Cyberbullismo, violenza verbale, hate speech: colpiscono i vip come le persone comuni. E trasformano i social media in campi di battaglia

Campagne di odio che si nutrono di pregiudizi razziali, religiosi o politici. Attacchi personali, sulla base dello stile di vita, delle scelte, dell’aspetto fisico. L’hate speech online ha sfumature che sociologi, psicologi e giuristi interpretano e fronteggiano tutti i giorni.

È un fenomeno che nasce con Internet?

Giovanni Ziccardi, professore di Informatica giuridica all’Università Statale di Milano, sull’argomento ha appena scritto L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete, un saggio che inquadra il fenomeno e fornisce gli strumenti per difendersi.

«La rete non ha modificato l’essenza dei discorsi d’odio: sono sempre esistiti. Ne ha cambiato, però, la persistenza e l’amplificazione. Spesso non si sa di avere in mano uno strumento potentissimo per far circolare informazioni che restano nel tempo e producono danni reali, non virtuali» spiega.

Perché ci si sente così coraggiosi e spietati davanti a uno schermo?

È la percezione di pseudo-anonimato: i nostri passi digitali sono quasi sempre rintracciabili, eppure, difesi da uno schermo, molti scrivono insulti e minacce che non oserebbero dire faccia a faccia.

Come mai le vittime hanno identikit così diversi?

«L’altra novità» aggiunge Ziccardi «è che ogni aspetto della vita può generare risentimento e invidia. Se prima le vittime erano solo le persone in vista o di una minoranza, oggi cresce l’odio interpersonale, che può colpire chiunque: dal compagno di classe alla vicina di casa, dal collega all’ex fidanzato». Con effetti particolarmente gravi nel caso degli adolescenti. Che saranno anche “nativi digitali” ma restano vulnerabili agli attacchi, spesso orchestrati dal gruppo. Tanto che Telefono azzurro ha lanciato una campagna e un sito (giovaniprotagonisti. azzurro.it) contro il bullismo.

Come farsi aiutare?

«L’odio online è un veleno potente: la vittima non può difendersi apertamente, è spesso attaccata davanti a un pubblico che può unirsi agli insulti e che, comunque, partecipa alla gogna mediatica. Chi lo subisce prova l’ansia di essere un bersaglio, la paura e il panico per la minaccia implicita, l’ira e la frustrazione di non poter reagire.

Il mio primo consiglio è non soffrire in solitudine. Occorre condividere l’esperienza, cercare alleati. Sentire che ci sono persone che ci apprezzano e sono solidali è la prima medicina, perché l’empatia cura dall’intossicazione dell’odio. Si può chiedere aiuto a un professionista ma, a volte, basta un amico o un gruppo di persone che magari hanno già superato situazioni simili e conoscono il vaccino contro questa malattia», spiega Mauro Pellegrini, psicoterapeuta (formevitali.it).

Ecco la gallery dei vip che ne sono stati vittime.

E queste sono tre storie che abbiamo raccolto, con il commento dell’esperto.

Laura, 40 anni, di Firenze, social media manager 
MI ERO CONVINTA DI ESSERE SBAGLIATA 

«A 35 anni ho iniziato una relazione con un uomo incontrato online, che si è rivelato presto molto geloso. Analizzava ogni mio post sui social, aveva sempre da ridire: ero stata volgare, il mio selfie era troppo esplicito… Mi puniva a parole ma anche a schiaffi. Mi faceva sentire sbagliata come donna, come madre e come professionista (e il mio lavoro è online). Per lui ero inaffidabile, leggera. E io non ero più sicura di nulla, credevo a lui. Quando ci siamo lasciati, ha rubato la mia password di Facebook. Mi sono salvata solo con l’aiuto dello psicologo: da sola non ce l’avrei fatta. Ancora oggi lui ha una rete di contatti che lo tiene aggiornato sulle mie attività online. Ho imparato a ignorarlo, a pensare che le sue affermazioni non contano niente per me. Ma ci sono voluti anni».

Il commento dell’esperto «Dopo un lungo lavoro su di sé, Laura ha capito: ciò che gli “odiatori” fanno è innanzitutto un loro problema, ignorarli è la risposta migliore. E alla fine del percorso, per quanto doloroso sia, si diventa più forti» assicura lo psicoterapeuta Mauro Pellegrini.

Luca, 34 anni, attivista per i diritti LGBT di Milano
ALLA FINE MI SONO ARRESO
«Gli attacchi, iniziati nel 2007, si sono concentrati sulle mie battaglie civili e sull’aspetto fisico («Sei grasso, sei brutto, nessuno ti vuole»). Si è creato un effetto domino: Internet è fatto di insiemi che comunicano fra di loro e traslano alla vita offline, se si tratta di gente che frequenta la Rete. Non ne sono ancora uscito. All’inizio rispondevo alle offese, ma non ha funzionato. Una denuncia si può fare solo contro una persona, ma il bullismo è un atto collettivo e comunitario. Come il blocco: posso bloccare alcune persone, ma finché queste hanno la possibilità di parlare ad altri di me, l’etichetta rimane e gli effetti dello hate speech pure. Ora cerco di tacere e mi sono poco a poco allontanato dagli ambienti legati alla mia presenza online. Sì, l’ho data vinta a chi mi voleva zittire».

Il commento dell’esperto «Darla vinta può essere un sollievo: a volte, togliersi dalla lotta è un modo per recuperare forze e uscire da un contesto pericoloso e tossico» spiega Pellegrini. «Ma non può essere la soluzione. Luca deve poter dire lo stesso la sua e trovare un ambito dove esprimersi».

Ludovica, 17 anni, di Roma
SONO STATI ANNI DI INFERNO
Ero ancora alle elementari. Già cantavo e suonavo, può essere stata l’invidia per questo, ma si sono creati gruppi contro di me. Mi isolavano, mi maltrattavano, appena aprivo bocca era un inferno. Crescendo, le cose sono peggiorate: agli attacchi faccia a faccia si sono aggiunti quelli online, in particolare sul mio profilo di Ask. Da «Sei cicciona e piena di brufoli» fino a quelli che colpivano la mia passione: «Canti come una ranocchia, chi ti credi di essere? ». Ne sono uscita con l’aiuto dei miei genitori, cambiando ambiente e scuola. E facendo sport: la squadra di ginnastica mi ha aiutato molto. E ora, tramite un’associazione, aiuto i ragazzi che stanno passando quello che ho subito io.

Il commento dell’esperto «Anche Ludovica ha trovato il modo di vincere gli haters: aiutare gli altri è una grande risposta e farlo insieme a chi insegna a dare sostegno e mette in contatto chi ha bisogno con chi ci è già passato è molto efficace» conferma Mauro Pellegrini.

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