2020, l’anno di ostetriche e infermiere

L'ostetrica e l'infermiera sono lavori molto richiesti in Italia, ma entro il 2030 queste figure rischiano di dimezzarsi. Perciò l'OMS lancia una campagna per incentivare questo tipo di professione: ecco i requisiti

Sono soprattutto donne (70%), si occupano di servizi fondamentali per la salute di tutta la popolazione e in particolare di madri e bambini, e a loro l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha deciso di dedicare il 2020. Sono ostetriche e infermiere che lavorano in ospedali, consultori e ambulatori e che, secondo l’OMS, rappresentano il 50% della forza lavoro nel campo sanitario in molti Paesi nel mondo. Ma entro il 2030 rischiano di dimezzarsi. Da qui il lancio di una campagna per sottolinearne il valore e ruolo, dedicando loro il prossimo anno.

Infermiere e ostetriche in Italia (e in Europa)

Secondo il rapporto annuale Health at a Glance dell’OCSE in materia di salute, l’Italia è sotto la media dei Paesi più sviluppati al mondo per numero di infermieri e infermiere, destinato a peggiorare nel tempo: il rapporto tra il loro numero e la popolazione è di appena il 5,5%, rispetto al 10,3% della Francia, il 10,5% dell’Olanda, il 10,9% della Svezia e persino il 12,0% della Germania. Peggio di noi in Europa fanno solo la Grecia (3,3%) e la Polonia (5,1%). Anche la Turchia ci precede (2,1%), mentre il divario rispetto a Svizzera e Norvegia aumenta, con i due Paesi entrambi sopra il 17%. Non va meglio per quanto riguarda le ostetriche. Secondo Eurostat, a fronte di 260mila professioniste totali nell’UE, nel regno Unito se ne trovano 31mila, in Germania e Francia 23mila per ciascuno dei due paesi, mentre in Italia si fermano a 16.507.

Sono poche, dunque, eppure la loro presenza è molto richiesta, non solo in sala parto.

Dall’ostetrica condotta a quella “moderna”

Il luogo comune vuole che l’ostetrica lavori solo o prevalentemente in parto. In realtà fa molto di più: «Il parto è solo un momento della vita di una donna di cui si occupa l’ostetrica» spiega Maria Vicario, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini della Professione di Ostetrica (FNOPO). «Un tempo c’era l’ostetrica condotta a cui ci si rivolgeva per affrontare problematiche differenti prima di andare in ospedale o dal medico di famiglia. Col tempo sono venuti meno i presidi sul territorio, che invece da qualche tempo si vogliono riattivare tramite i consultori. Qui ci si occupa di assistere le donne dalla fase pre-puberale, come nel caso di assenza di menarca, fino a quella della maternità e poi della menopausa. Ma l’ostetrica segue anche la quarta età, prestando assistenza e cura su problematiche tipiche dell’età avanzata, come ad esempio l’incontinenza. In alcune regioni, come la Lombardia, questo sta già accadendo. La nostra Federazione sta promuovendo la figura dell’ostetrica di famiglia e di comunità»

Il ritorno (sulla carta) dei consultori

Il Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI) stabilito dal Ministero della Salute nel 2000, prevedeva la presenza sul territorio di consultori familiari che avessero al centro la figura dell’ostetrica, ma sono poche le realtà in cui si è concretizzato: Trentino Alto Adige, Piemonte ed Emilia Romagna si sono adoperate insieme alla Lombardia. Con una delibera di un anno e mezzo fa, la Regione Lombardia ha istituito un servizio di presa in carico della donna in gravidanza tramite un colloquio, seguito da un percorso di accompagnamento alla nascita del figlio tramite esami di screening, assistenza al parto e nelle due ore successive, ritenute le più critiche. Il servizio prosegue anche dopo le dimissioni dall’ospedale per due mesi, per fornire consigli sullo svezzamento e monitorare lo stato psico-fisico della neomamma e del bambino.

Perché mancano ostetriche e infermiere?

«Purtroppo non tutte le regioni hanno pari livelli di eccellenza. Esistono poi anche due problemi: uno di tipo organizzativo nell’impiego di ostetriche e infermiere, l’altro formativo» spiega Maria Vicario, presidente FNOPO. «Oggi nei reparti di ginecologia e ostetricia operano anche infermieri e infermiere generalisti (gli ex infermieri professionali) che per le loro competenze possono essere collocati in tutti i reparti, tranne che nell’area materno-infantile (dunque in ostetricia) e in pediatria-neonatologia, dove invece occorrono infermieri pediatrici. Questo porta a un ricorso inopportuno e inadeguato di personale che se invece fosse correttamente distribuito risolverebbe i problemi di carenza di organico di infermieri in altri reparti e liberebbe posti in ostetricia» spiega la presidente della FNOPO.

A questo problema è legato anche quello della formazione.

Come si diventa ostetrica

Per diventare infermiera o ostetrica è necessaria una laurea, rispettivamente in Infermieristica e in Ostetricia, entrambi i percorsi durano tre anni e sono a numero chiuso, dunque occorre superare un test d’ingresso. Al termine degli studi è previsto un tirocinio e l’iscrizione al Collegio provinciale e all’apposito all’Albo. È possibile proseguire nel percorso di specializzazione tramite master. «Purtroppo con la seconda riforma sanitaria del 1992 e le successive modifiche si sono ridotti da 5 a 3 gli anni di studio universitario per le ostetriche, ma non si sono ridotte le conoscenze e competenze richieste» dice Vicario, che aggiunge: «Essendo a numero chiuso, occorrerebbe alzare i posti disponibili sia per andare incontro alle esigenze reali di ospedali, aziende sanitarie e consultori, sia perché occorre tenere conto di una fisiologica dispersione accademica: degli attuali 800 iscritti al primo anno accademico di Ostetricia, ad esempio, realisticamente ne arriveranno alla laurea in 700».

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