

Ma cosa succede dopo che il piccolo è stato lasciato nella culla termica o in ospedale? Viene affidato alle cure dei medici, che avvisano la direzione sanitaria o l’assistente sociale in servizio nel nosocomio; il caso è segnalato al Tribunale per i minorenni competente. «La dichiarazione di nascita viene resa dal ginecologo o dall’ostetrica che ha assistito al parto o ha preso in carico il neonato. Sul certificato compare la dicitura: “Nato da donna che non consente di essere nominata” e il tribunale dichiara subito lo stato di abbandono e l’adottabilità» sintetizza Stefania Stefanelli, professoressa di diritto privato all’università degli studi di Perugia e co-autrice del volume Il parto anonimo. Profili giuridici e psicosociali dopo la dichiarazione di incostituzionalità (Artetetra edizioni). «Tuttavia la procedura di adozione si sospende se uno dei genitori chiede al Tribunale per i minorenni di avere tempo fino a 2 mesi per riconoscere il figlio, durante i quali deve essere mantenuto il rapporto con il bambino. Un’altra sospensione è prevista in caso di madri con meno di 16 anni, soglia minima per il riconoscimento del figlio, fino al raggiungimento dell’età prevista».

Quando il neonato viene dato a una famiglia affidataria

In alcuni casi il neonato è accolto in una famiglia affidataria. A coccolare i neonati senza famiglia in ospedale ci pensano anche i volontari di varie associazioni: a Brescia i Bambini di Dharma, per esempio, a cui possono rivolgersi pure le mamme in difficoltà durante la gravidanza ([email protected]), mentre a Napoli c’è “Il primo abbraccio”, che tre anni fa, per esempio, ha visto adottare un bambino affetto da varie patologie e accudito per mesi in ospedale. Di solito la dimissione avviene dopo una decina di giorni. Se il Tribunale non ha ancora individuato la coppia idonea all’adozione, il piccolo è accolto temporaneamente in una famiglia affidataria. Come quella di Marilia Zenzaro e Andrea Botti, a Ferrara, con 5 figli biologici dai 29 ai 13 anni, una adottiva di 10 e una dozzina di esperienze di affido temporaneo, sempre di neonati. «Vogliamo dare ai più piccoli “una pancia su cui appoggiarsi”, il calore necessario. Poi il distacco va sempre elaborato e siamo rimasti in contatto con alcuni genitori adottivi» confida Marilia. È successo con Emanuela e Roberto, coppia che aveva già l’idoneità per l’adozione nazionale e internazionale e che dalla provincia di Modena ha raggiunto casa Botti il 18 gennaio di 9 anni fa per incontrare Lorenzo, quando aveva 20 giorni. «Marilia e Andrea ci hanno guidati a conoscere nostro figlio, abbiamo fatto insieme il primo bagnetto, dando a Lorenzo il tempo di abituarsi a noi» ricorda Emanuela. «Provo gratitudine anche per la mamma biologica, che lo ha fatto nascere in ospedale. Lui sa che è stato adottato».

Diventati adulti, «a 25 anni i figli partoriti in anonimato possono chiedere al Tribunale per i minorenni competente di rintracciare la madre biologica per verificare se vuole revocare il segreto, conoscerli o restare anonima ma almeno dare informazioni di sé. Quelli lasciati nelle culle non hanno neppure questa possibilità» osserva la professoressa Stefanelli. «La ricerca delle origini e dell’identità resta un’esigenza profonda e costituisce un diritto fondamentale anche con splendidi genitori adottivi. Perché l’abbandono resta in ogni caso un trauma da rielaborare» conclude Emilia Rosati, esperta di counseling adottivo, tra i fondatori del Comitato nazionale per il diritto alle origini biologiche. «Io stessa ho vissuto questa esperienza e fa bene sapere che chi ti ha messo al mondo ha desiderato conoscerti un giorno, anche se quando lo scopri non c’è più. Ma puoi ritrovare fratelli, sorelle, parenti. Le radici non si possono cancellare»

Dove sono le incubatrici termiche

Sono una sessantina le culle termiche aperte dal 1995 in Italia, dalla Val d’Aosta alla Sicilia. Mancano in Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Molise, Calabria, Sardegna. Erano chiamate inizialmente “cassonetto
per la vita”: la prima è stata inaugurata a Casale Monferrato (Al), l’ultima a Vigevano (Pv) vicino al pronto soccorso dell’ospedale San Carlo. Vengono promosse da associazioni e fondazioni, ospedali, parrocchie, istituti religiosi, Comuni, Asl. Informazioni su www.culleperlavita.it, numero verde 800813000.

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