Che cos’è il piede diabetico

Scarsamente considerata e poco conosciuta. Si può riassumere così la condizione del piede diabetico. A soffrirne sono in tanti, circa due malati su dieci, ma arrivano tardi nel centro giusto, dopo essere stati rimbalzati da uno specialista all’altro. E dire che è del 1989 l’invito dell’Organizzazione mondiale della Sanità ai medici ad alzare la guardia per arginare questa situazione.

«Si tratta di una delle complicanze che possono insorgere a distanza di dieci anni dalla diagnosi di diabete» dice Roberto De Giglio, direttore dell’Unità Operativa Complessa Medicina-Piede diabetico dell’Ospedale di Abbiategrasso, in provincia di Milano. «Per ragioni poco chiare non riceve la stessa attenzione destinata ad altre complicanze come le malattie cardiovascolari. Certo, rappresenta un costo perché è una patologia multifattoriale che va trattata da un team composto da diabetologo, cardiologo, chirurgo vascolare, ortopedico, infettivologo, podologo. Ma alla lunga sono costi che rientrano, perché un paziente ben curato non subisce amputazioni e ha una sopravvivenza pari a quella di un diabetico senza questa complicanza».

Per fortuna qualcosa sta cambiando, grazie al modello Fast-Track messo in atto in Emilia Romagna e in Toscana e che è in fase di organizzazione in altre Regioni come la Lombardia. In pratica, consiste in controlli molto frequenti da parte del medico in modo da intervenire al più presto.

Serve il podologo

Facciamo un passo indietro, per capire meglio i primi segnali. A causare il piede diabetico sono due problemi frequenti in chi soffre di diabete: la cattiva circolazione, che può portare al restringimento delle arterie, con una riduzione dell’afflusso di sangue agli arti inferiori e in particolare ai piedi. E una disfunzione dei nervi periferici che causa alla lunga una perdita di sensibilità.

«In ambulatorio vediamo persone che hanno il dito del piede ormai da amputare, a causa di un’infezione da un’ulcera banale, che si sono procurati semplicemente tagliando le unghie» spiega l’esperto. «Succede perché non ci si accorge della ferita e neppure del dolore fino a quando non si vede che il dito del piede ha cambiato colore».

Ecco perché è importante affidarsi al podologo, in modo da cogliere un altro campanello importante: le callosità. Quando compaiono in sede plantare o all’apice delle dita, possono dare origine a ulcere. La soluzione? Un plantare che ridistribuisce i carichi del piede. Anche le estremità che si gonfiano segnalano una cattiva circolazione. Nelle fasi iniziali, si riesce a tenere sotto controllo la situazione anche solo con una regolare attività fisica che aiuti la circolazione.

Piede diabetico: ora c’è una terapia miracolosa

Oggi ci sono terapie che tengono lontano il rischio di amputazione. «Se le lesioni non hanno ancora raggiunto l’osso, eliminiamo i tessuti aggrediti dalla malattia e applichiamo un innovativo cerotto a base di saccarosio octasolfato, da sostituire ogni 48 ore fino alla cicatrizzazione della ferita» precisa l’esperto. «Ha una azione antisettica e rigenerativa dei tessuti, a tutto vantaggio della prevenzione delle recidive».

Quando invece l’infezione ha intaccato l’osso, la soluzione è il biovetro, un mix di cristalli di silice e di fosfato. Viene utilizzato per riempire il buco che rimane dopo essere intervenuti per pulire l’infezione: gli studi hanno dimostrato che stimola la formazione di nuovo tessuto osseo. «Bisogna anche andare all’origine della malattia» conclude l’esperto. «Se è un problema di arteriopatia, dobbiamo procedere con l’angioplastica, cioè inserire nella zona ostruita un palloncino in modo da sbloccare la circolazione. Così evitiamo l’amputazione in oltre otto casi su dieci».

Va anche controllata la glicemia con esami approfonditi prima di tutto perché se c’è già la diagnosi di diabete è bene verificare che la malattia sia ben controllata ed eventualmente modificare la cura. Ma anche perché può succedere che il paziente arrivi ad avere un problema al piede senza sapere di soffrire di diabete. E a quel punto va iniziata il prima possibile una terapia ad hoc.

Tom Hanks Oscar 2020
Tom Hanks non ha fatto abbastanza per evitare il diabete e le possibili complicanze: per oltre 20 anni ha ignorato i valori alti della glicemia, continuando a mangiare in modo disordinato

LA TESTIMONIANZA

«Che fatica arrivare al centro giusto!»

«È trascorsa una manciata di mesi, ma sembrano secoli da quando, a giugno, mio papà si accorge di avere una vescica, che nell’arco di qualche giorno si trasforma in una ferita non dolorosa, ma secondo me bruttissima» ci racconta Carla di Varese. «Ne parliamo con lo specialista del Centro di vulnologia, dove era stato in cura per un’ulcera vascolare al malleolo sinistro. Lo specialista lo sottopone a una radiografia e gli prescrive medicazioni al piede, senza però fornire una diagnosi certa. L’ulcera peggiora a vista d’occhio e decido di far fare a mio padre privatamente una nuova radiografia, dalla quale emerge che l’infezione ha già intaccato l’osso. Avevo la sensazione che mio papà venisse trattato solo come un problema fastidioso. Dovevo fare qualcosa e così ho cambiato il medico di famiglia. Quello nuovo ha eseguito delle analisi di approfondimento, ha scoperto continui picchi glicemici e gli ha prescritto la terapia antidiabetica. Nel frattempo ho consultato la Rete e, in due settimane, mio papà ha fatto quattro visite specialistiche. In un noto ospedale milanese mi hanno proposto le medicazioni, in attesa di fare tutti gli accertamenti, ma ci hanno fatto intendere di non avere neppure i materiali corretti per medicare perché troppo costosi; in altri due lo volevano mettere in lista per l’amputazione del pollice. Quando tramite un’amica sono arrivata al centro giusto, ho avuto la sensazione di toccare terra dopo mesi di montagne russe. Lo stanno curando, per fortuna non è necessaria l’amputazione: ora mi chiedo cosa sarebbe stato di mio papà se non fossi stata così caparbia».