Pope John XXIII Looking at Globe
May 1963, Vatican City, Rome, Italy --- Original caption: Vatican City: Pope John XXIII in his papal apartment looking at huge globe of the world. --- Image by © Bettmann/CORBIS

Perché ricordare il «Discorso della luna» di Papa Giovanni XXIII

Per primo ha parlato alla gente in modo umile e spontaneo. Da quest'anno è santo. E sarà ricordato l'11 ottobre, il giorno in cui si è affacciato a sorpresa dal balcone di San Pietro

Non ero ancora nato l’11 ottobre 1962, quando Papa Giovanni XXIII ha fatto il «Discorso della luna», ma è come se ci fossi stato, quella sera in Piazza San Pietro.

Parole affettuose, poetiche, umili: anche se sono una persona molto laica, provo una grande emozione ogni volta che le riascolto. Le ho sentite dalla voce di mia mamma, che me le ha trasmesse: lei, da bambina che andava all’asilo, ha consegnato un mazzo di fiori ad Angelo Giuseppe Roncalli, quando era patriarca a Venezia. Ricordi simili ci saranno in molte famiglie. Il «Discorso della luna» è entrato nella tradizione popolare, nella storia sentimentale dell’Italia. Quella che passa da generazione a generazione, come un santino o una pagina dei Promessi sposi, il racconto del boom economico e la vittoria ai Mondiali.

Discorso Luna di Giovanni XXIII

Se tu che stai leggendo pensi che si tratti di un ricordo da popolo bue, fermati qui. Se ti irritano la tiara e i paramenti pomposi di un Papa vissuto 60 anni fa, non perdere tempo: lascia subito questo post. Io trovo nel «Discorso della luna» un preludio a Papa Francesco.

Cari figliuoli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero; qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata, stasera – osservatela in alto! – a guardare a questo spettacolo.

Chi parla in questo modo calpesta il cerimoniale. Ed esprime una cosa di cui sento il bisogno: trovare un personaggio pubblico che interpreti i nostri pensieri e che, davanti a tutti, dando forma e voce a un sentimento comune, si rivolga al cielo e alla luna. Un momento di eternità, che esce dai giorni e dalla storia. Quasi una follia. Chi se lo può permettere? Forse solo un “vecchio” ai margini dei giochi del potere. Lo ha fatto un giorno un Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi: pronunciò il «Discorso dell’alba». Qualche sciocco pensò a una perdita di lucidità.

Tornando a casa, troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza.

Parole candide, di un’epoca ingenua, almeno nelle apparenze. Qualcuno trova paternalistiche frasi di questo tipo. Io ci sento la nostalgia del padre, una figura che si è eclissata e che non può tornare più com’era una volta (e, se pensiamo a certe ottusità: per fortuna!). Se ne sono accorti per primi i nostri papà. È un ruolo che, secondo lo psichiatra Massimo Recalcati (Il complesso di Telemaco), può essere interpretato anche da una donna. Eppure manca.

In Italia un Papa trova sempre terreno fertile. E così ricorderemo il Karol Wojtyla di «voi mi corrigerete» e Jorge Mario Bergoglio che si presenta al mondo con un: «Buonasera».

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