Perché le videochiamate ci fanno sentire esausti

Dopo lunghe sessioni di lavoro o di lezione in videochiamata ci sentiamo sfiancati. È normale, perché la concentrazione e la comunicazione non verbale richieste sono molto diverse. Spieghiamo in che senso

Le videochiamate ci hanno aiutato (e ci aiuteranno ancora anche nei prossimi mesi) a lavorare da casa e a rimanere connessi. Ma non senza conseguenze. Una delle principali è il senso di affaticamento che dà l’utilizzo di una App tra le più diffuse in questo periodo: Zoom, che tra marzo e aprile ha registrato un vero e proprio boom di download (+553%).

Perché dopo le videochiamate siamo esauriti?

Lo schermo immobile davanti a noi, un’eco diffusa, decine di teste che ci fissano. È il primo impatto che si ha con App come Zoom e altre che consentono videochiamate di gruppo utilizzate per le riunioni di lavoro «da remoto», per le videolezioni scolastiche, ma anche per colloqui singoli e, come se non bastasse, per parlare con amici e familiari. Il risultato è che alla fine della giornata si ha la sensazione di essere esauriti. Perché? «Quando comunichiamo di persona siamo abituati a ricevere molte più informazioni, spesso implicite e inconsapevoli. Non vediamo solo lo sguardo, ma percepiamo l’atteggiamento di chi ci sta di fronte nel suo complesso, mentre davanti a uno schermo di computer non possiamo farlo, ci limitiamo al viso e alla voce, che non sempre si sente bene» spiega Ludovica Scarpa, docente di Teoria e Tecnica della Comunicazione interpersonale all’università IUAV di Venezia e autrice di Capirsi. Istruzioni per l’uso (Mondadori Scuola).

Davanti a uno schermo aumenta la tensione

«Per cercare di decifrare le informazioni che ci mancano, aumentano concentrazione e tensione che a fine giornata ci fanno sentire molto più stanchi. Questo accade anche se parliamo con i nostri cari: nonostante loro ci dicano che stanno bene, a volte ci preoccupiamo se notiamo segni di stanchezza perché ci sembra di non poter controllare se sia vero» spiega l’esperta. Ciò accade soprattutto in chi non è nativo digitale.

Donne ed età: cosa cambia

«I 50/60enni non sono sempre stati abituati a questo tipo di comunicazione da remoto, quindi si aggiunge l’ansia di non essere in grado di gestire la tecnologia» Spiega Ludovica Scarpa. Tra uomini e donne, invece, sono queste ultime a potersi forse avvantaggiare da questa modalità di comunicazione: «Solitamente gli uomini tendono a far precedere le riunioni da un cosiddetto small talk, le chiacchere su politica o sport, che servono a tastare il polso della situazione prima di affrontare i temi più seri di lavoro. Con le videocall tramite piattaforme questa possibilità viene meno o è fortemente ridotta. Questo potrebbe avvantaggiare le donne, che invece sono più restie a quel momento pre-riunione» spiega la docente.

Il silenzio “assordante”

Un altro elemento di disturbo è il silenzio, con pause innaturali che spesso si creano nel colloquio a distanza, per evitare di sovrapporsi nel dialogo o perché il segnale audio arriva in ritardo rispetto a quello video. Uno studio condotto in Germania nel 2014 mostrava come un ritardo di soli 1 o 2 secondi provocano persino una percezione negativa dell’interlocutore.

Perché ci si sente più in imbarazzo

Con l’adozione dello smart working, le riunioni si svolgono ormai solo in modalità online, così come le lezioni scolastiche. I colleghi (o i compagni di classe) sono sempre gli stessi, eppure ci si sente spesso in imbarazzo. «Lavorando in smart working ci si rende conto di far entrare degli estranei o comunque colleghi in casa propria, mostrando loro alcuni dettagli della nostra vita privata: un poster o una foto alle pareti, oppure i libri dietro alla scrivania. Questo può essere fonte di imbarazzo» spiega Scarpa.

Colpa (anche) della quarantena

La modalità di comunicazione “online” si è resa necessaria a causa della crisi sanitaria e questo è un altro dei fattori di stress dati dall’uso di piattaforme come Zoom o Meet: ci ricorda che non abbiamo alternative. «La situazione conta molto più dello strumento e questi non sono strumenti scoperti negli ultimi due mesi. Quello che è cambiato è il senso di oppressione per l’isolamento, di privazione che porta a frustrazione. La tecnologia è la divinità del XXI secolo: ci salva tutti o ci condanna tutti. Non bisogna demonizzarla rimpiangendo il passato» spiega Gianpiero Petriglieri, professore associato di Management alla INSEAD Business School in Francia.

Erano meglio le vecchie riunioni faccia-a-faccia?

«L’uomo non si evolve nel giro di 8 settimane, quindi la presenza fisica rimane fondamentale nelle nostre relazioni. In questo momento le videochiamate sono una necessità che dunque ci pesa. Dobbiamo anche distinguere i rapporti di lavoro da quelli privati, come amore e amicizia. Nel primo caso le videocall continueranno a essere preziose, nel secondo non possiamo pensare che possano sostituire gli incontri veri e propri. Credo che non appena sarà possibile, vorremo solo tornare a incontrarci, per poi trovare un equilibrio con la possibilità di vedersi da remoto» spiega Petriglieri.

Come gestire le videocall senza stress

«Di fronte a dubbi o incertezze nell’interpretare parole o atteggiamenti, è meglio chiedere. Questo aiuta a diminuire la tensione e a evitare malintesi, che spesso nascono soprattutto dalla nostra stanchezza o dal nostro affaticamento: ci possono portare a una percezione negativa di chi abbiamo di fronte, con una forte frustrazione finale» premette Ludovica Scarpa. Un altro consiglio è quello di scegliere con cura l’ambiente da cui ci si collega: se possibile, è meglio evitare la camera da letto o la cucina in disordine, altrimenti si resterà in ansia e distratti all’idea di ciò che gli altri potranno pensare di noi.

«Prima di andare online è anche bene pettinarsi e vestirsi adeguatamente, ma senza eccessi: per gli uomini forse la cravatta e la giacca possono essere evitati in una videocall da casa, ma ben vengano se aiutano a sentirsi a proprio agio, così come il trucco per una donna: se si è abituate a truccarsi, è giusto continuare a farlo, sia per confermare la propria immagine pubblica, sia perché sono un gesto di cura e amor proprio» dice l’esperta di comunicazione. Un’altra fonte di tensione che alla lunga aumenta il senso di affaticamento è il fatto di limitare i movimenti rispetto a una riunione o a un incontro personale: «Quando si è collegati spesso si tende a trattenersi, a non gesticolare, ma non c’è motivo per non farlo. Se si capisce di essere rigidi, può aiutare il fatto di tenere in mano una penna o un block notes».

Infine, per diminuire il senso di affaticamento generale a fine giornata, «sarebbe utile, se possibile, limitare l’uso di Zoom o Meet o altre piattaforme simili: sia nel numero di videochiamate sia nella distribuzione dell’arco della giornata, ritagliandosi spazi per decomprimere. Piuttosto di una videochiamata io consiglierei di scrivere un’email o un lungo messaggio WhatsApp, che risultano meno faticosi anche per chi li riceve» conclude Petriglieri.

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