bella al lavoro

Troppo bella per lavorare

La bellezza mette sempre il turbo alle opportunità di lavoro e carriera di una donna o può diventare un ostacolo? Se non è richiesta, la bella presenza può suscitare invidia, imbarazzo o attirare attenzioni moleste. Vale lo stesso per gli uomini? Ovviamente, no

Siamo a Londra. Emma Hulse ha 24 anni e lavora come freelance per un’azienda di produzioni televisive. Il suo impiego però, dopo qualche tempo, finisce. Licenziata per la sua bella presenza: era troppo bella, soprattutto per il suo superiore che l’aveva insistentemente corteggiata per poi allontanarla dal set, e rispedirla a casa. Non sempre la bellezza esteriore viene usata in modo spregiudicato. Così, alla fine, si va a parare sempre lì: il manager le chiede il fatidico numero di telefono, la invita a uscire insieme per un drink al termine delle riprese e lei dice: «no, grazie».

Accade. Non sempre, certo. La bellezza è ancora un treno ad alta velocità per raggiungere una promozione. Però quando accade, ha tutta l’aria del sessismo al quadrato.

La denuncia di Emma è la voce di un coro nascosto. Ce lo assicura Federico Cecchini, responsabile dello sportello d’ascolto gratuito Disagio Lavorativo e Mobbing della Cisl Roma e Lazio e autore di “Dal mobbing al disagio allo stress correlati al lavoro” (Narrativa e Poesia ed.): «Ricordo una donna che era costretta a fare la pausa pranzo sola in macchina per non subire le advances del capo. Posso citare pure una vicenda finita in tribunale: una ragazza con un contratto precario in un supermercato aveva accettato l’assunzione a tempo indeterminato che le aveva offerto un rappresentante. Dopo pochi mesi era stata licenziata perché “persona non all’altezza del ruolo di lavoro”. A deciderlo era stata la moglie di lui, per gelosia».

C’è anche la storia di Elena, assistente alla poltrona di origini ucraine, a Milano. Ha le curve perfette, gli occhi celesti e non basta indossare un camice in stile saio e una mascherina nel viso: resta troppo bella. E il dentista non riesce a lavorare bene a stretto contatto con lei: «Non è un clima sereno quello che si crea attorno a lei, mi spiace. Sa, la sua presenza può essere fonte di distrazione. Magari attirerebbe più clienti ma…» le dice. Un arrivederci che va a rafforzare l’ultimo dato Istat relativo alle discriminazioni: le donne battono gli uomini con un rapporto di 7 a 1. Che, a sua volta, spiega perché le donne soffrono di più di stress lavoro-correlato.

Per Caterina Ferraresi, psicanalista, a scattare in queste situazioni è il modello “matrigna di Cenerentola”. «La principessa delle favole è bella, buona, intelligente e amata. La matrigna e le sorellastre che non hanno pari qualità e provano frustrazione, la quale a sua volta muove rabbia, invidia, prepotenza. Quando il capo-donna è una persona con un altissimo ideale di sé irrisolto, attiva questo modello. Ma se il capo è un uomo con le stesse caratteristiche non cambia molto: invece di vessare la malcapitata subissandola di fotocopie, lo farà con profferte sessuali. Il meccanismo è lo stesso».

Il mobbing per beltà non porta solo al licenziamento. C’è chi ha affinato l’arte dell’autocensura: “se sono bella, mica posso dimostrare di essere anche intelligente”. Il rischio è perdere l’amicizia delle colleghe e acquistare le maliziose attenzioni dei colleghi. Alla fine, si rischia di rimanere isolate e di non sviluppare il proprio potenziale, un prezzo insensato da pagare per un dono di natura.

Come uscirne? Con fermezza, gentilezza. «Ma se non basta, è giusto denunciare» consiglia Ferraresi. «Credo che ci sia ancora da fare e che toccherà alle donne farlo per prime. A volte indossiamo la bellezza come uno scudo e nascondiamo l’intelligenza come un vestito sporco. Mi piace pensare che, come nell’ideale dei greci, riusciremo a fondere queste qualità nello stesso tratto».

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