Perché il Garante ha chiesto chiarimenti a Pornhub

L'autorità per la protezione della privacy sospetta che non ci siano adeguate protezioni della privacy per gli utenti della piattaforma dai contenuti "hot"

Il Garante per la protezione dei dati personali ha chiesto chiarimenti a Pornhub sospettando che la privacy degli utenti non sia adeguatamente tutelata. Per questo MG Freesites Ltd, che gestisce la piattaforma di contenuti pornografici, ha ora 20 giorni di tempo per rispondere alla richiesta di informazioni da parte dell’Autorità. L’indagine arriva dopo il reclamo di un utente, che ha accusato il colosso della pornografia online di profilazione degli utenti, accedendo ai loro dati personali e trattandoli in modo non adeguato. In particolare l’Autorità che vigila sul rispetto delle normative sulla privacy ha chiesto chiarimenti riguardo all’uso di dei cookie e degli altri strumenti di tracciamento, sia per gli utenti registrati, sia per i semplici visitatori.

Pornhub e minori

Un altro aspetto su cui la piattaforma è stata chiamata a fornire maggiori informazioni riguarda anche la modalità di accesso dei minori, con la verifica dell’età anagrafica di chi vuole navigare su Pornhub. Si tratta degli identici rilievi chiedi dal Garante per la protezione dei dati personali, di recente, a Chat GPT, la piattaforma di intelligenza artificiale, prima temporaneamente bloccata in Italia, poi tornata a regolarmente accessibile.

Adesso, dunque, Pornhub dovrà rispondere, anche se non è la prima volta che finisce al centro delle attenzioni (e delle denunce).

Pornhub: le denunce precedenti

Video pubblicati senza consenso. Questa l’accusa mossa nel 2021 da trentaquattro donne presso un tribunale della California a Mindgeek, la società che gestisce Pornhub, una delle più grande piattaforme online di contenuti per adulti. Come riportava la Cbs News, che aveva intervistato le donne, la causa civile era stata intentata con l’accusa alla società di gestire «un’impresa criminale». Secondo i dati forniti da Pornhub, che ha dedicato gran parte dei suoi sforzi comunicati degli ultimi anni per presentarsi come un sito mainstream, sarebbero 130 milioni gli utenti che ogni giorno visitano il sito: secondo le donne che hanno fatto causa, però, la società le avrebbe sfruttate a scopo di lucro, ospitando e promuovendo video espliciti di stupro, revenge porn e, in alcuni casi, video che raffigurano abusi su minori.

Non è la prima indagine per la piattaforma

Non è la prima volta che Pornhub finisce nell’occhio del ciclone per questi motivi: in passato la piattaforma aveva rimosso la maggior parte dei suoi contenuti dopo che un’indagine aveva dimostrato come in molti di essi erano illegali o inappropriati e alcuni coinvolgevano proprio minori vittime di abusi. L’operazione di pulizia aveva fatto sì che il totale dei contenuti del sito fosse passato da 13 milioni di contenuti a soli 4 milioni. In quell’occasione diversi sponsor avevano ritirato i loro investimenti sul sito, a cominciare da Visa e MasterCard, e Pornhub aveva dichiarato che, a seguito dell’eliminazione dei video considerati problematici, il resto dei contenuti rimasti online derivasse da «utenti verificati, un requisito che piattaforme come Facebook, Instagram, TikTok, YouTube».  

Una donna vittima di Pornhub racconta

Una delle trentaquattro donne, intervistata da Cbs, aveva raccontato che il suo video era stato visto da più di 200.000 persone, comprese tutti quelli che andavano al college con lei: «Il numero di visualizzazioni di quel video mi perseguiterà per sempre. Il solo sapere che tutte quelle persone l’hanno visto mi ha devastato a livello psicologico». La donna, che aveva anche raccontato di aver sofferto di depressione e di quanto sia stato difficile metabolizzare quell’esperienza, aveva deciso di unirsi alla causa per far sì che quello che era successo a lei non capitasse anche ad altre persone. «Mi ci è voluto molto tempo per venire a patti con il fatto che ero anch’io una vittima», aveva detto. Michael Bowe, l’avvocato che rappresentava le donne, sosteneva che Pornhub avesse aggirato le regole in vigore per proteggere gli attori nell’industria del porno “tradizionale”, che richiede ai produttori di verificare l’età e l’identità delle persone presenti nei video.

MindGeek e il portfolio a luci rosse

«Questa nuova industria del porno online, negli ultimi 10 anni, è stata autorizzata dalle forze dell’ordine e dagli enti governativi a operare secondo un insieme di regole diverso [da quelle della pornografia tradizionale, ndr]. Fondamentalmente, non c’è nessuna regola o supervisione», aveva detto Bowe alla Cbs. Da parte sua, MindGeek aveva risposto alla presentazione della causa con un comunicato ufficiale in cui si definivano le accuse di essere «un’impresa criminale» come «assolutamente assurde, completamente avventate e categoricamente false». MindGeek è una società con sede a Lussemburgo le cui attività sono però di base in Canada, ed è spesso definita il leader della pornografia online: ha infatti in portfolio anche YouPorn, Tube8, Xtube, SexTube e RedTube ed è anche una società di produzione di video per adulti.

Sotto accusa l’opzione download

Mindgeek, e in particolare Pornhub, è da anni l’oggetto di campagne di protesta e sensibilizzazione, che hanno denunciato la mancanza di controllo dei contenuti caricati e la presenza di materiale pedopornografico e di revenge porn. Uno degli aspetti più criticati di Pornhub è non a caso la presenza del bottone “download”, che permette di scaricare i contenuti e diffonderli anche una volta che sono stati bannati dalla piattaforma originaria. Un problema, però, che non riguarda di certo solo Pornhub, come riportava un’inchiesta del New York Times del 2019, secondo cui i contenuti di pedopornografia scambiati online nel 2018 aveva raggiunto l’impressionante cifra di 45 milioni tra foto e video, scambiati sulle principali piattaforme di messaggistica online come Facebook Messenger, Tumblr, Bing o Dropbox.

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