Che cos’è il “semen terrorism” e perché è un problema in Corea del Sud

Nel Paese dell’Asia orientale crescono i casi di uomini che eiaculano il proprio sperma su oggetti appartenenti a donne, spesso per vendetta. È una forma di abuso psicologico che ora inizia a preoccupare anche il governo, che pensa a misure per contenere il fenomeno, diffuso anche in Giappone. E che ha a che fare con l’odio verso le donne

Una forma di abuso psicologico. Così potremmo definire quel fenomeno conosciuto come “semen terrorism” che sta prendendo piede in Paesi come la Corea del Sud e il Giappone. Come suggerisce il nome, si tratta di uomini che, per vendicarsi di una ex o di una donna che non ne ha ricambiato le avances, eiaculano in oggetti che appartengono a quelle donne. Come riporta il Guardian, nel 2019 un uomo che aveva ricoperto di sperma le scarpe di una donna aveva ricevuto una multa di 500.000 won (circa 370 euro) ma era stato accusato di “danno alla proprietà” perché non c’erano disposizioni legali per applicare le accuse di reato sessuale.

Nello stesso anno, sempre in Corea del Sud, un uomo è stato condannato a tre anni di carcere per “tentato ferimento” dopo che aveva messo nel caffè di una donna una miscela di lassativi, afrodisiaci e il suo stesso sperma come punizione per aver rifiutato la sua richiesta di uscire insieme. E lo ha fatto per ben 54 volte: nonostante la mostruosità del gesto, il crimine non è stato riconosciuto come reato sessuale visto che, tecnicamente, non c’era stata nessuna forma di violenza.

Nel maggio 2021, invece, un impiegato statale di sesso maschile è stato condannato a una multa di poco più di 2000 euro con l’accusa di “danni alla proprietà” per aver eiaculato nel bicchiere del caffè della sua collega, per sei volte nel corso di sei mesi. Il tribunale ha ritenuto che le sue azioni «rovinassero» l’utilità del contenitore, mentre i media locali riportano molti altri casi di questo tipo: almeno 44 tra il 2019 e il 2021, un numero che sembra esiguo ma che in realtà va sommato alle molte altre forme di violenza che le donne subiscono in Corea del Sud, un Paese che, come l’Italia e il resto del mondo, non è certo esente dalla violenza di genere.

Dalle “molka” ai femminicidi…

La richiesta da parte di nutriti gruppi di attiviste, parlamentari e vittime è perciò quella di aggiornare la classificazione di questi reati, considerandoli a tutti gli effetti abusi sessuali e psicologici, e non è che l’ultima battaglia condotta dalle femministe sudcoreane per il riconoscimento della violenza di genere di cui è intrisa la società in cui vivono. Basta pensare al fenomeno delle “molka”, ovvero delle telecamere nascoste nei bagni pubblici, nelle scuole, sui treni o negli appartamenti che per anni hanno ripreso donne ignare per poi ripubblicarle online. In Corea del Sud la pornografia è illegale (non è possibile infatti accedere a piattaforme come Pornhub o YouPorn) e questo ha portato al proliferare di siti e chat in cui venivano diffusi video e immagini di questo tipo, all’insaputa delle vittime, al punto che oggi in qualsiasi smartphone venduto nel Paese non è possibile disattivare il suono della fotocamera, proprio per disincentivare le riprese non consensuali

… cresce il risentimento anti femminista

Sono tanti, anche, i casi di femminicidio: solo nel mese di agosto ce ne sono stati 4, di cui si è ampiamente discusso sui media e online: come da noi, anche in Corea del Sud il femminicidio si verifica più frequentemente nel contesto di relazioni strette. Secondo una recente ricerca della Korea Women’s Hotline i casi di donne uccise da partner o familiari nell’ultimo anno sono stati 97, e si trattava solo di quelli riportati dalla stampa, mentre altre 131 donne sono sopravvissute agli attentati, portando il numero di incidenti a 228. In altre parole, una donna viene uccisa o quasi uccisa da un uomo in stretta relazione con lei ogni 1,6 giorni.

A preoccupare, poi, è il crescente risentimento da parte degli uomini più giovani nei confronti dei temi “femministi”: lo hanno dimostrato le recenti elezioni per il sindaco di Seoul, dove il 72,5% dei giovani uomini tra i venti e i trent’anni ha votato per il candidato conservatore, Lee Jun-seok, che si è presentato apertamente come un anti femminista. Come segnala Foreign Policy, una delle motivazioni è la frustrazione dovuta alla scarsità di posti di lavoro soddisfacenti, per i quali i giovani coreani si sentono in competizione con le colleghe donne che, a loro parere, sarebbero avvantaggiate dalle politiche di quote rosa.

Gli esperti interpellati da Fp hanno individuato due tendenze: il culto dell’idea di meritocrazia e la misoginia: «I giovani sudcoreani, nati alla fine degli anni ’90, quando la Corea del Sud stava diventando una prospera democrazia liberale, non hanno conosciuto le lotte storiche che hanno definito le generazioni più anziane, come la guerra di Corea o la lotta contro le dittature militare. Invece, la loro vita è una lotta con una serie pressoché infinita di esami: esami di ammissione per le scuole superiori, esami di ammissione per i college ed esami di ammissione per lavori sicuri e ben pagati. Questa è la generazione che ha passato la maggior parte della sua vita a sostenere o a prepararsi per gli esami, nel famigerato e faticoso sistema scolastico “hagwon”. Di conseguenza, i giovani sudcoreani hanno interiorizzato la logica di quegli esami e l’hanno elevata a una sorta di sensibilità morale distorta, in cui i poveri sono responsabili delle proprie sofferenze». Così come le donne, che sarebbero fin troppo tutelate. In realtà, la Corea del Sud è uno dei Paesi avanzati con il gap di retribuzione maggiore tra uomini e donne, ma questo non sembra interessare troppo alcuni giovani uomini, la cui mentalità rimanda a quella degli “incel”.

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