Cancro al seno: buone notizie su diagnosi e cura

Dall'ultimo congresso mondiale, le novità sul cancro al seno: quando si può evitare la chemioterapia, l'immunoterapia contro il triplo negativo, il prelievo di sangue per individuare prima le metastasi, nuova terapia per il tumore metastatico

Arrivano buone notizie per la terapia del tumore del seno da ESMO, il Congresso internazionale di oncologia e riguardano tutte le forme, dal nodulo asportato in fase precoce al cancro metastatico. Segno che la ricerca non si ferma: secondo gli ultimi dati, il cancro al seno rimane al top nella classifica dei tumori femminili più diagnosticati, con 53 mila nuovi casi stimati per il 2019.

Il punto di partenza è sempre uno: sottoporsi a controlli regolari perché solo in questo modo è possibile la diagnosi precoce. Proprio per questo, ottobre è “il mese rosa”, con iniziative in tutta Italia.

La campagna di AIRC

È cominciata con l’accensione di luci che hanno illuminato di rosa il Ponte Vecchio di Firenze, la campagna “Nastro Rosa” promossa dalla Fondazione AIRC. Tutte le informazioni sulle iniziative e cosa si può fare per aiutare la ricerca, sono sul sito nastrorosa.it, sui social media con l’hashtag #NastroRosaAIRC e sul sito bccampaign.it.

La Giornata nazionale del tumore metastatico

È a cura di Europa Donna Italia il manifesto del tumore al seno metastatico, messo a punto grazie alle segnalazioni raccolte tra le donne con questa forma tumorale: 37mila in Italia. Sette i punti che verranno sottoposti il 10 ottobre alla Camera dei Deputati affinché sia garantito alle donne il migliore supporto possibile: percorso di cura personalizzato, assistenza dello psicologo, accesso agevolato agli studi clinici. Ma l’obiettivo è anche ottenere il riconoscimento della Giornata Nazionale del tumore metastatico, per abbattere definitivamente il tabù che circonda questa malattia. La data è la stessa di altre Nazioni: il 13 ottobre. In programma, oltre 50 eventi con cui Europa Donna, tramite le associazioni locali che fanno parte della sua rete, celebra quest’anno la Giornata in 18 Regioni italiane: un fitto calendario di eventi da Nord a Sud. In Valle d’Aosta, per esempio, nel comune di Pontey, chi ama camminare può partecipare all’iniziativa organizzata da Barbara Biasia “In cammino con Barbara”: un’escursione aperta a tutti, soprattutto alle pazienti in metastasi, per scoprire la meravigliosa forza del cammino, che Barbara racconta nel suo libro e nel suo blog Due motori per la vita. A Cagliari l’associazione aBRCAdaBRA Sardegna vi aspetta per camminare sulla spiaggia del Poetto, a Napoli l’associazione Noi ci siamo mette in scena lo spettacolo teatrale “Per voi… che restate”, con lettura di brani di Carla Signoris. E così via in tutta Italia, tra conferenze, incontri, tavole rotonde, spettacoli teatrali, manifestazioni sportive.

Le visite gratuite

La Fondazione Humanitas dà il via al ‘Festival di Sorrisi in Rosa’, oltre 15 iniziative dedicate alla sensibilizzazione della prevenzione senologica che coinvolgeranno i centri di Milano, Bergamo, Varese e Torino.

Anche quest’anno il Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane insieme all’Associazione IncontraDonna Onlus, con il patrocinio del Ministero della Salute, promuove l’iniziativa “Frecciarosa: la prevenzione viaggia in Treno“.

Ultime novità dalla ricerca: quando serve la chemioterapia?

La chemioterapia dopo l’intervento chirurgico non è più un passo obbligato come un tempo, quando veniva prescritta a tutte le donne. E questo, grazie alla possibilità di avere un profilo ben dettagliato della malattia e del rischio di recidiva. «In caso di nodulo asportato in fase precoce, se la paziente ha recettori ormonali positivi, oggi si può prescrivere solo la terapia ormonale perché significa che la crescita delle cellule oncogene è stata stimolata dagli ormoni sessuali femminili», sottolinea Lucia Del Mastro Coordinatrice Breast Unit Ospedale Policlinico San Martino di Genova e ricercatrice Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. «Non è però l’unico criterio per orientare la scelta. Il tumore deve avere una bassa attività proliferativa e non devono essere molti i linfonodi interessati. Inoltre in caso di dubbio, prima della decisione finale ora abbiamo a disposizione test genomici come l’Oncotype DX, l’unico al momento in grado di sciogliere i dubbi. Unico difetto di questo test, tranne in Lombardia dove viene rimborsato da pochissimo tempo, purtroppo è a pagamento».

Le terapie alternative sono altrettanto efficaci?

È ancora radicata però la convinzione che per curare il tumore ci voglia sempre una terapia “strong”, come la chemioterapia, altrimenti non è efficace. «È costante ed emerge durante tutti i congressi, quando ci confrontiamo tra noi oncologi», interviene la professoressa Del Mastro. «Quando si decide il piano terapeutico, bisogna prendersi tutto il tempo necessario per spiegare alla paziente la biologia del “suo” tumore, e perché si è deciso per la chemio, oppure per un altro trattamento. Solo così la donna è tranquilla e segue le indicazioni senza ansie».

Triplo negativo: le terapie prima e dopo l’intervento

È il cancro al seno attualmente più difficile da trattare: si chiama così perché non ha nessuna delle caratteristiche che contraddistinguono le altre due forme di tumore mammario. E questo rende difficile impostare un trattamento. Colpisce circa una donna su dieci e finalmente si cominciano a intravedere delle terapie. È di ottobre 2018 la notizia che anche per questa forma, come per altri tumori, funziona l’immunoterapia dopo l’intervento chirurgico. Oggi, ha dimostrato di agire anche prima dell’operazione. «La terapia adiuvante, così si chiama quando viene prescritta prima dell’intervento chirurgico, prevede l’immunoterapico pembrolizumab in associazione alla chemioterapia», aggiunge la Del Mastro. «Rispetto alle pazienti che hanno seguito solo il ciclo di chemio, si è ottenuto il 15% in più di risposta patologica, cioè di scomparsa totale del tumore. L’intervento chirurgico va comunque effettuato per rimuovere il tessuto nella zona dove c’era la malattia, ma questo non toglie nulla al risultato che rappresenta un primo passo importante. Per loro, il rischio di metastasi è molto basso, con il 6% in più di donne libere dalla malattia a due anni». Le pazienti candidate a questo tipo di trattamento prima dell’operazione, devono avere un tumore triplo negativo diagnosticato in fase precoce. Per la sua importanza, questo mix di trattamenti è stato ritenuto “Breakthrough therapy” dalla Food and drug administration, l’ente regolatorio dei farmaci negli Stati Uniti. Da noi, al momento è ancora all’interno di studi clinici.

Un prelievo di sangue contro le cellule dormienti

Durante il congresso, uno studio ha puntato l’attenzione sulle cellule dormienti. Vale a dire, su quelle che rimangono annidate e che si possono risvegliare anche a distanza di molti anni, dando il via al tumore metastatico. Così chiamato perché colpisce anche altre parti del corpo come le ossa, il fegato, il cervello. «Da 20 anni si parla di queste cellule di tumore, ma oggi finalmente si cominciano ad avere a disposizione le armi che ci permetteranno una diagnosi precoce», dice la Del Mastro. «Le ricerche ci stanno dimostrando che attraverso un prelievo di sangue è possibile dosare il DNA circolante, cioè le tracce che lasciano le cellule dormienti, indice della loro presenza. Questo ci permetterà di anticipare la diagnosi di metastasi di un anno rispetto a quanto accade ora con la risonanza magnetica».

Nel frattempo, però, si sa di più su chi è maggiormente a rischio. «Sono le donne che alla diagnosi avevano già un tumore di dimensioni consistenti, con linfonodi positivi, sottoposte a terapia preoperatoria», racconta la Del Mastro. «Oggi in base alle linee guida, per loro ci sono mammografia e visita clinica, ma abbiamo chiesto al Ministero della Salute la possibilità di ottenere finanziamenti per dare il via a una ricerca focalizzata sulle donne ad alto rischio, da sottoporre ad esami all’avanguardia, compreso il test, per valutarne i benefici in termini di sopravvivenza».

Tumore metastatico: nuove terapie

Attualmente sono 37 mila le donne con un’età media di 54 anni, che portano avanti la loro vita nonostante la diagnosi di cancro al seno metastatico, con un’aspettativa di vita che è passata dai 15 mesi degli anni ’70 ai 58 degli anni 2000. I dati sono in continuo miglioramento per merito delle maggiori conoscenze sulla biologia del tumore, cioè sulle sue caratteristiche, perché questo ha permesso la messa a punto di terapie mirate, con l’obiettivo di rendere il cancro metastatico una malattia cronica. Sono progressi importanti e i lavori scientifici continuano in tal senso. Ultimo, lo studio presentato in congresso che si è focalizzato sulle forme più gravi. «I risultati ci hanno dimostrato che somministrando il farmaco abemaciclib in associazione con la terapia ormonale riusciamo ad avere un controllo più a lungo della malattia», sottolinea Pierfranco Conte, direttore della divisione di oncologia medica 2 dell’Istituto oncologico veneto di Padova. «Questo principio attivo impedisce alla cellula tumorale di replicarsi e al contempo ne induce la senescenza, cioè l’invecchiamento. Grazie a questo tipo di meccanismo, il 30% delle donne coinvolte nello studio aveva ancora la malattia cronicizzata a distanza di quattro anni. È una tappa importante, ma ovviamente non ci fermiamo. Ora dobbiamo capire di più sulle donne che ne possono trarre maggiori benefici e per questo la ricerca punta a individuare quei biomarcatori che possono aiutare a scoprire come mai alcune forme rispondono meglio rispetto ad altre. Le donne arruolate sono tutte in postmenopausa, indotta oppure fisiologica, con tumore al seno con recettori ormonali positivi, della forma Her2 positiva e attualmente sembra che a beneficiare della terapia sia in particolare chi ha una forma aggressiva, con metastasi al fegato e al polmone».

Arrivano buone notizie per la terapia del tumore del seno da ESMO, il congresso internazionale di oncologia e riguardano un po’ tutte le forme, dal nodulo asportato in fase precoce al cancro metastatico. Segno, questo, che la ricerca non si ferma e per fortuna. Secondo gli ultimi dati appena usciti, rimane al top nella classifica dei tumori femminili più diagnosticati, con 53 mila nuovi casi stimati per il 2019.

Se la diagnosi è precoce

La chemioterapia dopo l’intervento chirurgico non è più un passo obbligato come accadeva un tempo, quando veniva prescritta a tutte le donne. E questo, grazie alla possibilità di avere un profilo ben dettagliato della malattia e del rischio di recidiva. «In caso di nodulo asportato in fase precoce, se la paziente ha recettori ormonali positivi, oggi si può prescrivere solo la terapia ormonale perché significa che la crescita delle cellule oncogene è stata stimolata dagli ormoni sessuali femminili», sottolinea Lucia Del Mastro Coordinatrice Breast Unit Ospedale Policlinico San Martino di Genova e ricercatrice Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. .«Non è però l’unico criterio per orientare la scelta. Il tumore deve avere una bassa attività proliferativa e non devono essere molti i linfonodi interessati. Inoltre in caso di dubbio, prima della decisione finale ora abbiamo a disposizione test genomici come l’Oncotype DX, l’unico al momento in grado di sciogliere i dubbi. Unico difetto di questo test, tranne in Lombardia dove viene rimborsato da pochissimo tempo, purtroppo è a pagamento». È ancora radicata però la convinzione che per curare il tumore ci vuole sempre una terapia “strong”, come per l’appunto la chemioterapia, altrimenti non è efficace. «E’ costante ed emerge durante tutti i congressi, quando ci confrontiamo tra noi oncologi», interviene la professoressa Del Mastro. «Quando si decide il piano terapeutico, bisogna prendersi tutto il tempo necessario per spiegare alla paziente la biologia del “suo” tumore, e perché si è deciso per la chemio, oppure per un altro trattamento. Solo così la donna è tranquilla e segue le indicazioni senza ansie».

Quando è triplo negativo

È il cancro al seno attualmente più difficile da trattare: si chiama così perché non ha nessuna delle caratteristiche che contraddistinguono le altre due forme di tumore mammario. E questo rende difficile impostare un trattamento. Colpisce circa una donna su dieci e finalmente si cominciano a intravvedere delle terapie. È di ottobre 2018 la notizia che anche per questa forma, come per altri tumori, funziona l’immunoterapia dopo l’intervento chirurgico. Oggi, ha dimostrato di agire anche prima dell’operazione. «La terapia adiuvante, così si chiama quando viene prescritta prima dell’intervento chirurgico, prevede l’immunoterapico pembrolizumab in associazione alla chemioterapia», aggiunge la Del Mastro. «Rispetto alle pazienti che hanno seguito solo il ciclo di chemio, si è ottenuto il 15% in più di risposta patologica, cioè di scomparsa totale del tumore. L’intervento chirurgico va comunque effettuato per rimuovere il tessuto nella zona dove c’era la malattia, ma questo non toglie nulla al risultato che rappresenta un primo passo importante. Per loro, il rischio di metastasi è molto basso, con il 6% in più di donne libere da malattia a due anni». Le pazienti candidate a questo tipo di trattamento prima dell’operazione, devono avere un tumore triplo negativo diagnosticato in fase precoce. Per la sua importanza, questo mix di trattamenti è stato ritenuto “Breakthrough therapy” dalla Food and drug administration, l’ente regolatorio dei farmaci negli Stati Uniti. Da noi, al momento è ancora all’interno di studi clinici.

Occhio alle cellule che dormono

Durante il congresso, uno studio ha puntato l’attenzione sulle cellule dormienti. Vale a dire, su quelle che rimangono annidate e che si possono risvegliare anche a distanza di molti anni, dando il via al tumore metastatico. Così chiamato perché colpisce anche altre parti del corpo come le ossa, il fegato, il cervello. «Sono circa 20 anni che si parla di queste cellule di tumore, ma oggi finalmente si cominciano ad avere a disposizione le armi che ci permetteranno una diagnosi precoce», dice la Del Mastro. «Le ricerche ci stanno dimostrando che attraverso un prelievo di sangue è possibile dosare il DNA circolante, cioè le tracce che lasciano le cellule dormienti, indice della loro presenza. Questo, ci permetterà di anticipare la diagnosi di metastasi di un anno rispetto a quanto accade ora con la risonanza magnetica». Nel frattempo, però, si sa di più su chi è maggiormente a rischio. «Sono le donne che alla diagnosi avevano già un tumore di dimensioni consistenti, con linfonodi positivi, sottoposte a terapia preoperatoria», racconta la Del Mastro. «Oggi in base alle linee guida, per loro ci sono mammografia e visita clinica, ma abbiamo chiesto al Ministero della Salute la possibilità di ottenere finanziamenti per dare il via a una ricerca focalizzata sulle donne ad alto rischio, da sottoporre ad esami all’avanguardia, compreso il test, per valutarne i benefici in termini di sopravvivenza».

Metastasi

Attualmente sono 37 mila le donne con un’età media di 54 anni, che portano avanti la loro vita nonostante la diagnosi di cancro al seno metastatico, con un’aspettativa di vita che è passata dai 15 mesi degli anni ’70 ai 58 degli anni 2000. I dati sono in continuo miglioramento per merito delle maggiori conoscenze sulla biologia del tumore, cioè sulle sue caratteristiche, perché questo ha permesso la messa a punto di terapie mirate, con l’obiettivo di rendere il cancro metastatico una malattia cronica. Sono progressi importanti e i lavori scientifici continuano in tal senso. Ultimo, lo studio presentato in congresso che si è focalizzato sulle forme più gravi. «I risultati ci hanno dimostrato che somministrando il farmaco abemaciclib in associazione con la terapia ormonale riusciamo ad avere un controllo più a lungo della malattia», sottolinea Pierfranco Conte, direttore della divisione di oncologia medica 2 dell’Istituto oncologico veneto di Padova. «Questo principio attivo impedisce alla cellula tumorale di replicarsi e al contempo ne induce la senescenza, cioè l’invecchiamento. Grazie a questo tipo di meccanismo, il 30% delle donne coinvolte nello studio, aveva ancora la malattia cronicizzata a distanza di quattro anni. È una tappa importante, ma ovviamente non ci fermiamo ancora. Ora dobbiamo capire di più sulle donne che ne possono trarre maggiori benefici e per questo la ricerca punta a individuare quei biomarcatori che possono aiutare a scoprire come mai alcune forme rispondono meglio rispetto ad altre. Le donne arruolate sono tutte in postmenopausa, indotta oppure fisiologica, con tumore al seno con recettori ormonali positivi, della forma Her2 positiva e attualmente sembra che a beneficiare della terapia sia in particolare chi ha una forma aggressiva, con metastasi al fegato e al polmone».

Ottobre, mese rosa

Terapie sempre più raffinate, test all’avanguardia, ma il punto di partenza è sempre uno: sottoporsi a controlli regolari per la salute del seno. Perché solo in questo modo è possibile la diagnosi precoce. Proprio per questo, da anni ottobre è stato battezzato “il mese rosa”, con iniziative in tutta Italia.

È cominciata con l’accensione di luci che hanno illuminato di rosa il Ponte Vecchio di Firenze, la campagna “Nastro Rosa promossa dalla Fondazione AIRC. Tutte le informazioni sulle iniziative e cosa si può fare per aiutare la ricerca, sono sul sito nastrorosa.it , sui social media con l’hashtag #NastroRosaAIRC e sul sito bccampaign.it

È a cura di Europa Donna Italia il manifesto del tumore al seno metastatico, messo a punto grazie alle segnalazioni raccolte tra le donne con questa forma tumorale. Il risultato? Sette i punti che verranno sottoposti proprio nel corso di questo mese rosa alle Istituzioni affinché sia garantito alle donne il migliore supporto possibile: percorso di cura personalizzato, assistenza dello psicologo, accesso agevolato agli studi clinici. Ma anche ottenere il riconoscimento di una Giornata Nazionale dedicata, per abbattere definitivamente il tabù che circonda questa malattia. La data è la medesima di altre Nazioni: il 13 ottobre.

Gli ospedali e i centri medici Humanitas danno il via al ‘Festival di Sorrisi in Rosa’, oltre 15 iniziative dedicate alla sensibilizzazione della prevenzione senologica che coinvolgeranno Milano, Bergamo, Varese e Torino. L’elenco è su sorrisinrosa.it

Anche quest’anno il Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane insieme all’Associazione IncontraDonna Onlus, con il patrocinio del Ministero della Salute, promuove l’iniziativa “Frecciarosa: la prevenzione viaggia in Treno.” Per informazioni www.trenitalia.com/it/le_frecce/frecciarosa

Arrivano buone notizie per la terapia del tumore del seno da ESMO, il congresso internazionale di oncologia e riguardano un po’ tutte le forme, dal nodulo asportato in fase precoce al cancro metastatico. Segno, questo, che la ricerca non si ferma e per fortuna. Secondo gli ultimi dati appena usciti, rimane al top nella classifica dei tumori femminili più diagnosticati, con 53 mila nuovi casi stimati per il 2019.

Se la diagnosi è precoce

La chemioterapia dopo l’intervento chirurgico non è più un passo obbligato come accadeva un tempo, quando veniva prescritta a tutte le donne. E questo, grazie alla possibilità di avere un profilo ben dettagliato della malattia e del rischio di recidiva. «In caso di nodulo asportato in fase precoce, se la paziente ha recettori ormonali positivi, oggi si può prescrivere solo la terapia ormonale perché significa che la crescita delle cellule oncogene è stata stimolata dagli ormoni sessuali femminili», sottolinea Lucia Del Mastro Coordinatrice Breast Unit Ospedale Policlinico San Martino di Genova e ricercatrice Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. .«Non è però l’unico criterio per orientare la scelta. Il tumore deve avere una bassa attività proliferativa e non devono essere molti i linfonodi interessati. Inoltre in caso di dubbio, prima della decisione finale ora abbiamo a disposizione test genomici come l’Oncotype DX, l’unico al momento in grado di sciogliere i dubbi. Unico difetto di questo test, tranne in Lombardia dove viene rimborsato da pochissimo tempo, purtroppo è a pagamento». È ancora radicata però la convinzione che per curare il tumore ci vuole sempre una terapia “strong”, come per l’appunto la chemioterapia, altrimenti non è efficace. «E’ costante ed emerge durante tutti i congressi, quando ci confrontiamo tra noi oncologi», interviene la professoressa Del Mastro. «Quando si decide il piano terapeutico, bisogna prendersi tutto il tempo necessario per spiegare alla paziente la biologia del “suo” tumore, e perché si è deciso per la chemio, oppure per un altro trattamento. Solo così la donna è tranquilla e segue le indicazioni senza ansie».

Quando è triplo negativo

È il cancro al seno attualmente più difficile da trattare: si chiama così perché non ha nessuna delle caratteristiche che contraddistinguono le altre due forme di tumore mammario. E questo rende difficile impostare un trattamento. Colpisce circa una donna su dieci e finalmente si cominciano a intravvedere delle terapie. È di ottobre 2018 la notizia che anche per questa forma, come per altri tumori, funziona l’immunoterapia dopo l’intervento chirurgico. Oggi, ha dimostrato di agire anche prima dell’operazione. «La terapia adiuvante, così si chiama quando viene prescritta prima dell’intervento chirurgico, prevede l’immunoterapico pembrolizumab in associazione alla chemioterapia», aggiunge la Del Mastro. «Rispetto alle pazienti che hanno seguito solo il ciclo di chemio, si è ottenuto il 15% in più di risposta patologica, cioè di scomparsa totale del tumore. L’intervento chirurgico va comunque effettuato per rimuovere il tessuto nella zona dove c’era la malattia, ma questo non toglie nulla al risultato che rappresenta un primo passo importante. Per loro, il rischio di metastasi è molto basso, con il 6% in più di donne libere da malattia a due anni». Le pazienti candidate a questo tipo di trattamento prima dell’operazione, devono avere un tumore triplo negativo diagnosticato in fase precoce. Per la sua importanza, questo mix di trattamenti è stato ritenuto “Breakthrough therapy” dalla Food and drug administration, l’ente regolatorio dei farmaci negli Stati Uniti. Da noi, al momento è ancora all’interno di studi clinici.

Occhio alle cellule che dormono

Durante il congresso, uno studio ha puntato l’attenzione sulle cellule dormienti. Vale a dire, su quelle che rimangono annidate e che si possono risvegliare anche a distanza di molti anni, dando il via al tumore metastatico. Così chiamato perché colpisce anche altre parti del corpo come le ossa, il fegato, il cervello. «Sono circa 20 anni che si parla di queste cellule di tumore, ma oggi finalmente si cominciano ad avere a disposizione le armi che ci permetteranno una diagnosi precoce», dice la Del Mastro. «Le ricerche ci stanno dimostrando che attraverso un prelievo di sangue è possibile dosare il DNA circolante, cioè le tracce che lasciano le cellule dormienti, indice della loro presenza. Questo, ci permetterà di anticipare la diagnosi di metastasi di un anno rispetto a quanto accade ora con la risonanza magnetica». Nel frattempo, però, si sa di più su chi è maggiormente a rischio. «Sono le donne che alla diagnosi avevano già un tumore di dimensioni consistenti, con linfonodi positivi, sottoposte a terapia preoperatoria», racconta la Del Mastro. «Oggi in base alle linee guida, per loro ci sono mammografia e visita clinica, ma abbiamo chiesto al Ministero della Salute la possibilità di ottenere finanziamenti per dare il via a una ricerca focalizzata sulle donne ad alto rischio, da sottoporre ad esami all’avanguardia, compreso il test, per valutarne i benefici in termini di sopravvivenza».

Metastasi

Attualmente sono 37 mila le donne con un’età media di 54 anni, che portano avanti la loro vita nonostante la diagnosi di cancro al seno metastatico, con un’aspettativa di vita che è passata dai 15 mesi degli anni ’70 ai 58 degli anni 2000. I dati sono in continuo miglioramento per merito delle maggiori conoscenze sulla biologia del tumore, cioè sulle sue caratteristiche, perché questo ha permesso la messa a punto di terapie mirate, con l’obiettivo di rendere il cancro metastatico una malattia cronica. Sono progressi importanti e i lavori scientifici continuano in tal senso. Ultimo, lo studio presentato in congresso che si è focalizzato sulle forme più gravi. «I risultati ci hanno dimostrato che somministrando il farmaco abemaciclib in associazione con la terapia ormonale riusciamo ad avere un controllo più a lungo della malattia», sottolinea Pierfranco Conte, direttore della divisione di oncologia medica 2 dell’Istituto oncologico veneto di Padova. «Questo principio attivo impedisce alla cellula tumorale di replicarsi e al contempo ne induce la senescenza, cioè l’invecchiamento. Grazie a questo tipo di meccanismo, il 30% delle donne coinvolte nello studio, aveva ancora la malattia cronicizzata a distanza di quattro anni. È una tappa importante, ma ovviamente non ci fermiamo ancora. Ora dobbiamo capire di più sulle donne che ne possono trarre maggiori benefici e per questo la ricerca punta a individuare quei biomarcatori che possono aiutare a scoprire come mai alcune forme rispondono meglio rispetto ad altre. Le donne arruolate sono tutte in postmenopausa, indotta oppure fisiologica, con tumore al seno con recettori ormonali positivi, della forma Her2 positiva e attualmente sembra che a beneficiare della terapia sia in particolare chi ha una forma aggressiva, con metastasi al fegato e al polmone».

Ottobre, mese rosa

Terapie sempre più raffinate, test all’avanguardia, ma il punto di partenza è sempre uno: sottoporsi a controlli regolari per la salute del seno. Perché solo in questo modo è possibile la diagnosi precoce. Proprio per questo, da anni ottobre è stato battezzato “il mese rosa”, con iniziative in tutta Italia.

È cominciata con l’accensione di luci che hanno illuminato di rosa il Ponte Vecchio di Firenze, la campagna “Nastro Rosa promossa dalla Fondazione AIRC. Tutte le informazioni sulle iniziative e cosa si può fare per aiutare la ricerca, sono sul sito nastrorosa.it , sui social media con l’hashtag #NastroRosaAIRC e sul sito bccampaign.it

È a cura di Europa Donna Italia il manifesto del tumore al seno metastatico, messo a punto grazie alle segnalazioni raccolte tra le donne con questa forma tumorale. Il risultato? Sette i punti che verranno sottoposti proprio nel corso di questo mese rosa alle Istituzioni affinché sia garantito alle donne il migliore supporto possibile: percorso di cura personalizzato, assistenza dello psicologo, accesso agevolato agli studi clinici. Ma anche ottenere il riconoscimento di una Giornata Nazionale dedicata, per abbattere definitivamente il tabù che circonda questa malattia. La data è la medesima di altre Nazioni: il 13 ottobre.

Gli ospedali e i centri medici Humanitas danno il via al ‘Festival di Sorrisi in Rosa’, oltre 15 iniziative dedicate alla sensibilizzazione della prevenzione senologica che coinvolgeranno Milano, Bergamo, Varese e Torino. L’elenco è su sorrisinrosa.it

Anche quest’anno il Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane insieme all’Associazione IncontraDonna Onlus, con il patrocinio del Ministero della Salute, promuove l’iniziativa “Frecciarosa: la prevenzione viaggia in Treno.” Per informazioni www.trenitalia.com/it/le_frecce/frecciarosa

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